A settembre dello scorso anno pubblicammo un articolo dedicato alle nuove realtà brassicole italiane, aprendo la rassegna con Antikorpo Brewing. In quell’occasione spiegammo la particolare fattispecie cui apparteneva il marchio triestino, nato come una sorta di costola del birrificio Cittavecchia:
Stesso birrificio e stesso impianto, ma marchio e birraio diverso. È questa l’impostazione che hanno assunto alcune nuove realtà aperte in Italia negli ultimi tempi e che si pone a metà strada tra la beer firm e il birrificio vero e proprio. Una soluzione che permette di sfruttare alcuni evidenti vantaggi e al contempo di superare molti limiti dei produttori privi di impianto di proprietà . L’uovo di Colombo definitivo per il comparto brassicolo? Certamente no, ma è un espediente che probabilmente tenderà a diffondersi in futuro.
Una “terza via” dunque, che come avevamo previsto è stata adottata in diverse situazioni negli ultimi mesi. Parliamo di marchi concettualmente autonomi, ma dipendenti in termini di impianto di produzione e parte degli investimenti. Non linee parallele, sia chiaro, ma brand con una loro identità ben precisa, che a livello comunicativo è del tutto slegata da quella del birrificio “genitore”.
Probabilmente l’incarnazione italiana più celebre di questa soluzione imprenditoriale è rappresentata da Bonavena. Il marchio campano è nato dall’incontro tra Mario Di Lunardo, da anni attivo nell’ambiente grazie allo storico birrificio St. John’s, e Vincenzo “Thiell” Follino, esperto di lieviti e homebrewer navigato. Bonavena è un brand chiaramente legato a St. John’s per motivi aziendali e produttivi, ma che vive di vita propria. Può essere considerato infatti la diretta emanazione della filosofia brassicola di Vincenzo Follino, che si occupa direttamente delle cotte. Non parliamo dunque di una beer firm, perché il birraio lavora direttamente in sede, curando tutto l’iter produttivo fino al confezionamento, e perché il birrificio non si limita ad “affittare” l’impianto, ma supporta un marchio che è in parte anche suo. Un sodalizio che evidentemente funziona molto bene, se consideriamo che Bonavena è ampiamente apprezzato per la qualità delle sue birre e che Vincenzo si è aggiudicato il premio Birraio emergente 2019.
La sinergia appena illustrata rappresenta la classica situazione win-win, dalla quale tutti traggono vantaggi. Da una parte il nuovo marchio può giovarsi di un contesto imprenditoriale già avviato, superando però molte criticità tipiche delle beer firm. Oltre alla possibilità di seguire l’intero processo produttivo – aspetto a cui abbiamo già accennato – ci sono benefici non indifferenti a livello logistico e commerciale: il birrificio mette spesso a disposizione know how e rapporti di mercato pre-esistenti che garantiscono al brand importanti possibilità di sviluppo. Dall’altra parte il birrificio può differenziare la propria produzione investendo in un marchio completamente nuovo, che in caso di successo è in grado di aumentare considerevolmente la produzione. Il coinvolgimento di un birraio esterno rappresenta un ottimo elemento di confronto e di scambio di idee, che può ripercuotersi positivamente anche sulla gamma base dell’azienda.
Non deve perciò meravigliare se il modello Bonavena è stato replicato molte volte negli ultimi mesi. Il già citato Antikorpo Brewing, ad esempio, nasce dall’incontro professionale tra Davide Galiussi (ex birraio di War), Cristina Mirizzi (anche lei precedentemente in War) e Giulio Ceschin (socio di Cittavecchia). Antikorpo produce chiaramente presso Cittavecchia, ma il birraio è Davide, che segue tutto l’iter realizzativo. Poco più di un mese fa abbiamo presentato altri due marchi rientranti in questa tipologia: South Soul e Shire Brewing. South Soul (sito web) è un brand campano considerabile il coronamento del lungo percorso dell’homebrewer Salvatore Arnese, che si è lanciato in questa affascinante avventura grazie al fondamentale supporto del birrificio Stimalti (sito web). Shire Brewing (pagina Facebook) è invece l’evoluzione di Castrum Porciani, nome con cui due homebrewer laziali (Mirko e Gianluigi) si sono fatti conoscere nel mondo della birrificazione casalinga. In questo caso il marchio è sviluppato insieme al birrificio Oxiana (sito web) di Pomezia (RM), che si ritrova così con una produzione alternativa molto caratterizzata (classici stili britannici), sebbene sganciati dal brand principale. E a proposito di diversificazione dell’offerta, esemplare è quanto attuato dal birrificio Balabiott (sito web) con Boia Brewing (sito web), in grado di rappresentare una totale rottura rispetto agli standard comunicativi del produttore piemontese.
Un aspetto interessante è che queste sinergie spesso coinvolgono semplici homebrewer piuttosto che birrai navigati. Dunque il birrificio opera come una sorta di talent scout: scommette su un appassionato apprezzato ma con una limitata esperienza professionale, fornendogli tuttavia preziosi strumenti per realizzare la sua idea di birra. Si tratta quindi di un importante riconoscimento alla comunità dell’homebrewing, i cui migliori esponenti sono sempre più visti dai birrifici come risorse importanti. In altre parole in Italia si sta finalmente superando la tradizionale separazione tra i due mondi, realizzando invece una comunicazione bidirezionale e fruttuosa per ambo le parti. È un tema che avevamo sollevato a inizio 2018 con Nicola Coppe, quando lo intervistammo per farci raccontare il suo incontro con il birrificio Bionoc, da cui era nata la premiata linea Asso di Coppe. A ben vedere lui fu uno dei primi homebrewer italiani a essere elevato al ruolo di “consulente”: un percorso che oggi non è più un caso isolato, ma replicato in diverse altre situazioni. E che probabilmente sono destinate a crescere ancora nei prossimi anni.
Molto interessante!
Da beerfirmer mi piacerebbe sapere più dettagli “tecnici” su come avvengono queste collaborazioni, a chi potrei rivolgermi?
Prova a sentire loro direttamente, dovresti riuscire a risalire facilmente ai contatti
[…] sebbene in questo caso sia interpretato in maniera più ampia. La seconda è quella dei “marchi sinergici”, autonomi a livello d’identità e di birraio (delle cotte si occupa Stefano Rueca), ma […]