Al giorno d’oggi fare informazione in maniera corretta è molto complicato. Il web e i social hanno permesso di accedere alle notizie quasi in tempo reale, con un’immediatezza che in passato era appannaggio (forse) solo della radio. Se questa innovazione rappresenta sulla carta una conquista importantissima, dall’altra ha favorito lo sviluppo di alcune dinamiche aberranti, diventate ormai evidenti. La velocità di pubblicazione è ormai l’unico mantra valido per molte testate giornalistiche, ossessionate dalla pubblicazione dello scoop nel minor tempo possibile, dalla battaglia al maggior numero di click, dalla creazione di engagement a tutti i costi. Fino a rinnegare quelle che dovrebbero essere le basi imprescindibili del lavoro giornalistico: verifica delle fonti, fact-checking, rispetto dei diritti delle persone coinvolte nelle notizie, solo per citarne alcune. Le conseguenze di questo malcostume possono essere molto gravi, poiché basta un solo articolo scritto in maniera colpevolmente superficiale per creare un devastante effetto a catena. Un recente esempio ha purtroppo riguardato il ristorante Brado di Roma, pesantemente danneggiato dal modo in cui molte testate hanno raccontato i contorni dell’omicidio di Martina Scialdone.
Prima di tutto però è necessaria una premessa. Avremmo voluto pubblicare l’articolo che state leggendo diversi giorni fa, quando la vicenda era sulle prime pagine di tutti i giornali italiani. Dopo le prime incredibili (e infondate) ricostruzioni, Brado è diventato l’obiettivo di uno shitstorm di dimensioni importanti, con gli effetti che potete immaginare sull’immagine del locale. Nel nostro piccolo avremmo voluto subito difendere lo staff del ristorante, ma proprio per l’etica del lavoro che facciamo quotidianamente – e che purtroppo è sempre meno rispettata altrove – abbiamo dovuto attendere notizie certe, comunicati ufficiali e ricostruzioni affidabili. Sebbene siano passati pochi giorni dai fatti accaduti a Viale Amelia, il risultato è che questo pezzo può sembrare fuori tempo massimo e quasi anacronistico, a causa di quella percezione di velocità dettata dalle agende dei quotidiani. Non possiamo farci nulla: fare cronaca significa rispettare regole precise, le stesse che ci hanno sempre guidato da quando esiste Cronache di Birra. Regole che se ne fregano di contare i click se per farlo occorre passare sopra i principi morali.
Per chi non lo conoscesse Brado è uno dei tanti locali romani contraddistinti da una valida offerta di birra artigianale. È senza dubbio uno dei ristoranti più interessanti tra quelli aperti in città negli ultimi anni, perché unisce uno straordinario menu basato essenzialmente su selvaggina a una grande passione per la birra: l’impianto di spillatura vanta addirittura 10 vie e due handpump e propone alcune delle migliori produzioni italiane e straniere. È un luogo speciale, basato su un format originale (non solo rispetto al panorama capitolino) e ispirato da una filosofia percepibile in ogni scelta, a partire dal menu fino ad arrivare al design degli interni.
Lo scorso 13 gennaio nello spazio antistante il ristorante è avvenuto l’omicidio ormai tristemente famoso. Dopo aver cenato presso Brado e al termine di una lite furiosa, Costantino Buonaiuti ha esploso un colpo di pistola contro la fidanzata Martina Scialdone, uccidendola. Una terribile notizia di cronaca nera, da cui le redazioni dei giornali sono partite per creare articoli acchiappa-click nel minor tempo possibile. Sono cominciate le ricostruzioni sommarie, le rincorse alle dichiarazioni (non verificate) dei presunti testimoni, la ricerca di elementi pruriginosi nel passato dei protagonisti. Quello che è successo nelle ore successive è stato un trionfo di vergognose fake-news, in una quantità impressionante per un singolo fatto di cronaca. E tra le tante stupidaggini scritte – l’omicida era una guardia giurata, anzi no un dipendente dell’Enav; era malato di cancro, anzi no l’aveva fatto credere ai suoi colleghi; aveva preso la pistola allo stesso poligono di Claudio Campiti, anzi no l’aveva comprata in un’armeria – ci è andato di mezzo anche Brado.
