Immaginate questa scena: il Ministro dell’Agricoltura che, in una delle sue prime uscite pubbliche, parla esclusivamente di birra artigianale e luppolo italiano. Non è fantascienza, ma esattamente ciò che è accaduto lunedì scorso, in occasione della Giornata nazionale del luppolo organizzata da Coldiretti e dal Consorzio Birra Italiana. L’evento è servito per fare il punto sull’evoluzione della filiera e in particolare sulla coltivazione del prezioso rampicante, con un riuscito mix tra approfondimenti tecnici, momenti di contatto diretto con la materia prima e interventi istituzionali. Tra questi ultimi ha spiccato quello del già citato ministro Francesco Lollobrigida, la cui presenza ha ovviamente aggiunto enorme prestigio (e aspettative) all’iniziativa, permettendo di portare all’attenzione dell’opinione pubblica esigenze, difficoltà e speranze dell’intero comparto della birra artigianale. La portata dell’evento di lunedì ha avuto quindi non solo un valore simbolico straordinario – e se non lo capite o condividete torniamo al problema del 3% – ma anche possibili ripercussioni concrete sul futuro del settore.
L’intervento del ministro Lollobrigida ha toccato vari punti, non tutti strettamente legati all’argomento di giornata. Per ragioni comprensibili ha spesso divagato toccando temi molto politici, ma pur sempre legati all’agricoltura e al sostegno alle aziende italiane. Però ha anche approfondito argomenti relativi espressamente al segmento artigianale della birra, indugiando in particolare sulle accise. A tal riguardo ha dichiarato di guardare con interesse al modello francese, che prevede una disciplina a scaglioni in base alla dimensione del birrificio, sulla falsariga di quanto indicato dall’Unione Europea. Nulla di particolarmente rivoluzionario, perché un’impostazione del genere (ma meno articolata) era stata inserita per la prima volta nella Legge di Bilancio dell’anno 2019, per poi essere rinnovata, con alcune modifiche, dalle successive finanziarie. Fino a oggi però questo intervento è stato solo temporaneo, tanto che, in mancanza di proroghe, dal prossimo anno si tornerebbe al regime precedente. Le dichiarazioni del Ministro perciò sembrano non solo scongiurare questa possibilità, ma lasciare ampi margini per una rivoluzione strutturale (e definitiva) della disciplina delle accise sulla birra.
All’evento erano chiaramente presenti anche i presidenti di Coldiretti e del Consorzio Birra Italiana, rispettivamente Ettore Prandini e Teo Musso. Il primo ha sottolineato le difficoltà che stanno affrontando i birrifici italiani, a causa del caro prezzi che sta toccando ogni aspetto del processo produttivo e di confezionamento, dalle materie prime al costo dell’energia, da quello degli imballaggi a quello di lattine, bottiglie, tappi, fusti di plastica. Prandini ha anche ricordato la carenza di CO2 e la contrazione nella raccolta dell’orzo, altri due aspetti non secondari per l’economia delle aziende brassicole italiane. Teo Musso ha invece ripercorso rapidamente la storia della birra artigianale italiana per spiegare come e dove siamo arrivati, sottolineando che c’è bisogno di interventi di sostegno per un settore che è uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy. In entrambi i casi è stato richiesto il supporto attivo da parte del mondo della politica, una richiesta rispetto al quale il ministro Lollobrigida è apparso piuttosto recettivo.
Uno degli interventi che personalmente ho trovato più ficcanti è stato quello di apertura di Vincenzo Gesmundo, segretario generale di Coldiretti. Con poche parole Gismondo ha inquadrato con una lucidità impressionante alcuni problemi del nostro settore, concentrandosi in particolare su due temi: la contrapposizione in termini etici e “filosofici” con la birra delle multinazionali e la demonizzazione del consumo di bevande alcoliche. Nel secondo caso ha spiegato come i moderni pruriti neoprobizionisti siano figli di una visione poco mediterranea di consumo di alcol, ma molto nordeuropea. Una visione influenzata dal binge drinking, da pesanti problemi sociali legati all’abuso di alcolici e da una diffusa mancanza di cultura alimentare di base. Un approccio ben lontano dal nostro, che punta ai divieti piuttosto che a favorire un consumo consapevole delle bevande alcoliche e che andrebbe scardinato.
La seconda parte dell’incontro è stata molto tecnica ma non meno interessante, con la presentazione degli ultimi aggiornamenti relativi alla coltivazione del luppolo in Italia. Parliamo di studi, ricerche e pubblicazioni di grande importanza e in alcuni casi persino pioneristici a livello mondiale, esposti da Katya Carbone del CREA e da Tommaso Ganino dell’Università di Parma. In questa sede non ci addentreremo nei dettagli dei suddetti report, dedicandogli magari in futuro un articolo specifico. A livello generale sono emersi alcuni punti fermi e l’impressione è che l’imponente lavoro fatto in questi anni non sia che la punta dell’iceberg di ciò che potrebbe essere indagato e sviluppato in futuro. Anche in questo caso però è necessario disporre di fondi (che l’Europa in realtà ha già stanziato, ma rischiano di non essere utilizzati) per non interrompere progetti che sembrano a dir poco incoraggianti.
La terza parte dell’evento ha invece permesso di “assaggiare” direttamente il luppolo coltivato in Italia, grazie alla partecipazione di alcune aziende agricole che presentavano i loro prodotti in una sala appositamente allestita. È stato interessante confrontare la resa di luppoli in fiore con quelli in pellet, apprezzare le peculiarità delle varietà di origine straniera coltivate in Italia, analizzare le differenze di una stessa varietà da produttore a produttore. Un’opportunità preziosa tanto per gli addetti ai lavori (diversi i birrifici presenti all’evento, ma ancora troppo pochi), così come per i semplici curiosi, che restituisce solo in parte i grandi passi avanti compiuti in un campo dell’agricoltura che fino a qualche anno fa praticamente non esisteva.
La Giornata nazionale del luppolo ha offerto molti segnali importanti e può essere considerata il trionfo di un progetto nato dal sogno di pochi visionari, ma anche il suo punto di partenza. I passi avanti compiuti nella costruzione di una vera filiera italiana della birra sono impressionanti, soprattutto se considerati in rapporto al parametro temporale degli avvenimenti. Checché se ne dica mai come oggi si avverte interesse per la birra artigianale – intendiamo interesse vero, non quello mutevole e umorale delle mode di consumo – ed è importante sfruttare questo momento propizio in ogni modo. Il rischio è di perdere uno degli ultimi treni a disposizione di tutto il settore.
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