“Se ne inventano di nuove ogni giorno, per provare a venderci qualcosa”. Affermazioni del genere se ne sentono spesso nel nostro ambiente e talvolta a ragione, nel bene e nel male. Nuovi prodotti, nuovi stili, nuovi locali che camminano sul sottile filo che divide l’innovativo dal pretenzioso. Ma quella del bierstacheln è una tecnica tutt’altro che nuova e vanta, anzi, origini secolari. È vecchia di almeno 400 anni, stando ai racconti condivisi di Germania e Austria, e consiste nell’infilare un’asta metallica arroventata – “stacheln” in tedesco significa “pungiglione” – in un bicchiere di birra, per caramellizzarne gli zuccheri e montare una schiuma calda e dolce. Una pratica antichissima, dunque, che tuttavia sta tornando in auge nel settore, soprattutto tra locali e birrifici degli Stati Uniti.
La descrizione del bierstalchen può far storcere il naso, abituati come siamo ad associare la birra calda a qualcosa di imbevibile – senza distinzioni, almeno in questo contesto, tra gli amanti della birra ghiacciata e chi auspica, a ragione, temperature lontane dallo zero. Occorre però sottolineare che, fino a un paio di secoli fa, bevande a base di birra riscaldata non erano così insolite nel Centro e Nord Europa, nonché in America Settentrionale. Ma al netto della curiosità, qualche dubbio lo avevo anch’io, quando lo scorso luglio per la prima volta ho assaggiato una birra “modificata” con il bierstacheln.
Al di là delle considerazioni personali, la storia e il luogo in cui è nata danno ragione di esistere a questa tecnica che, peraltro, ha da tempo varcato i confini nazionali per diffondersi soprattutto in America. Inizialmente trovando applicazione nei freddi Stati del Nord, per poi conquistare anche i climi più caldi di Texas, Florida e California. Non mancano, poi, casi interessanti in Sud America e, come vedremo, in Italia.
La storia (in breve) del bierstacheln
Quattrocento anni fa non esistevano tecnologie di refrigeramento a temperatura controllata e la birra era solitamente conservata nelle cantine. Se ciò permetteva di consumarla fresca nel periodo estivo, la situazione cambiava radicalmente durante i gelidi inverni di Austria e Germania. Così, a qualche fabbro venne l’idea di usare uno dei suoi attrezzi arroventati per scaldare la birra, scoprendo che in questo modo non solo si alzava la temperatura nel bicchiere, ma si otteneva anche una schiuma cremosa e piacevoli sentori caramellati.
Questa è a grandi linee la storia che, con poche varianti, raccontano gli “importatori” della tecnica negli Stati Uniti. Tra loro c’è Ryan Foltz, co-fondatore di Pour Man’s Brewing (sito web) in Pennsilvania (Stato con massiccia popolazione di origine tedesca), e Kyle Marti, nipote del tedesco August Schnell, che nel 1860 fondò la Schnell Brewing Co. (sito web) in Minnesota. Ma in realtà il racconto non è distante da quello proposto dallo storico birrificio tedesco Weihenstephan (sito web), basandosi su elementi narrativi piuttosto verosimili.
Il bierstacheln oggi
Pare che proprio Ryan Foltz, assieme al padre, sia stato il primo a proporre il bierstacheln negli Stati Uniti, in occasione della Bockfest del 1987. Quello delle Bock (comprese le sue diverse varianti) è infatti uno degli stili più indicati per questa tecnica, che Oltreoceano, dove è chiamata beer poking, si applica sempre più spesso anche ad altre tipologie brassicole, come Stout e Porter. E così, come accennato, oggi ne fanno sfoggio anche a latitudini più basse: dal Texas, con Strange Land Brewery (sito web), alla Virginia, con Studly Brewing (sito web), senza dimenticare la Cohesion Brewing (sito web) di Denver, in Colorado, non nuova ad adottare singolari usanze europee come il mlíko.
