Se seguite Cronache di Birra da qualche anno, avrete vissuto con me la crescente comparsa sulla scena nazionale di tante beer firm nostrane. Con questa espressione si indicano quei birrifici privi di impianto di produzione, che si appoggiano su quelli di altre aziende per realizzare i propri prodotti. E’ una soluzione che consente meno controllo sul processo produttivo e margini più bassi, ma anche investimenti decisamente più contenuti. Si instaura dunque una sorta di partnership tra chi progetta la birra e chi effettivamente la realizza, anche se poi i riflettori risultano quasi sempre puntati sul primo. Oggi invece voglio parlare di chi si trova dall’altra parte del rapporto collaborativo, di chi cioè mette a disposizione il proprio impianto per conto terzi. Quello dei contoterzisti – termine efficace quanto cacofonico – è infatti un fenomeno in crescita quanto quello delle beer firm. Non per niente sono due entità che vanno a braccetto.
Generalmente un contoterzista è un birraio che dispone di un birrificio di proprietà , che utilizza per creare le sue birre e quelle di altri. Questi “altri” solitamente sono delle beer firm, ma non necessariamente: talvolta sono altri birrifici che necessitano di un momentaneo incremento della produzione altrimenti impossibile con il loro impianto. Il “locatore” può quindi limitarsi ad affittare l’impianto ad altri, realizzare birre su indicazioni di terzi oppure progettare la ricetta e realizzarla dall’inizio alla fine. La parte di produzione destinata a conto terzi può raggiungere percentuali ragguardevoli, fino a rappresentare gran parte del fatturato annuale dell’azienda.
I birrifici italiani che producono, anche in minima parte, birra per altri non sono pochi. Uno degli esempi più eclatanti è quello di Paolo Pezziga de Il Beerbante di Colorno (PR), considerabile ormai un birraio contoterzista per vocazione. Le sue collaborazioni in Italia sono tantissime e coinvolgono anche birrifici molto importanti. Nel prosieguo dell’articolo trovate un’intervista che ritengo molto interessante per capire cosa significa produrre birre per altre aziende.
Il fenomeno della produzione di birre su commissione sta aprendo orizzonti a progetti completamente nuovi. L’ultimo in ordine di tempo è quello del birrificio BQ, che mette a disposizione il suo impianto di Delebio (SO) a chiunque fosse interessato. Ma propone anche diverse cose in più, come soluzioni personalizzate, formazione specializzata, ospitalità presso la struttura, fornitura e affitto fusti, controllo qualità e corsi teorici e pratici tenuti da birrai stranieri. Quindi non semplice struttura per conto terzi, ma una sorta di campus che copre tutte le esigenze di chi vuole realizzare birre su impianti di altri.
L’altra faccia della medaglia delle beer firm è dunque rappresentata dai contoterzisti, con la differenza che la loro evoluzione spesso rimane nell’ombra. In un settore in forte crescita, tuttavia, la loro ascesa è paragonabile a quella di tutti gli altri attori coinvolti nel movimento. Ma come ci si avventura in questa specializzazione? Cosa è necessario possedere? Cosa restituisce in termini di emozioni? A queste e ad altre domande ha risposto Paolo – che ringrazio per la disponibilità – nell’intervista che segue.
Ciao Paolo. Sappiamo che Il Beerbante è un birrificio che lavora molto per conto terzi. Qual è la percentuale di birre che produci per clienti rispetto a quelle che produci a marchio Beerbante (cioè le TUE birre)?
Il 60-70% della produzione nel mio opificio avviene conto terzi. Quest’anno dovrei arrivare ad una produzione stimata di 1200 hl di cui circa 750 hl prodotti per altri. Occorrerebbe però differenziare il conto terzi in 2/3 sottocategorie: ci sono quelli che vogliono una mia ricetta a cui cambio solamente bottiglia ed etichetta, ci sono quelli che vogliono che costruisca per loro una ricetta su misura ed infine ci sono quelli che assolutamente vogliono che riproduca alla perfezione una loro ricetta.
Come accade che un birrificio si specializzi nel produrre per conto terzi?
Quando ho aperto il birrificio avevo un piano di sviluppo ben diverso, non avevo assolutamente preso in considerazione la possibilità di lavorare da contoterzista. Partendo da zero mi sono però trovato ad avere dei fermentatori vuoti e tramite conoscenze mi è stato presentato Claudio di Birra Amiata che stava cambiando l’impianto ed aveva necessita di trovare un appoggio temporaneo per produrre le sue birre. Poi si è trovato bene, ha parlato bene di me ad altri birrifici, che a loro volta hanno parlato bene di me ad altri ancora ecc. ecc. Senza rendermene conto mi sono specializzato nel produrre conto terzi.
