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La Corona finisce ad AB Inbev: il più grande produttore di birra continua a crescere

Su Cronache di Birra scrivo quasi esclusivamente di birra artigianale, tuttavia ogni tanto mi concedo un piccolo spiraglio sul mondo delle multinazionali del settore, soprattutto quando arrivano notizie interessanti. E quella con la quale ci siamo svegliati questa mattina non è da sottovalutare: come riportato dai principali organi di informazione, il colosso AB Inbev sarebbe infatti intenzionato a ottenere il controllo completo della messicana Modelo, che, tra gli altri marchi, può annoverare anche quello della celeberrima birra Corona. Ricordo che il gruppo AB Inbev è il più grande produttore di birra al mondo e che possiede già la metà delle quote della società messicana. Sebbene si tratti “semplicemente” di estendere le proprie quote al 100%, in realtà la manovra rivela importanti decisioni strategiche per il futuro del mercato internazionale della birra.

Secondo gli analisti, infatti, la manovra di AB Inbev porterebbe diversi vantaggi. In primis, gli consentirebbe di controllare il principale gruppo birrario del Messico, che rappresenta un mercato in forte espansione. In secondo luogo, nel portfolio di Modello sono presenti brand importanti, tra cui quello della Corona, come già accennato. Inoltre ci sarebbero altri due vantaggi di natura prettamente economica: la possibilità di gettarsi su un mercato alternativo a quello europeo, colpito dalla crisi che – ahimè –  ben conosciamo, e garantire margini più appetibili grazie alla riduzione dei costi possibile con maggiori economie di scala.

In riferimento alle cifre, AB Inbev sarebbe pronta a sborsare fino a 20 miliardi di dollari per l’acquisizione. La metà di Modelo, invece, fu ottenuta durante le operazioni che portarono alla nascita proprio di AB Inbev, quando il gruppo Inbev acquistò l’americana Anheuser-Busch. Per amore di cronaca, infine, l’accordo prossimo alla chiusura dovrebbe prevedere anche una parte delle quote di Modelo nel settore della distribuzione.

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Se come previsto l’operazione andrà in porto entro la fine della settimana, inevitabilmente AB Inbev consoliderà la propria leadership nel mercato mondiale della birra. In ogni caso è la conferma che la multinazionale intende insistere con la sua politica estremamente aggressiva, fatta di acquisizioni e fusioni in giro per il mondo. Non è troppo difficile vedere delle mire monopolistiche in queste manovre, al punto che lo scorso ottobre girò persino la voce che AB Inbev fosse pronta ad acquisire il controllo di SAB Miller, secondo gruppo birraio del pianeta. In realtà la notizia non fu mai confermata ufficialmente e per questa ragione evitai di scriverne sul blog: a distanza di mesi la storia suona come una bufala, sebbene rimanga l’inquietante idea che una società stia cercando di conquistare la quasi totalità del mercato mondiale della birra.

Per noi abituati a confrontarci con birrifici che producono giusto qualche migliaia di ettolitri l’anno, il fatto può apparire come un lontano rumore di sottofondo. Eppure, in un mercato sempre più orientato verso la globalizzazione, certe notizie potrebbero avere qualche tipo di ripercussione anche nella quotidianità della birra artigianale. Non nella fattispecie, sicuramente, ma in un’ottica più generale senza dubbio sì.

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In altre parole: le mire espansionistiche del più grande gruppo birrario del mondo potrebbero avere ripercussioni anche sulla piccola isola felice della birra artigianale (italiana)? E’ una domanda alla quale difficilmente riesco a trovare una risposta, perciò chiedo a voi cosa ne pensate.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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14 Commenti

    • Si ma Goose Island (che già era tra i primi birrifici statunitensi per produzione) non se ne è giovata molto, da quel che ricordo il marchio sta soffrendo e non poco, sopratutto se consideri che i 2 locali che hanno aperto si sono rivelati un flop.
      In ogni caso non mi sorprenderei se entrasse nel mercato artigianale in maniera anche più incisiva (per esempio acquisendo altri marchi forti di questo panorama in giro per il mondo), hanno soldi a sufficienza per fare una guerra e vincerla figurarsi se non si possono permettere di acquisire qualche marchio tra vecchio e nuovo continente….

      • Non sapevo stesse avendo dei problemi, mi ero fermato alla notizia dell’acquisizione. Piuttosto mi chiedo se le sofferenze siano dovute ad un calo della qualità oppure al fatto che da quando goose island è diventato ABi Inbev i bevitori di craft beer non lo hanno più preso in considerazione.

  1. La Corona è una birra al limite del bevile, come la heineken. Si tratta di birre, giusto per le sagre e i momenti di svago. Le grandi multinazionali crescono puntando sui numeri di massa, quello che la gente prende dallo scaffale della grande distribuzione.

    Diverso è il discorso delle birre artigianali italiane, le quali si bevono, non come una bibita, ma ricoscendo un valore di qualità. Una buona birra artigianale, oppure una birra belga, la si beve con il piacere del prodotto di qualità. C’è lo spazio per il tavernello, ma anche e soprattutto per il Chianti o il Prosecco se vogliamo trasferire il discorso nell’ambito del vino.

    Sta a blog come questo, diffondere la cultura del buon bere e far capire alla gente che si interessa, la differenza tra una birra da supermercato ed una birra artigianale o di abbazia che sia.

    • “Si tratta di birre, giusto per le sagre e i momenti di svago”

      ma anche no

      direi che si tratta di “birre” destinate ad ogni occasione per quel 90% del segmento consumatori che non ha palato e/o interesse/conoscenza a bere qualcosa che si avvicini veramente ad una birra

      l’italiano medio tende a sentirsi “custode della sapienza enologica” solo perchè sente la differenza tra un tavernello(esclusiva del senzatetto) ed un lambrusco snobbando il primo, ma viceversa sulla birra siamo ancora al “no per me la birra è solo quella chiara”

      questioni di tradizione storica nazionale, l’industria ringrazia

    • In realtà ci vorrebbe una via di mezzo. La birra artigianale (soprattutto in italia) soffre un po’ di “gentrification” IMO. Qualità sì, tradzione anche, ma spero che in futuro non bisognerà mettersi il tight per bere una birra buona…

      La Goose island di per sé andrebbe considerata come una sorta di menabrea americana, ed in quest’ottica, la sua acquisizione assume un senso. Difficile che per adesso le multinazionali siano davvero interessate a numeri più piccoli.

  2. Questi colossi mica comprano “birre”, comprano marchi e quote di mercato attuali o potenziali. Che giovamento avrebbero a comprare un micro italiano che fa pochi HL e ha quote di mercato di nicchia?

  3. Faccio outing: Una Corona ghiacciata con tanto di lime o limone quando c’è veramente caldo la bevo con grande godimento. La vedo più come alternativa alla Lemonsoda che come birra 😛

  4. Loro vogliono conquistare il mondo (birraio)!

    Comunque ho visto che anche loro cercano di seguire la “moda” della birra diversa dal solito, ho visto che budweiser ha pubblicizzato in America la Bud Light aromatizzata con coriandolo e arancia (sulla falsa riga di una wit) e Miller a pubblicizzato Miller Midnight, una specie di dark lager.

    Anche loro vogliono utilizzare l’ignoranza birraia della maggior parte della gente facendogli credere di bere un prodotto di qualità…

    • Più che moda la definirei segmentazione dell’offerta. Da quando esiste l’industria birraria, esistono prodotti di questo tipo. Chiaro che negli ultimi anni sono visti da un punto di vista leggermente diverso rispetto al passato.

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