Come forse ricorderete, poco meno di un anno fa fu presentato in pompa magna il brand Birra Napoli, inedita creazione a firma Peroni dedicata alla città partenopea. Il lancio avvenne nell’ambito di una solenne conferenza stampa, alla quale parteciparono numerosi giornalisti nonché il sindaco Luigi De Magistris, che accolse la novità con parole entusiastiche. Nonostante i toni trionfalistici, la notizia non fu accolta positivamente dal mondo della birra artigianale e furono diverse le voci che si sollevarono contro l’iniziativa di Peroni. Non tanto per quello che l’azienda rappresenta – inutile sottolineare che nel nostro settore l’industria è sempre vista con diffidenza – quanto piuttosto per aver scelto di legare il proprio prodotto a una città quando questo legame è assolutamente flebile, se non del tutto assente. Un problema che sollevammo anche su Cronache di Birra e che, a distanza di un anno, sembra lontano da una soluzione. Tanto che ora arriva la risposta dei birrifici campani.
Come riportato qualche giorno fa da Il Giornale, il birrificio KBirr di Giugliano in Campania (NA) avrebbe incaricato il legale Alessandro Senatore di intraprendere un’azione civile per chiedere a Peroni di intervenire affinché sulle etichette di Birra Napoli appaia chiaramente il luogo di produzione. Nonostante il nome, Birra Napoli è infatti prodotta nello stabilimento Peroni di Roma e l’unico vago legame con la città partenopea è in una parte degli ingredienti, poiché la ricetta prevede l’impiego di orzo e grano duro campani. Sulla liceità di questo collegamento torneremo più avanti, perché prima di tutto mi sembra interessante riportare alcuni passaggi delle dichiarazioni di Fabio Ditto, fondatore di KBirr:
Birra Napoli è prodotta a Roma ma sulla etichetta è scritto a caratteri microscopici, nessuno se ne accorge”. […] Non c’è il lavoro di un solo napoletano, perché il vecchio stabilimento Peroni è diventato un centro commerciale. [Pizzerie e ristoranti che vendono Birra Napoli] giocano sull’equivoco. A loro la bevanda della Peroni costa molto meno delle birre artigianali effettivamente prodotte in Campania e propinano ai clienti la lager come se davvero fosse partenopea. […] L’unica malteria italiana è a Melfi e lì dentro lavorano tagli da cinquanta o cento tonnellate alla volta. Sfido chiunque a dimostrare da dove provenga l’orzo.
Un riferimento importante, che avevamo già sottolineato a suo tempo, è quello nei confronti del vecchio stabilimento di Peroni. In effetti la multinazionale oggi controllata dalla giapponese Asahi ha operato nella città partenopea per diversi anni, in particolare a partire dal 1926, quando assorbì le Birrerie Meridionali. All’epoca Birra Napoli già esisteva, perché era stata lanciata proprio dalle Birrerie Meridionali nel 1919: a quel punto il brand passò nelle mani di Peroni, che continuò a produrla per diverso tempo. Fino a quando? Curiosamente nel dettagliato excursus storico presente sul sito di Peroni non si fa cenno all’interruzione della produzione, ma probabilmente coincise con lo spostamento della fabbrica dalla storica sede di via Nuova Capodimonte alla zona di Miano, avvenuto negli anni ’50. Ciò che però è importante sapere è che il legame tra Peroni e la città si interruppe totalmente nel 2005, quando la multinazionale Sab Miller – all’epoca proprietaria del marchio – decise di chiudere il polo produttivo di Miano, che oggi è oggetto di una riqualificazione con altra destinazione d’uso (vi sorgerà un centro commerciale).
Come già spiegato quasi un anno fa, la scelta di lanciare oggi Birra Napoli è molto azzardata, benché il marchio sia ancora regolarmente posseduto da Peroni. Esiste un precedente importante ed è quello di Birra Messina, per cui anni fa l’Antitrust condannò Heineken per aver continuato a utilizzare il marchio nonostante la produzione della birra fosse stata spostata da tempo in Puglia. Qui la situazione è pressoché identica, se non fosse per quel minimo legame suggerito dall’orzo e dal frumento. Tralasciando che questi ultimi sono “campani” e non “napoletani”, bastano per rendere ammissibile il nome scelto da Birra Peroni?
Probabilmente no. La mossa di Peroni di creare un legame geografico tramite la provenienza di parte degli ingredienti – che tra l’altro, come affermato da Ditto è tutta da dimostrare – potrebbe non bastare. Il comma 1 dell’articolo 21 del D.lgs. 146/2007 afferma infatti che:
È considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
E nello specifico tra gli elementi menzionati c’è anche l’origine geografica del prodotto, come specificato più avanti dallo stesso articolo:
b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;
Quindi il nome Birra Napoli sarebbe pubblicità ingannevole perché, nonostante alcuni dei suoi ingredienti provengano effettivamente dalla Campania (ma non da Napoli!), potrebbe facilmente instillare nel consumatore l’idea che la birra è prodotta a Napoli, cosa che sappiamo non essere vera. Si tratterebbe insomma della stessa situazione in cui si è trovata Heineken con Birra Messina e la provenienza di orzo e grano sarebbe totalmente irrilevante. Inoltre la pubblicità ingannevole è considerata lesiva non solo nei confronti dei consumatori finali, ma anche dei concorrenti del mercato, rendendo presumibilmente ammissibile l’azione legale di Kbirr. Ci tengo a precisare che tutte queste elucubrazioni sono il frutto delle valutazioni del sottoscritto, che non è certo un professionista in materia. Quindi prendetele pure col beneficio d’inventario.
Nel caso di Birra Messina a intervenire fu Confconsumatori, mentre in questo caso siamo al cospetto dell’iniziativa autonoma di un’impresa privata che, tra le altre cose, potrà giovare anche di un discreto ritorno d’immagine. È curioso rilevare che l’avvocato Senatore, insieme alla collega Paola D’Amato, è già contrapposto a Peroni nella vertenza intrapresa dall’artista Jorit a causa dell’utilizzo indebito di una sua opera di street art da parte della multinazionale. Una leggerezza se vogliamo ancora più grave di quella di Birra Napoli e che lascia qualche dubbio sulle strategie commerciali scelte da Peroni negli ultimi tempi. Continueremo a seguire la vicenda per capire quale sarà il destino di Birra Napoli.
Mi fa sorridere la dabbenaggine del sindaco De Magistris che si lascia infinocchiare dalla storiella raccontatagli da Peroni. Sarà rimasto folgorato dall’etichetta coi colori della sua squadra del cuore e ciò gli è bastato per andare a presenziare la cerimonia di presentazione.