La birra trappista rappresenta una specialità brassicola estremamente affascinante, ma negli ultimi tempi sta vivendo un periodo assai complicato. La prima vicenda negativa risale all’inizio del 2021, quando la belga Achel uscì dal “club” dei birrifici trappisti a causa dell’interruzione delle operazioni di produzione da parte dei monaci locali. Poi a maggio dello scorso anno arrivò la notizia della chiusura del birrificio Spencer negli Stati Uniti, attivo all’interno dell’Abbazia di St. Joseph e unico trappista non europeo. Qualche giorno fa, infine, è arrivato l’ennesimo annuncio doloroso: i monaci dell’Abbazia di Engelszell, in Austria, lasceranno a breve la struttura che gestivano da quasi un secolo. Oltre alla comunità trappista del luogo, scomparirà anche il relativo marchio brassicolo, denominato Stift Engelszell. È dunque il terzo addio di questo tipo nel giro di neanche tre anni: una tendenza sicuramente preoccupante per un microcosmo molto delicato e vulnerabile.
Quando nel 2012 Engelszell divenne l’ottavo birrificio trappista del mondo, si compì una piccola rivoluzione nel settore della birra (non solo monastica). Fino a quel momento, infatti, i birrifici trappisti erano distribuiti esclusivamente tra Belgio (6) e Olanda (1) e l’ultimo (Achel) aveva aperto 14 anni prima. L’ingresso del birrificio austriaco nel novero dei produttori trappisti fu il primo segnale della trasformazione che stava per compiersi: in pochi anni si aggiunsero alla lista l’olandese Zundert, l’americano Spencer, l’italiano Tre Fontane e l’inglese Mount St. Bernard. Improvvisamente la birra trappista aveva perso il suo carattere monolitico, cambiando i propri orizzonti sia in termini numerici, sia come distribuzione geografica. Engelszell debuttò con la Gregorius, una Quadrupel, cui si aggiunsero nel tempo la Benno (Dubbel), la Nivard (Enkel), una Weizen e una Zwickel, tutte regolarmente contrassegnate in etichetta dal famoso bollino esagonale Authentic Trappist Product.
Come riportato dal sito ORF.at, alla base della scelta di lasciare l’abbazia c’è la crisi delle vocazioni. In altre parole non c’è stato ricambio generazionale nella comunità monastica e ora i quattro religiosi rimasti in loco, piuttosto avanti con l’età, hanno deciso di abbandonare la struttura. La decisione è stata annunciata dall’abate Dom Bernardus Peeters in una lettera personale inviata al vescovo Manfred Scheue e all’arciabate Korbinian Birnbacherr, presidente della Conferenza episcopale austriaca. Come accennato, i monaci trappisti risiedevano nel monastero da quasi 100 anni: arrivarono nel 1925 e hanno gestito la struttura fino a oggi senza soluzione di continuità, se si esclude il periodo tra il 1939 e il 1945 quando il monastero fu espropriato dal governo nazifascista e quattro monaci morirono nei campi di concentramento. L’abbazia di Engelszell è l’unico monastero maschile trappista di lingua tedesca e quindi particolarmente importante per l’ordine dei cistercensi della stretta osservanza.
I religiosi lasceranno la struttura a breve, anche se ancora non è stata fissata una data. La vicenda peraltro solleva dubbi sul futuro del monastero, un piccolo gioiello barocco incastonato tra le montagne austriache e affacciato sul Danubio, e quello delle attività commerciali legate alla vita monastica del posto. Il turismo era infatti uno degli elementi principali di sostentamento per l’abbazia, insieme alla produzione di liquori e, più recentemente, di birra. L’arciabate Birnbacher ha espresso disponibilità a offrire supporto:
Ringrazio i fratelli trappisti per il loro lavoro negli ultimi cento anni. Desidero ringraziare i responsabili dell’Ordine per il loro impegno ed esprimo il mio apprezzamento per una decisione risoluta, che sicuramente non è stato facile prendere. Auguro ai monaci tutto il meglio e la benedizione di Dio per il loro futuro. La Conferenza episcopale austriaca rimarrà a disposizione dei trappisti per supporto e consigli e porterà il proprio aiuto dove sarà necessario.
La vicenda di Engelszell rende ancora più evidente la grave crisi che sta investendo la birra trappista. Se la chiusura del birrificio Spencer ha avuto una causa economica – il mastodontico progetto non si è dimostrato sostenibile per i conti del monastero – quelle di Achel e Engelszell rivelano invece il vero problema che mina il futuro di questo mondo: l’assenza di un ricambio generazionale nelle comunità monastiche. Rispetto al passato i giovani non sono più interessati a entrare negli ordini religiosi, con tutte le conseguenze che si possono facilmente immaginare. Le comunità trappiste stanno invecchiando ed evidentemente lo stanno facendo tutte insieme. Perdere a distanza di pochi mesi due marchi trappisti su dodici (oltre all’americano Spencer) è più di un semplice campanello d’allarme. È il segnale di un grave problema che mette a rischio l’esistenza stessa della birra trappista.
Questo limite emerge curiosamente in un momento storico in cui la birra trappista stava mostrando una vivacità senza precedenti. Dopo essere rimasta praticamente identica a sé stessa per decenni, se non secoli, improvvisamente si era distinta per il lancio di birre inedite, collaborazioni, novità commerciali, oltre all’incremento dei birrifici raccontato poco sopra. Tutti sforzi importanti per rinnovare la propria immagine e adattarsi ai cambiamenti del mercato birrario internazionale, ma che rischiano di essere vani di fronte a un ostacolo ben più impattante e per il quale, al momento, non sembrano esistere soluzioni.