Novembre è senza dubbio un mese importante per i concorsi birrari. Dopo i risultati dello European Beer Star, che abbiamo commentato neanche una settimana fa, è ora il momento di occuparci del Brussels Beer Challenge. Questo concorso internazionale, chiaramente organizzato in Belgio, è ancora relativamente giovane eppure si è affermato velocemente nel panorama europeo. La performance globale dei nostri birrifici non è stata indimenticabile: 13 riconoscimenti totali, che rappresentano un misero bottino rispetto ai 26 dello scorso anno e ai 32 del 2016. A parziale consolazione va segnalato che gli ori sono aumentati se confrontati con quelli del 2017 (3 contro 2) e che è stata una birra italiana a conquistare il premio International Revelation, probabilmente il più importante tra i premi assoluti del contest.
La birra italiana in questione è la Ocra, una Saison prodotta dal birrificio Diciottozerouno di Oleggio Castello (NO) con una percentuale di frumento maltato, che evidentemente è stata particolarmente apprezzata dai giudici. Gli ori invece sono andati all’Agape del sardo Hop Us Est nella categoria delle birre al miele, a La Scüra del lombardo Dulac nella categoria Oatmeal Stout e alla Limes Rosa 2017 del toscano Bruton tra le Italian Grape Ale. Quest’ultima categoria è stata modellata sullo stile che il BJCP ha codificato in maniera ufficiosa nel 2015 e che indica l’anello di congiunzione tra il mondo del vino e quello della birra: non è un caso che anche il bronzo sia stato assegnato a una birra italiana, cioè la Selva 2018 di Birra dell’Eremo.
L’unico argento della spedizione italiana è arrivato con la Gare de Roubaix di Mezzavia nella categoria Biere de Garde: un risultato che conferma l’ottimo feeling del produttore sardo con il concorso. Oltre alla IGA di Birra dell’Eremo, gli altri bronzi tricolore sono stati assegnati a 1104 Bionda di Ibeer (Golden Ale), EQUA di Brew Bay (ancora birre al miele), Rais di Rubiu (Best Bitter), Laeale di Valscura (Double Saison) e Nautilus del già citato Mezzavia (Imperial Stout). Infine i certificati di eccellenza – che indicano birre di ottima fattura, ma non tali da entrare sul podio – sono stati ottenuti dalla BLF del Birrificio Le Fate (American Pale Ale) e dalla Nocturna di Kamun (Oatmeal Stout).
Tra i risultati generali spicca il dominio totale di Boon nella categoria delle Gueuze, che è riuscito nell’intento di portare a casa oro, argento e bronzo rispettivamente con Vat 108, Black Label e Mariage Parfait. Restando in tema di fermentazioni spontanee il premio Belgian Revelation è stato conquistato da Oud Beersel con Bzart Lambiek 2016, mentre il Brasile ha battuto gli USA nel premio per le Americhe, che è andato alla Cervejaria Bierbaum con la sua Dunkel. Senza entrare nel dettaglio di tutti i premi speciali, segnaliamo soltanto che lo European Revelation è stato curiosamente attribuito alla Playground, un’IPA non alcolica realizzata dall’olandese Van de Streek.
L’ultima assegnazione può sollevare alcune perplessità, che aumentano andando a spulciare tutti i piazzamenti nelle varie categorie previste dal concorso. Ciò che emerge è infatti un’invasione di prodotti delle multinazionali del settore (o marchi da esse controllati), capaci in alcuni casi di conquistare riconoscimenti prestigiosi. Abbiamo ori per Founders (San Miguel), Cisk, Duvel, Alken-Maes e argenti per Grimbergen (Carlsberg), Trou du Diable (Molson Coors), Boxing Cat (AB Inbev), Tsingtao, Firestone Walker (Duvel), Damm, John Martin. Che qualche riconoscimento finisca a birre industriali è lecito, soprattutto in categorie molto specifiche, e non è la prima volta che accade al Brussels Beer Challenge. Il problema è che il numero di queste “eccezioni” sta crescendo notevolmente di edizione in edizione, al punto da iniziare a rappresentare un problema.
Ci troviamo nella situazione in cui un birrificio artigianale magari esulta (giustamente) per il suo piazzamento da podio, quando a precederlo c’è però una birra industriale che sugli scaffali costa in paragone un quarto o un quinto – non è un caso ipotetico, date un’occhiata ad esempio alla categoria Imperial Stout. Quale messaggio arriva al consumatore finale in una situazione del genere? Ma soprattutto, come si arriva al punto che in un concorso una birra da discount riesce a superare decine di rivali artigianali? Sono domande legittime, che proveremo ad approfondire nell’articolo di domani.
Nel frattempo accogliamo i risultati del concorso con un doppio stato d’animo. Da un lato la consapevolezza che l’Italia è apparsa decisamente sottotono rispetto alle precedenti edizioni; dall’altro la soddisfazione per i riconoscimenti di diversi birrifici italiani, alcuni dei quali solitamente poco pubblicizzati. Complimenti a tutti loro.
Ci vuole tanto a capire che non bisogna iscriversi a concorsi ai quali partecipano le multinazionali? E’ autolesionistico.
Delle due l’una:
o questi concorsi sono farlocchi e quindi vanno sputtanati oppure cercare di migliorare il rapporto q/p del prodotto offerto al consumatore
Cosa intendi con farlocchi?
Sul prezzo ok che la birra artigianale italiana costa molto, ma nessuno può pretendere che un microbirrificio competa in prezzo con un marchio come Tsingtao