Secondo te qualsiasi birraio può diventare contoterzista o bisogna possedere particolari attitudini?
Le attitudini del birraio devono essere la pazienza, la forza di non mettere mano alla ricetta se non richiesto dal committente (anche se a volte si pensa che il committente stia facendo cose assurde), oltre alla conoscenza/competenza della produzione in generale dei diversi stili birrai visto che si può lavorare sulle ricette più diverse che vengono commissionate e nei più diversi modi. Comunque oltre alle attitudini del birraio per diventare contoterzista occorre assolutamente un impianto il più duttile possibile: si può fare una 10 plato così come una 20 plato (con i rispettivi problemi in ammostamento, filtrazione ecc. ), si può usare un lievito a bassa o ad alta, lavorare in contropressione o rifermentare, filtrare o meno, ecc. ecc. Per soddisfare le esigenze di ogni cliente occorre investire molti soldi per avere un impianto veramente duttile.
Attualmente in Italia c’è un fiorire di beer firm che si appoggiano a impianti produttivi di altre aziende. Al di là delle personali occasioni di business, come valuti questo fenomeno?
In questi anni da contoterzista ho conosciuto due tipi di beer firm: quelli che cavalcano l’onda della moda della birra artigianale vedendo l’opportunità di fare affari e quelli che hanno passione per la produzione di birra ma pochi soldi per comprare un impianto, è la loro unica possibilità di realizzare un proprio sogno. Il più delle volte i primi hanno una rete commerciale già avviata e non fanno fatica a piazzare i loro prodotti riuscendo perfettamente a centrare gli obbiettivi, pur tuttavia spesso senza neppure sapere come viene fatto il loro prodotto. I secondi invece partendo il più delle volte da zero, fanno molta fatica ad entrare nel mercato seppur con prodotti buonissimi: io consiglio a loro di attrezzarsi per fare più fiere/mercatini possibili, in questo modo si riesce a far cassa vendendo il prodotto ad un prezzo consono per un consumatore finale e si riesce a farsi conoscere nella zona, sia da locali che da privati.
A livello emozionale, cambia qualcosa tra il produrre le tue birre e quelle per i tuoi clienti?
Sicuramente le mie birre le sento Mie (nel bene o nel male) e posso metterci mano per correggerle senza dover rendere conto di nulla a nessuno. Quelle che faccio per gli altri sono solo in parte mie. Mi emoziona mille volte di più un apprezzamento per una mia birra rispetto ad uno per una birra comunque da me prodotta (anche se comunque qualcosa mi lascia ugualmente).
C’è invece un aspetto particolarmente piacevole della tua specializzazione da contoterzista?
La cosa più bella, l’emozione più importante del lavoro conto terzi è dovuta alla possibilità di lavorare e confrontarsi sempre con altri birrai, alcuni provenienti dai microbirrifici italiani affermati ed importanti, altri alla loro prima esperienza. Ciascuno di essi (chi più chi meno, chi in positivo chi in negativo – da non rifare assolutamente) mi ha lasciato qualcosa che ho imparato e fatto mio. Se nel corso di questi anni le mie ricette sono cambiate – e credo migliorate – è merito soprattutto di quello che ho appreso lavorando con tanti altri birrai sui metodi di lavoro e sulle ricette più diverse tra loro.
In prospettiva, in Italia è possibile che emerga qualche grosso contoterzista, diciamo delle caratteristiche di un De Proef belga?
Sì, credo di sì. Se il settore birraio riesce a fare in modo che questa tendenza ad apprezzare la birra di qualità cresca nel tempo e non sia solo una moda passeggera, credo che tutto il mondo della birra artigianale sia destinato ad espandersi ancora e molto. Così come si possono (e lo stanno già facendo) sviluppare i birrifici che lavorano a proprio marchio allo stesso tempo possono e devono svilupparsi i birrifici che lavorano a conto terzi. E’ una conseguenza logica, essendo fornitore di altri birrifici, se questo aumenta i volumi chiederà al contoterzista volumi sempre maggiori.
Ciao, dov’è che si possono avere informazioni in più sulle attività del BQ?
