Fino a qualche tempo fa sarebbe sembrato impossibile imbattersi in un articolo come quello pubblicato a fine agosto sul blog di Drinktec, importante manifestazione tedesca dedicata all’industria del beverage. Nel pezzo, infatti, si documenta la forte ascesa di Kellerbier e Landbier tra le preferenze di acquisto dei consumatori teutonici, sempre più incuriositi da queste tipologie che si legano alle tradizioni di una parte di Germania, ma che hanno acquistato visibilità solo di recente. Che questi stili stiano diventando un trend a livello internazionale è ormai confermato da molti indizi – ad esempio nelle nostre panoramiche sulle nuove birre italiane è sempre più frequente la presenza di Keller e Zwickel, come quella di 61cento presentata non più tardi di ieri – ma a quanto pare il fenomeno non è circoscritto solo alla ristretta cerchia della birra artigianale. La tendenza invece è più ad ampio raggio e coinvolge anche produttori di grandi dimensioni, configurandosi probabilmente come la prima grande rivoluzione birraria tedesca degli ultimi anni.
L’articolo citato in apertura fissa l’inizio di questa evoluzione al 2004, quando il birrificio Kulmbacher lanciò la propria versione di “birra da cantina” non filtrata sotto il marchio Mönchshof. A distanza di quindici anni le cose sono profondamente cambiate, perché Keller e Landbier sono entrate nella gamma di aziende dalle dimensioni ragguardevoli. Il caso più emblematico è forse quello di Bitburger, un colosso che produce circa 4 milioni di ettolitri l’anno e che nel marzo dello scorso anno decise di inserire una Kellerbier nella sua gamma. L’aspetto interessante è che nei precedenti 25 anni la linea di Bitburger era rimasta immutata: questo semplice dettaglio dovrebbe restituirvi l’impatto del trend in atto. Ma Bitburger è in buona compagnia, perché ad esempio nel 2014 il birrificio Veltins (quasi 3 milioni di ettolitri) annunciò una Landbier battezzata Gravensteiner Original, che dalla sua nascita ha registrato una crescita in doppia cifra.
Come accennato, il fenomeno sta seguendo un percorso parallelo nel mondo della birra artigianale, dove si stanno riscoprendo le basse fermentazioni grazie a queste antiche tipologie. A pensarci bene per anni si è cercato di restituire dignità agli stili di origine tedesca, ottenendo però sempre una risposta alquanto tiepida da parte di un pubblico più attratto dalle tipologie di stampo moderno. La musica è cambiata quando ha cominciato a svilupparsi un interesse trasversale per la Franconia e per le ancestrali produzioni di quella regione. La Franconia ha effettivamente fatto da detonatore per l’ondata di rinnovata curiosità nei confronti delle Lager tradizionali, trovando evidentemente il grimaldello giusto per stuzzicare l’attenzione dei bevitori. Come in tanti altri fenomeni di successo, anche qui ci sono meravigliose storie da raccontare, che risalgono alle antiche consuetudini di una parte di Germania centro-meridionale. E da locale il trend è diventato globale, come dimostra il tentativo di tanti birrifici di tutto il mondo di replicare quegli antichi stili.
L’ascesa di Keller e Landbier è dunque una tendenza che in Germania riguarda tanto la birra artigianale quanto quella industriale. Difficile dire se sono due evoluzioni sviluppatesi in contemporanea o se la prima ha influenzato la seconda. Probabilmente è più corretto non ragionare per compartimenti stagni, considerando che nel mercato locale tracciare una linea netta tra un tipo di birra e l’altro è praticamente impossibile – aspetto che possiamo estendere a tutte le nazioni dalla lunga storia birraria alle spalle. D’altro canto gli stessi marchi industriali hanno accompagnato il lancio delle loro Keller e Zwickel con narrazioni che si legano alla storia secolare dei loro birrifici: una scelta di marketing ben chiara, ma che suona autentica per ovvi motivi. Basti pensare che i due produttori citati precedentemente, cioè Bitburger e Veltins, furono fondati rispettivamente nel 1817 e nel 1824.
