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Turismo, tradizione e territorio: intervista a Stefano Gilmozzi di Birra di Fiemme

Immersa nello straordinario paesaggio della Val di Fiemme, tra foreste secolari e tradizioni millenarie, Birra di Fiemme (sito web) è molto più di un birrificio: è un presidio di cultura alpina, agricoltura sostenibile e accoglienza. Nata dall’intuizione e dalla passione di Stefano Gilmozzi, questa realtà familiare ha saputo intrecciare la produzione artigianale con la valorizzazione del territorio, diventando un punto di riferimento per il turismo esperienziale legato alla birra. Visite guidate, percorsi didattici e degustazioni si affiancano a un profondo rispetto per le risorse naturali e alla coltivazione diretta delle materie prime, in un modello virtuoso che racconta – birra dopo birra – l’identità autentica delle Dolomiti. Negli scorsi abbiamo contattato Stefano per farci raccontare com’è nato il progetto, come si è evoluto nel tempo e perché oggi il legame tra birra e territorio rappresenta una delle chiavi per guardare al futuro.

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Ciao Stefano, grazie per la tua disponibilità. Birra di Fiemme è un’azienda familiare con una storia affascinante. Puoi raccontarci come è nata l’idea di produrre birra e come la tua famiglia si è inserita in questo percorso?

L’idea di avviare un birrificio è nata ben prima dell’apertura ufficiale di Birra di Fiemme, avvenuta nel 1999. Già nel 1996 rimasi molto colpito da una visita al birrificio Greiter, in provincia di Bolzano, soprattutto perché coltivavano il luppolo per alcune delle loro birre. La vera scintilla però scoccò quando, da appassionato di vecchie fotografie, scoprii l’esistenza di antichi birrifici nella zona della Val di Fiemme, come quello della famiglia Bernardi a Predazzo, attivo dalla metà del 1800 fino al 1930, e un altro a Fontanefredde (BZ). Queste ricerche mi fecero capire che produrre birra qui era una tradizione secolare, un tempo normale nelle aree alpine, dove si utilizzavano i cereali locali.

Dopo aver lavorato presso Greiter e aver conosciuto meglio il mercato grazie a mio cugino, che commercializzava birra, nel 1999 decisi di aprire un piccolo birrificio all’interno della pizzeria di famiglia a Cavalese. La vera svolta arrivò nel 2005, quando, insieme a mia moglie Luisa, decidemmo coraggiosamente di dedicare tutte le nostre energie a questa passione, trasferendoci in una vecchia colonia a Daiano. Lì potei sfruttare un impianto più grande, con cui produrre birra non solo per il consumo della pizzeria, ma anche per altri clienti. All’inizio le difficoltà non sono mancate, tra clienti scarsi, macchinari rudimentali e il freddo glaciale. Tuttavia, pian piano le cose sono migliorate, soprattutto quado i nostri tre figli, Michele, Stefania e Francesca, si sono uniti all’azienda una volta completati i loro studi, ognuno portando le proprie competenze professionali. Oggi Michele si occupa principalmente della produzione, Stefania è la nostra esperta beer sommelier (diplomata alla Doemens), e Francesca, agronomo, segue la coltivazione delle nostre materie prime. Mia moglie Luisa è sempre stata un pilastro, sostenendomi fin dall’inizio.

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La vostra identità di “agribirrificio” è centrale. Quando e perché avete deciso di coltivare autonomamente luppolo e orzo, e in che modo questa scelta influisce sulla qualità e sull’identità delle vostre birre?

Coltivare le nostre materie prime è stato un passo fondamentale, un vero ritorno alle tradizioni dei nostri nonni. Abbiamo iniziato con l’orzo distico nel 2010 e poi con il luppolo nel 2012. Per me è cruciale sapere dove e come vengono coltivati gli ingredienti per garantire un prodotto di vera qualità. Mia figlia Francesca, con le sue competenze agronomiche, è imprescindibile nel seguire i nostri disciplinari interni per il luppolo. Coltiviamo più di 7.000 metri quadrati di luppolo, con varietà come Hallertauer Tradition, Perle, Cascade e Hallertauer Taurus. La nostra acqua purissima di alta montagna è un altro ingrediente prezioso, fondamentale per le nostre ricette tradizionali.

