Martedì scorso abbiamo pubblicato la notizia riguardante l’azione legale che il birrificio KBirr di di Giugliano Campania (BN) sarebbe pronto a intraprendere nei confronti di Birra Peroni, a causa della presunta pubblicità ingannevole che verrebbe veicolata tramite Birra Napoli. Ricordiamo che Birra Napoli è un marchio di proprietà di Peroni dal 1929 e che, dopo una lunga pausa, circa un anno fa è stato riesumato dell’azienda per diventare una nuova birra. Il problema – analogo ad altre situazioni, come quello che coinvolse in passato Heineken per Birra Messina – è che il legame tra la birra e la città di Napoli è alquanto labile, se non del tutto assente. Nell’articolo che abbiamo pubblicato martedì abbiamo ripreso le parole di Fabio Ditto di KBirr come riportate da Il Giornale. Qualche ora fa abbiamo ricevuto una lettera di smentita e precisazioni da parte di Birra Peroni sulla vicenda, che riportiamo integralmente.
La lettera è a firma del dott. Federico Sannella, Direttore delle Relazioni Esterne dell’azienda. A seguire la mia risposta.
Egregio Dott. Turco,
in riferimento all’articolo “Il birrificio Kbirr porta Peroni in tribunale a causa di Birra Napoli” apparso sul blog Cronachedibirra.it lo scorso giovedì 8 ottobre, mi corre l’obbligo di fare alcune precisazioni, rispondendo alle accuse mosse dal Signor Fabio Ditto verso l’azienda che rappresento e alle asserzioni contenute all’interno del pezzo.
Innanzi tutto, è necessario specificare che Birra Napoli, nel corso della settima edizione del Premio San Gennaro Day, non ha ricevuto alcun premio, bensì è stata l’azienda che produce Birra Napoli, ossia Birra Peroni, ad aver conferito un riconoscimento Speciale al regista Saverio Costanzo, per il forte senso di appartenenza che lo lega al Capoluogo Partenopeo.
In secondo luogo, l’affermazione virgolettata e quindi attribuita a Ditto, relativa al presunto sfruttamento improprio del nome della città per il solo fatto che la birra viene prodotta a Roma risulta non solo superficiale ma persino incauta. Infatti, l’obbligo di legge di indicare il luogo e lo stabilimento di produzione è perfettamente assolto da Birra Peroni, ogni altra considerazione in merito è del tutto personale e priva di ogni riscontro fattuale.
È necessario inoltre chiarire l’evidente fraintendimento che le imprecisioni contenute nell’articolo possono causare anche nel lettore più attento: nel testo si parla impropriamente di orzo e malto, ingenerando una confusione notevole.
Possiamo serenamente assicurare, senza indugi, la tracciabilità del processo, dall’ingresso di tutte le materie prime utilizzate per Birra Napoli, confermando che il grano duro e l’orzo sono al 100% di origine campana, come comunicato in sede di promozione del prodotto.
L’orzo che usiamo per produrre Birra Napoli è tutto di origine campana e ci viene fornito da AgriCampana con sede a Napoli. La lavorazione dell’orzo campano avviene, invece, presso la Malteria Saplo di Pomezia, e il malto così realizzato viene poi trasferito allo stabilimento di Birra Peroni di Roma, dove Birra Napoli viene prodotta e confezionata.
Sulla base di quanto appena evidenziato e chiarito, emergono pertanto due dati inequivocabili: in primo luogo che Birra Peroni ha comunicato correttamente l’esistenza di due ingredienti – l’orzo e il grano duro – di provenienza campana (dato che smentisce quanto affermato da Ditto), in secondo luogo che non esiste “una sola malteria italiana” sita in Melfi, così come asserito sempre da Ditto.
Inoltre, vorrei ricordare che Birra Napoli è un marchio storico di proprietà di Birra Peroni dal 1929 (anno in cui nostra azienda acquistò le Birrerie Meridionali) e rilanciato poi nel 2018.
Infine, è bene chiarire che non esiste attualmente alcuna “vertenza” che interessi il brand Birra Peroni.
Innanzitutto ringrazio il dott. Sannella per le precisazioni e per aver voluto veicolare le sue parole tramite Cronache di Birra. Da osservatori del settore birrario non possiamo che prendere atto della smentita di Birra Peroni e della fondatezza dei dati sottolineati nella lettera. Altresì è impossibile non notare come le precisazioni si concentrino sulla provenienza degli ingredienti campani e non sulla questione centrale della vicenda, cioè l’opportunità di legare il nome di un marchio a una città con la quale Birra Peroni – e dunque il marchio stesso – non ha alcun tipo di rapporto produttivo. Come dimostrano precedenti analoghi, la proprietà di un marchio non giustifica un’azienda a utilizzare quest’ultimo quando può confondere il consumatore, come nel caso di un legame geografico che non trova conferme nella realtà dei fatti.
A nostro avviso le ragioni di Peroni per l’uso del marchio Birra Napoli – la sede produttiva riportata in etichetta, la provenienza campana di alcuni ingredienti, la proprietà del marchio – sono deboli e comunque non sufficienti a sollevare il prodotto dai problemi di pubblicità ingannevole. Ma ovviamente non siamo noi a dover giudicare in merito. Di contro, poiché l’azienda afferma di non aver ricevuto alcuna comunicazione da parte dei legali del birrificio KBirr, è giusto aspettarsi che quest’ultimo porti avanti l’azione legale paventata o, in caso contrario, comunichi pubblicamente i motivi per cui ha deciso di desistere. Tertium non datur, perché altrimenti potrebbe sembrare che dietro tutta la querelle ci siano solo obiettivi pubblicitari.
Sarebbe auspicabile copiare la normativa belga secondo la quale non si può dare il nome di un luogo a una Birra se lo stabilimento produttivo non ha lì il sito
Ciao Ivano, sì hai ragione. Il punto è che queste situazioni dovrebbero essere disciplinate in partenza e non a posteriori, quando ormai il danno è fatto.
Il giochino dell’utilizzare il territorio come legame non smetterà mai di essere usato dalle multinazionali della birra, possono attaccarsi solo a quello come leva di marketing.
Quando un birrificio industriale rischia, mette nel proprio advertising parole come “non filtrata”, “cruda”, “naturale” o “grado primitivo di fermentazione” (ve la ricordate? Era un giochino talmente scemo che ormai si fatica pure a ricordarsi di che birra fosse). Dico rischia perché tutti ormai sanno che il prodotto industriale non è sinonimo di eccellenza. Anche i consumatori medi, che di facciata sposano totalmente uno o l’altro brand di birra industriale, sarà anche lo stesso che denigrerà la birra artigianale per essere “troppo costosa”, non considerando che prendendola al supermercato il paragone è fin troppo facile, ma al pub la questione è ben diversa.
Allora il nostro caro capitalista con monocolo ben piantato sull’oculare, decide di riesumare marchi dimenticati e oscuri alla memoria dei più, spinto dal mero interesse di prendere ancora un po’ in giro il consumatore, creando ancora più rumore in quel brusio ben calcolato che è il marketing dei prodotti industriali che in inglese si chiamerebbero crafty.
Se forse qualcuno ha mai sperato che la sempre maggiore presenza delle birre artigianali sul mercato spingesse le multinazionali a migliorare il loro prodotto, beh, ne rimarrà deluso.
Forse meglio così per gli artigiani…
92 minuti di applausi di fantozziana memoria.