È però chiaro come ci sia una netta differenza tra le creazioni di questi colossi e quelle delle piccole aziende a conduzione familiare della Franconia, dove in molti casi resiste un concetto di birra antico e strettamente connesso ai costumi della comunità locale. Un tesoro brassicolo che spesso si regge su equilibri delicatissimi e che a lungo è rimasto nascosto anche agli stessi tedeschi del resto della Germania, fedeli alle solite birre, quasi sempre anonime, e riconducibili a un paio di stili birrari replicati ovunque in maniera praticamente automatica. Ma negli ultimi tempi qualcosa è cambiato proprio tra i bevitori teutonici, che hanno cominciato a porsi domande e a ricercare sapori nuovi. Il piacere della bevuta sarebbe tornato a occupare un ruolo centrale in un contesto rimasto per anni malinconicamente identico a sé stesso.
Nel primo semestre del 2019 le Keller e le Landbier hanno coperto il 5,8% del mercato tedesco, mostrando una crescita del +0,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si calcola che in tutto il mercato domestico siano presenti 80 Landbier e 260 Kellerbier, numeri ovviamente destinati a crescere ancora. Per anni abbiamo sperato che la rivoluzione internazionale della birra artigianale smuovesse le acque nella tristemente statica scena birraria della Germania. I tentativi di introdurre stili moderni, come IPA e sue variazioni, sono falliti miseramente per diversi fattori. Quando tutto sembrava immutabile, ecco che i consumatori tedeschi hanno trovato nella loro stessa tradizione quell’elemento di novità che potrebbe far ripartire il mercato brassicolo locale. Il tempo ci dirà se è una moda passeggera, una ventata d’aria fresca o la base per un profondo riassetto dell’intero settore.
Non concordo sulla “tristemente statica scena birraria della Germania”, o meglio, frequento la Baviera da anni e se è vero che le birre sono quasi sempre quelle e che le IPA non hanno preso piede (meglio così, sinceramente), reputo altrettanto vero che sono fatte a regola d’arte, e non mi stancherò mai di bere tutte le Ayinger, Weihenstephaner, Schneider Weisse, Schlenkerla e compagnia bella (mentre Bitburger, Veltins, ecc. le lascio perdere volentieri). Sanno di tradizione, e non lo vedo come una cosa negativa, e sono buonissime. E costano pure poco per gli standard italiani, preferisco spendere 1 euro andando sul sicuro presso questi storici marchi e fare scorte, piuttosto che spenderne magari 4-5 per birre artigianali che sono inferiori a queste (mentre i 4-5 euro li spendo volentieri per quelle artigianali fatte bene, giusto per precisare).
Il fattore “statico” era auspicabile cambiasse in paesi che dal punto di vista della produzione birraria erano mediamente scarsi, tipo l’Italia appunto, che ora ha anche diverse eccellenze…ma in Baviera non vedo perchè dovrebbero cambiare ciò che da sempre è ottimo.
A parte che hai citato marchi molto diversi tra loro, il mio riferimento in generale – e l’ho scritto – non è di tipo qualitativo, ma di varietà nelle tipologie e totale disinteresse nei confronti della propria tradizione brassicola. Avere quel patrimonio e trovare nella maggior parte dei piccoli birrifici regionali solo Helles e Weizen – raramente a livelli di eccellenza – è drammatico.
Il tempo ci dirà se è moda passeggera? Penso e mi auguro di no! Ormai il mondo birra è saturo di nuovi stili,non si sa più cosa inventare,spesso e volentieri con scarsi risultati a scapito della beveribilità ,caratteristica importante in una birra. Questa è una birra beverina…quante volte l’ho sentita in locali ecc. Per questo ,secondo me, la gente ha voglia di riscoprire vecchi stili come le keller oppure le mild
Speriamo tu abbia ragione!
Ciao.
Come già scritto in altri commenti sono un amante delle birre tedescbe di tradizione come keller landbier e dunkel.
Il festival che si tiene ad aprile sulla nomentana e un viaggio a norimberga / bambelga mi hanno fatto rendere conto che queste birre sono buonissime nella loro semplicità , e che se seppur simili ognuna ha un non so che di suo che la differenzia dalle altre.
A volte un sapore dato forse dal lievito, a volte il sapore che ti lascia in bocca la componente maltata… Insomma le cerco (purtroppo con fatica anche qui a roma) e le bevo volentieri.
Meno male che l’ondata di novità non ha intaccato questi stili e i birrifici che li producono, sarebbe stato un vero peccato.
Spero che di questa ondata si accorga chi lavora come importatore/distributore!
Ciao
Carlo