Certo, utilizzare le proprie materie prime implica che non tutte le annate siano uguali; a volte il prodotto può variare leggermente. Tuttavia, i nostri clienti apprezzano l’autenticità, e con venticinque anni di esperienza, abbiamo acquisito le tecniche per lavorare al meglio gli ingredienti, anche se diversi da un anno all’altro, garantendo sempre un prodotto di qualità. Ad esempio, se l’orzo ha un contenuto proteico più alto, adattiamo le infusioni rendendole più lunghe, come si faceva una volta. Stiamo anche lavorando per realizzare una piccola malteria interna, per seguire ogni passaggio della trasformazione dell’orzo in malto. Inoltre, abbiamo piantato più di trecento viti di varietà Solaris, coltivate interamente a mano, che in futuro useremo per produrre le nostre Italian Grape Ale.

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La Val di Fiemme è una zona a forte vocazione turistica. In che modo Birra di Fiemme si inserisce in questo contesto e quali attività offrite per coinvolgere i visitatori?

Il turismo è fondamentale per noi in montagna. I turisti apprezzano molto i prodotti locali di qualità e sono disposti a spendere qualcosa in più, soprattutto se possono vedere di persona il nostro lavoro. Offriamo visite guidate all’impianto di produzione e ai nostri campi dove mostriamo le coltivazioni, le attrezzature agricole, il processo di produzione e, naturalmente, una degustazione finale. Le persone non sono stupide: vedono, assaggiano, apprezzano e, poi, ritornano.

In più, abbiamo sviluppato un progetto didattico chiamato “Tra bosco e fattoria”, un percorso autonomo, adatto a tutte le età, che porta i visitatori a conoscere il nostro territorio, le coltivazioni e le piccole creature che lo abitano. Ci integriamo anche con le numerose attività turistiche della zona. D’inverno, oltre allo sci, ci sono ciaspolate e gite in slitta. D’estate, la montagna offre camminate, rafting sul fiume Avisio (non pericoloso), passeggiate a cavallo e la possibilità di raggiungere alte quote con seggiovie per escursioni mozzafiato. La Val di Fiemme è vastissima, con oltre trenta piccoli laghi d’alta montagna: ciò significa che ogni giorno si può fare una camminata diversa per una settimana intera.

Il senso di appartenenza della zona è incarnata dalla “Magnifica Comunità di Fiemme”. Puoi spiegarci di cosa si tratta e come questa antica istituzione e le risorse del territorio contribuiscono a definire l’identità della valle e, indirettamente, del vostro birrificio?

La Magnifica Comunità di Fiemme è un’istituzione antichissima, con oltre mille anni di storia, che è proprietaria del territorio dai 1350 metri in su. La sua attività principale è legata al legname, di altissima qualità. Da mille anni, qui si pratica una semi-coltivazione dell’abete rosso, e abbiamo anche la famosa zona dell’abete maschio di risonanza a Paneveggio, il legno usato per realizzare i violini Stradivari.

La Magnifica Comunità offre lavoro a boscaioli e segherie ed esporta il legno in tutta Europa: per esempio, i pali di fondazione di Venezia erano fatti con legno della Val di Fiemme. Il territorio è anche ricco di cirmolo, utilizzato per sculture, e la montagna di Cermis prende il nome proprio dal pino cembro. Questa comunità, un tempo, svolgeva importanti opere di beneficenza: ha costruito l’ospedale di Cavalese, la prima strada fino a Ora nell’Ottocento, e ancora oggi offre borse di studio e il “legnatico”, ovvero legna gratuita per chi costruisce una casa in legno. Erano politiche comunitarie alpine che garantivano la sussistenza e una vita dignitosa. Questo legame profondo con la storia, le risorse naturali e le tradizioni della comunità locale è ciò che rende la Val di Fiemme unica e che noi cerchiamo di esprimere in ogni boccale della nostra birra.

Negli ultimi anni avete rinnovato il vostro impianto produttivo, passando a una sala cottura  automatizzata. Quali motivazioni vi hanno spinto a fare questa scelta e quali benefici concreti ha portato all’efficienza e alla qualità della vostra produzione?