Nei giorni successivi agli omicidi i giornali hanno accusato lo staff di Brado di non aver tutelato Martina Scialdone. Tra le varie falsità si è potuto leggere che la coppia sarebbe stata stata invitata a lasciare il ristorante nel pieno della lite, perché stava arrecando disturbo agli altri commensali – alcuni dei quali soddisfatti di questa scelta – o che addirittura Martina sarebbe stata allontanata dal bagno del locale in cui si era rifugiata per fuggire dal suo aguzzino. Niente di più falso. Nulla di questo è avvenuto. Ma tanto è bastato per scatenare una tempesta denigratoria contro Brado, preso di mira dai tanti utenti social dall’indignazione facile che hanno cominciato a riempire di insulti e recensioni negative la pagina Facebook del ristorante. Il classico shitstorm a cui ormai siamo abituati, con l’aggravante che le ricostruzioni dei giornali erano completamente inventate.
I proprietari di Brado hanno sempre negato quanto riportato dai quotidiani, finché la verità finalmente ha cominciato a emergere in maniera ufficiale quando sono arrivate le prime conclusioni delle indagini. A mettere fine a questa triste vicenda di fango mediatico è arrivato il comunicato del Presidente della Commissione Informazione giudiziaria e della divulgazione dei diritti della Camera Penale di Roma, che riportiamo in maniera integrale:
La tragica morte della giovane Collega Martina Scialdone (Martina Scialdone era avvocato ndR) avvenuta lo scorso 13 gennaio accende nuovamente i riflettori sul modo di fare informazione giudiziaria nel nostro Paese. La Camera Penale di Roma e la sua commissione “Informazione giudiziaria e della divulgazione dei diritti” denunciano la grave campagna denigratoria abbattutasi sul ristorante davanti al quale ha trovato la morte la Collega, causata da informazioni parziali e inesatte riportate da alcune testate giornalistiche.
A poche ore dal fatto – ben prima dell’udienza di convalida dell’arresto – sono state diffuse informazioni secondo cui i proprietari del ristorante, negli attimi antecedenti al tragico epilogo, avrebbero cacciato la ragazza dal bagno in cui si era rinchiusa per fuggire al proprio aggressore, ignorando il pericolo e restando del tutto indifferenti alle sue richieste di aiuto e avrebbero pure omesso di allertare le Forze dell’Ordine, ignorando persino un’esplicita richiesta d’aiuto della vittima.
La diffusione di queste informazioni ha inevitabilmente suscitato un moto di sdegno nell’opinione pubblica, che si è spinta sino a ricoprire di pesanti attacchi ed insulti tutto il personale del ristorante, accusato addirittura di essere complice dell’omicidio, inneggiando al boicottaggio dell’attività commerciale, con tanto di nome e indirizzo dell’esercizio commerciale.
All’esito dell’udienza di convalida dell’arresto del 17.01.2023, invece, il Gip del Tribunale di Roma ha smentito le congetture giornalistiche, confermando che la Collega Scialdone non è stata allontanata dal ristorante e che il proprietario ha invece prontamente allertato le Forze dell’Ordine; ma il danno era fatto e l’errata informazione aveva già scatenato tempeste di odio che hanno trovato sui social media una cassa di risonanza, compromettendo in maniera del tutto ingiustificata e intollerabile la vita di chi, suo malgrado, è stato oggetto di quelle attenzioni.
Il diritto di cronaca è sacrosanto e la Camera Penale di Roma ne riconosce da sempre il cruciale rilievo nel quadro degli equilibri democratici e costituzionali; ma esso non implica il diritto di diffondere informazioni errate senza alcuna verifica, specie in frangenti di tale delicatezza. Spetta alle Autorità competenti muovere accuse ed accertare le eventuali responsabilità: ciò richiede tempo e rigore investigativo e non può ridursi a giudizi sommari sugli organi d’informazione.
Dovrebbe essere questo il fondamento etico di ogni informazione, ma l’esperienza quotidiana dimostra quanto si sia lontani dall’obiettivo. Noi non ci acquieteremo, né smetteremo di denunciarlo.
Da parte dei professionisti dell’informazione non c’è stato alcun mea culpa, a parte qualche caso isolato come quello di Marco Proietti Mancini su Facebook. Parole che quasi suonano vuote di fronte ai danni che la disinformazione ha arrecato a Brado, con la complicità di chi si è permesso di insinuare cose tremende senza prendersi la briga di verificare le proprie fonti. Un comportamento inaccettabile dal punto di vista professionale e umano, che tra l’altro espone i suoi autori a rischi legali non indifferenti. E che, come tristemente sappiamo, non prevedrà alcun tipo di riaccreditamento mediatico per Brado.
Se volete supportare il locale la cosa migliore è frequentarlo. Dopo domani (mercoledì) riaprirà dopo una lunga chiusura volontaria, decisa per ovvi motivi. Chissà che questa vicenda non servirà per farvi conoscere questo ottimo locale romano.