Se un giorno brinderemo su Marte, forse lo faremo con una birra fermentata direttamente sul Pianeta Rosso. Sembra fantascienza, eppure il Saccharomyces cerevisiae – cioè il classico lievito da birra ad alta fermentazione – sarebbe in grado di resistere alle condizioni estreme di Marte. È questa la conclusione di un recente studio pubblicato sulla Revista de la Asociación Geológica Argentina, che apre scenari affascinanti: dalle prospettive di vita microbica interplanetaria alle future produzioni alimentari fuori dall’atmosfera terrestre. Perché se c’è un organismo simbolo della collaborazione tra uomo e natura, è proprio il lievito: un essere invisibile ma indispensabile, che accompagna la nostra storia da sempre e che in futuro potrebbe spingersi oltre i confini del pianeta Terra.
Il gruppo di ricercatori, coordinato dalla geologa argentina Pamela G. Aramayo, ha simulato in laboratorio le condizioni tipiche del suolo e dell’atmosfera di Marte: bassa pressione, temperature prossime ai -60°C, presenza di ossidi e radiazioni ultraviolette. In questo contesto è stata testata la resistenza di diversi microrganismi, tra cui il lievito di birra. Il risultato è stato sorprendente: il Saccharomyces cerevisiae ha mostrato una capacità di adattamento superiore alle attese, riuscendo a mantenere parte della sua vitalità e della struttura cellulare anche dopo esposizioni prolungate.
L’obiettivo dello studio non è tanto (o non solo) di portare la birra nello spazio, ma comprendere come organismi terrestri possano contribuire a costruire sistemi biologici autosufficienti su altri pianeti. Il lievito dopotutto è un simbolo perfetto di simbiosi tra uomo e natura: trasforma zuccheri in alcol, anidride carbonica ed energia, tre elementi fondamentali anche in un’ipotetica economia marziana. Potrebbe dunque avere un ruolo chiave in esperimenti di bio-produzione, dal cibo fermentato ai materiali organici.
La ricerca ha messo alla prova il lievito in due tipi di stress che sono particolarmente rilevanti per Marte: onde d’urto ad alta intensità (simulando l’impatto meteorico e le oscillazioni di pressione) ed esposizione a sali di perclorato, composti chimici ossidanti noti per la loro abbondanza nel suolo marziano. I risultati mostrano che ceppi selvatici di Saccharomyces cerevisiae riescono a sopravvivere a onde d’urto molto intense e possono crescere anche in presenza di concentrazioni di perclorato paragonabili a quelle misurate sul Pianeta Rosso, seppure con un rallentamento della crescita: insomma, non una “vita comoda”, ma una resilienza inattesa.
Interessante è il meccanismo di risposta che i microrganismi mettono in campo: di fronte a questi stress, il lievito ricorre a particolari aggregati cellulari (P-bodies e in alcuni casi stress granules) che funzionano come depositi temporanei per l’RNA e proteggono i messaggi genetici importanti per affrontare la crisi. In termini pratici il lievito non sopravvive per caso, ma attiva risposte cellulari precise che lo aiutano a resistere a condizioni marziane simulate, aprendo la strada a scenari in cui microrganismi utili alla fermentazione potrebbero essere impiegati in sistemi biologici fuori dalla Terra.
Per chi ama la birra, l’idea acquista un valore aggiuntivo: un ingrediente capace di resistere a Marte non è solo un trionfo della scienza, ma una suggestione appassionante. Il microrganismo più antico della civiltà umana — quello che ha accompagnato l’uomo dalla Mesopotamia alle IPA moderne — potrebbe diventare anche il primo colono di un altro pianeta.