Credo che ti basta inviare una mail a [email protected]
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Sono felice per quest’intervista molto interessante, sia per l’acume di Andrea nel realizzarla, sia perché si parla di Paolo, che oltre ad essere un caro amico, è una persona che mi ha aiutato nei momenti di bisogno, ossia durante lo stop, quando abbiamo cambiato l’impianto e quest’inverno quando si è congelato il birrificio.
L’immagine del contoterzista in Italia, a torto o ragione, non è molto “nobile”, è più da imprenditore bauscia che non da artigiano appassionato e creativo. Questa definizione non calza su Paolo, che è sicuramente un buon imprenditore che ha pianificato bene, si è creato fin da subito il suo suo spazio ed il suo “credo” birrario, con scelte sempre coerenti. Proprio per questo motivo aveva pianificato un impianto con capacità adeguata al possibile sviluppo e si è trovato all’apertura con qualche fermentatore vuoto sul quale, visto anche il contesto, io ed altri birrai in stato di necessità ci siamo fiondati. Quindi un birraio vero, un artigiano con le sue fisse, le sue antipatie, il cuore e le capacità di tanti altri che magari sono più presenti sulla bocca dei beer-geek del momento. Chi collabora con, acquista da, visita il Beerbante può apprezzare, oltre che la professionalità a volte davvero “teutonica”, (basti vedere la pulizia e l’immacolato ordine che regnano a Colorno) la disponibilità e la passione nello svolgere questo lavoro. Poi Paolo è una persona schiva, con una scorza necessaria a proteggersi dalle zanzare del Pò e da altro, ma chi ha l’opportunità di conoscerlo più in profondità scopre un ragazzo disponibile, generoso, affettuoso. Ci tenevo quindi a raccontare la mia esperienza per dare a Cesare quel che è di Cesare, in modo che Paolo emergesse per quello che è, un artigiano vero per vocazione, non solo un contoterzista! Ovviamente non è mai stato fatto, giustamente, da Andrea Turco alcun cenno a questa visione “negativa” del “contoterzista”, ma avendo partecipato a lunghe ed animate discussioni sia in Italia che all’estero sulla visione negativa di questa figura, ho creduto necessario mettere subito in chiaro il potenziale equivoco.
una domanda che mi è sorta leggendo l’intervista: come ci si comporta in caso la cotta risulti non soddisfacente (per risultato, qualità , difetti, infezioni, etc etc) ?
Rifare senza drammi
Non soddisfacente “per risultato” può significare molte cose… se il cliente ti dice che non è soddisfatto perchè è acida, puzza di morto, è spessa come la marmellata etc, etc, ha ragione, ma se adduce problemi tipo non ha 38 IBU come ti ho chiesto, tipo ma ci vorrebbe più schiuma (sic), tipo non la riconosco come una Munchner … ne parliamo.
Molto sta nel fidarsi del contoterzista e avere a che fare con una beer firm degna di entrambi i nomi (beer e firm).
beh credo che le responsabilità in quel caso dipendano dal grado di intervento del contoterzista, se non si è intervenuti e si è solo realizzata una ricetta di qualcuno credo si possa rispondere solo in caso di infezione (per capirci, se gli da da fare una birra che non ritiene valida e deve solo produrla non credo poi il committente si possa lamentare)
Grandissimo Paolo…..grande professionalità e passione!
credo che sulle responsabilità ci siano diversi distinguo come diceva sanpaolo (il birrificio, credo, non l’apostolo 🙂 ), certo una birra marcia è evidente che è responsabilità del birrifcio in quanto, evidentemente, non ha sanificato in modo ottimale……poi se mi portano dei luppoli dalle dubbie provenienze da mettere in dry senza alcun “preservativo”….allora il problema è diverso…..
Faccio anche io birra per altri e, di solito, mi piace scambiare le esperienze….iniziando con un amico birraio è tutto molto più facile e divertente…
🙂
Ciao, ma legalmente come ci si muove e cosa comporta fare un beer firm?
Apri una partita iva come ingrosso bevande, compri e rivendi.
Ci vuole anche una licenza di minuta vendita, da reperire all’agenzia delle dogane di competenza, si ritira e compila un modulo apposito, si appiccicano 2 marche da bollo da 16 e rotti e dopo una settimana si ritira timbrato e firmato.
Grazie mille…certo che cmq anche di fronte alla burocrazia molto più ridotta, uno potendo punta sul fare una beer firm piuttosto che imbarcarsi in un microbirrificio…tenendo sempre di fondo che le cose fondamentali per me sono la passione e la professionalità 😉