Come sta andando la birra analcolica in Italia? Probabilmente questa non è la classica domanda che vi toglie il sonno la notte, tuttavia merita una risposta perché il trend delle alcohol-free, che ci piaccia o meno, ha ormai acquisito un peso rilevante in molti mercati mondiali. E sta crescendo anche nel nostro paese, come confermato dall’ultima indagine condotta da BVA Doxa per il Centro informazione birra, ossia l’osservatorio permanente di Assobirra con cui vengono analizzate le tendenze del settore. I numeri che emergono dalla ricerca (qui disponibile in pdf) restituiscono le dimensioni di un fenomeno che sta crescendo ben più velocemente di quanto molti si aspetterebbero: più di un terzo degli intervistati (35%) afferma infatti di bere spesso birre analcoliche o a basso grado alcolico in alternativa a quelle “convenzionali”. Una percentuale davvero alta, che ci obbliga a rivalutare il ritmo con cui sta attecchendo il fenomeno anche in Italia.
Le dimensioni delle birre no e low alcol
Entrando nel dettaglio, il report del Centro informazione birra è pieno di dati interessanti, che permettono di capire meglio le caratteristiche nel trend in corso. Innanzitutto è molto trasversale in termini di fascia d’età, perché, nonostante sia preferita dai giovani, coinvolge in maniera simile tre diverse generazioni (Z, Millennial e X). Il principale motivo per il consumo di birra low e no alcol è la possibilità di evitare i sintomi dell’ebbrezza, ma una componente importante è rappresentata anche dall’idea di salubrità e leggerezza, legata al ridotto contenuto calorico di certi prodotti. Diversi intervistati affermano di bere birra analcolica in occasioni di consumo particolari, ad esempio quando devono guidare o in momenti di socializzazione durante le ore lavorative. C’è poi un dato che vale un discorso a parte e riguarda gli aspetti organolettici delle birre low e no alcohol : il 17% afferma di apprezzarle per il loro gusto simile a quello della birra tradizionale.
Andrea Bagnolini, direttore generale di Assobirra, riassume i dati e li commenta in questo modo:
I risultati sono chiari: la birra low e no alcohol sta guadagnando terreno, attraendo l’attenzione di un pubblico sempre più vasto e diversificato. Il rapporto evidenzia che questa categoria di birra non è solo conosciuta, ma anche apprezzata da una vasta fascia di consumatori, soprattutto tra i giovani: è emerso infatti che queste proposte sono scelte da due terzi degli italiani che bevono abitualmente birra. È stimolante osservare come i Millennials e la Gen Z, sempre attenti alla salute e al benessere, stiano abbracciando queste nuove opzioni con entusiasmo crescente. […]
Concludendo, il futuro delle birre low e no alcohol è promettente. Queste birre non sono solo un’alternativa, ma una scelta consapevole che si integra perfettamente in uno stile di vita moderno, sano e bilanciato. L’industria birraria italiana si sta adattando con agilità a questa evoluzione dei gusti e delle abitudini dei consumatori. Stiamo assistendo a un periodo di intenso rinnovamento, con i produttori che investono sempre più in soluzioni creative e sostenibili per ampliare la gamma di birre offerte sul mercato. In particolare, la crescita di queste tipologie di birra è guidata dall’innovazione del settore, che sta facendo passi da gigante nel garantire prodotti di eccellenza che rispecchiano le tradizioni locali e soddisfano le esigenze dei consumatori moderni.
Come i birrifici artigianali si stanno adattando al fenomeno
Che l’idea della birra analcolica vi intrighi o vi faccia inorridire, è pacifico che rappresenta un’occasione di sviluppo importante per chiunque operi nel settore brassicolo. Se la grande industria sta seguendo il trend con investimenti e il lancio di nuovi prodotti, lo stesso non può dirsi per la birra artigianale. In realtà in passato abbiamo registrato segnali incoraggianti da parte dei microbirrifici italiani, tanto che a inizio 2023 il fenomeno sembrò pronto a esplodere anche nel segmento artigianale. Nel corso di Beer Attraction di quell’anno furono presentate diverse birre analcoliche, come la Botanic di Baladin, la Friend or Faux di Edit e la Freedl Citrino di Pfefferlechner. Proprio il birrificio altoatesino aveva inaugurato la sua linea di analcoliche qualche mese prima, così come avevano fatto L’Olmaia e Birra Salento con il loro marchio Alcol Fri. Nei mesi successivi altri prodotti analcolici arrivarono sul mercato, grazie ai birrifici Via Priula, Casa di Cura, Crak, Jester e Birranova.
Tuttavia più che l’innesto di una nuova tendenza della birra artigianale, quella scintilla si è rivelata in pratica un fuoco di paglia. È infatti dallo scorso ottobre che su Whatabeer non registriamo nuove birre artigianali analcoliche e il segmento di mercato a oggi può contare su una decina di produzioni in tutto, probabilmente non tutte prodotte ancora con continuità. L’impressione dunque è che l’entusiasmo iniziale sia scemato rapidamente e che i tempi non sia ancora maturi – semmai lo saranno – perché i microbirrifici possano attaccare con decisione questa crescente nicchia di mercato. Probabilmente il gioco non vale ancora la candela, perché produrre una birra analcolica è per un birrificio artigianale un’attività rischiosa e molto impegnativa, che talvolta si scontra anche con alcuni aspetti della legge italiana sulla birra artigianale. In più c’è da tenere conto il fattore “gusto”, che per una multinazionale del settore ha un impatto molto più contenuto. A oggi infatti è ancora difficile ottenere una birra artigianale analcolica che, per gusto e caratteristiche organolettiche, sia paragonabile alla controparte convenzionale. Un dettaglio non indifferente, soprattutto nei confronti di consumatori specializzati che scelgono la birra artigianale soprattutto per questo aspetto.
Un segnale del momentaneo fallimento della birra artigianale analcolica – noi almeno lo abbiamo interpretato così – è rappresentato dall’ultima creazione di Baladin, lanciata circa un mese fa. La Nazionale Leggera (3,2%) si inserisce infatti nella categoria dei prodotti low alcohol ed è naturale chiedersi i motivi di questa scelta, avendo già in gamma una recente birra analcolica. La risposta è che forse è più facile realizzare un prodotto a basso contenuto alcolico che uno completamente privo di alcol, essendo anche più facile da piazzare sul mercato in base alle aspettative dei propri clienti. Tuttavia considerando ciò che cercano i consumatori dalle birre alcohol-free, forse è proprio alle low alcohol che i birrifici artigianali italiani dovrebbero puntare: esse infatti offrono molti dei vantaggi delle analcoliche – percezione di salubrità, effetti limitati dell’alcol, ecc. – a fronte di iter produttivi molto più facilmente percorribili.
Restare sotto il 3% di gradazione alcolica potrebbe essere per i microbirrifici italiani la soluzione ideale per sfruttare il trend del momento senza intraprendere strade troppo complicate. Se non andiamo errati nessun birrificio artigianale italiano ha mai elaborato una linea di low-alcohol con una comunicazione indirizzata verso chi è in cerca di una bevuta “salubre” e a basso contenuto calorico. Chissà che non succeda a breve.