La nostra produzione è iniziata nel 1999, con un impianto da 300 litri a Cavalese. Nel 2010, con l’ingresso in azienda di mio figlio Michele, abbiamo acquistato una sala cottura manuale più grande, da 25 ettolitri. L’anno scorso, abbiamo deciso di investire in un nuovo impianto della Braukon, sempre da 25 ettolitri ma ampiamente automatico. Pur non  aumentando la capacità, il nuovo impianto ci ha permesso di automatizzare gran parte dei processi, consentendo a Birra di Fiemme di entrare in una nuova fase della sua crescita.

La motivazione principale di questo recente aggiornamento, infatti, non era aumentare la produzione, ma liberare tempo prezioso per me e Michele, gli unici addetti alla produzione, consentendo di concentrarci su altri aspetti del lavoro. Questo ci permette di gestire la produzione in modo più efficiente, ottenendo un prodotto più consistente e un controllo ancora maggiore. L’automazione, infatti, non compromette l’artigianalità. Per l’imbottigliamento, dal 2015 utilizziamo una macchina Cime Careddu a 12 becchi, che all’epoca scegliemmo non solo per la qualità generale, ma anche per la sua eccellente capacità di sanificazione, un aspetto cruciale dato che le nostre birre non sono pastorizzate né filtrate.

Parlando delle birre, quali sono le tipologie più prodotte? Avete in gamma anche  birre particolari, con caratteristiche distintive che le rendono uniche, magari legate al territorio?

Le nostre birre sono tutte non pastorizzate, prive di conservanti e stabilizzanti, un vero boccale di natura. Tra le principali, produciamo una classica Helles chiamata Fleimbier, leggermente più amara rispetto al modello di riferimento a causa delle caratteristiche del nostro luppolo Perle. Poi c’è la Larixbier, una Dunkel, che sorprendentemente è la nostra seconda birra per volume di produzione. Cambiando genere, la Free Barabba è una Pale Ale ad alta fermentazione, con un 4,5% di alcol, che utilizza il nostro luppolo Cascade.

La nostra Weizenbier ha un 50% di frumento, mentre la Nòsa è una rivocazione storica della birra dell’antico birrificio Bernardi di Predazzo. L’abbiamo ricreata basandoci sui racconti degli anziani del paese, che la ricordavano come una birra delle feste, più forte (circa 6%) e dal colore dorato. Un’altra birra molto particolare è la Lupinus, che prevede l’aggiunta di lupino di Anterivo, presidio Slow Food dal 2024. Si tratta di un lupino tostato che conferisce note amare di nocciola e cacao e dunque caratterizza il profilo aromatico della birra, che peraltro nel 2021 ha ricevuto il premio Birra Slow dalla Guida alle Birre d’Italia di Slow Food. In gamma abbiamo anche la Black Sheep, una Stout dal carattere più cioccolatoso che caffettoso. La nostra acqua è molto povera di sali minerali, aspetto che la rende ideale per la maggior parte delle nostre birre; la correggiamo leggermente, aggiungendo calcio, solo per realizzare la Black Sheep.

Per concludere, qual è la filosofia di Birra di Fiemme? Cosa sperate che i vostri clienti percepiscano assaporando le vostre birre?

Per noi, la filosofia di Birra di Fiemme è profondamente radicata nella passione, nella ricerca e nel rispetto della nostra tradizione. Credo fermamente che la birra sia un veicolo straordinario per unire le persone; come dico sempre io, niente crea così tanta aggregazione e momenti spensierati come una buona birra, una bevanda sana e accessibile a tutti. Per noi il birrificio non è solo un prodotto o un’azienda, ma è la nostra famiglia, il nostro quotidiano, la nostra casa, un vero e proprio collegamento con il nostro territorio e le sue antiche tradizioni.

Il nostro obiettivo è chiaro: vogliamo che chi assaggia le nostre birre percepisca proprio questa qualità, l’attenzione minuziosa che ci mettiamo in ogni fase, e soprattutto il cuore di una famiglia che con amore e dedizione ha riscoperto e valorizzato un’antica alchimia. Vogliamo offrire un prodotto unico che sia l’espressione più autentica della nostra meravigliosa valle.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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