Ma il revival del bierstalchen non è un fenomeno circoscritto solo agli USA, bensì attivo in tutto il mondo: sono sempre di più le birrerie e i birrifici che lo propongono, dal Canada al Brasile, dall’Inghilterra al Sud Africa. È facile ritenere che questa tendenza, anche nella scena artigianale, sia frutto di una spettacolarizzazione commerciale a uso e consumo dei social, con video più o meno virali prodotti dai birrai e dai locali che vi fanno ricorso in maniera regolare. Tuttavia le radici tradizionali resistono, come dimostrano diversi esempi presenti anche alle nostre latitudini.
La mia esperienza del bierstacheln alla Birreria Cassina
“Me ne ha parlato il mio insegnate della Doemens, Stephen,” racconta il beer sommelier Alex Beretta, “come qualcosa che si consuma in famiglia a fine pasto o nel periodo natalizio in Austria”. Partendo da questo racconto, Alex ha deciso di riproporre il bierstacheln nella sua Birreria Cassina (sito web) a Cassina Fra Martino (LC), dove mi sono spinto per sperimentare questa tecnica. Un viaggio non indifferente da Milano, dove (per ora?) è introvabile: la Birreria Cassina, infatti, è il locale più vicino alla città per chi vuole provare il bierstacheln.
Tra la selezione di birre artigianali e industriali del locale, il bierstacheln non è un cardine del listino di Birreria Cassina:
Non mi capita di farlo tutte le sere, ma ogni tanto qualche curioso viene appositamente. Altre volte i clienti notano le aste sul bancone e chiedono a cosa servano, quindi gli racconto storia e tecnicismi del bierstacheln prima di farglielo provare.
Così guardo Alex puntare una fiamma sulla punta del “pungiglione”, spiegandomi che impiega qualche minuto per renderlo rovente e ottenere la reazione desiderata. Mi racconta anche di come abbia sperimentato diversi stili prima di trovare la quadra. Stappa una bottiglia di Celebrator – Doppelbock scura a bassa fermentazione del birrificio Aynger – e prepara due bicchieri. Uno è per la birra “al naturale” e uno per il bierstacheln, così da comparare le due bevute e percepire meglio sentori e differenze.
Il secondo bicchiere va riempito a metà, perché infilando l’asta e facendola roteare, la schiuma sale e inizia a diffondere il suo profumo. Quest’ultimo è diverso di quanto ci si aspetterebbe: ha delle note affumicate che arricchiscono i classici sentori caramellati. L’assaggio è accolto dalla schiuma calda e avvolgente, mentre il liquido rimane fresco e regala l’aroma del residuo zuccherino “attivato” dall’asta rovente. È un sapore delicato: la dolcezza che qualcuno associa ai marshmallow arrostiti o al neologismo “birra brulè” è rintracciabile più facilmente con birre chiare e tendenzialmente dolci. L’abbinamento con cioccolato fondente e frutta secca arricchisce l’esperienza.
Successivamente, con qualche titubanza, Alex mi propone l’assaggio del bierstacheln con una Weizenbock: “Non è ortodosso, ma è uno dei primi esperimenti che ho tentato.” E invece, a detta del sottoscritto, è piuttosto azzeccato: qui i sentori nella schiuma sono più concentrati, e nel liquido banana e caramello sono amplificati.
Batzen Bräu e altri indirizzi dove trovare il bierstacheln in Italia
La Birreria Cassina non è l’unico locale in Italia che propone il bierstacheln. In Sud Tirolo c’è il Batzen Bräu (sito web) di Bolzano, evidentemente influenzato nell’adozione della tecnica dalla vicinanza geografico-culturale con l’Europa germanofona. Il birrificio altoatesino lo sperimenta con un ampia gamma di stili, tra Bock, Dunkel, Porter e Stout, che offrono sapori diversi a seconda dei tipi di malto utilizzati. Ma, come avverte Kasia Bruczynska del Batzen, la tecnica non può essere applicata a tutte le birre:
Mai farlo con birre molto luppolate, perché la reazione al calore le renderebbe troppo amare. Da noi il Bierstacheln è da tempo elemento fisso a menù, con curiosi ed esperti che vengono a provarlo e ne rimangono puntualmente soddisfatti. Tutti i nostri mastri birrai hanno studiato alla Doemens, in Germania, dove il bierstacheln si trova con frequenza. Per vicinanza culturale l’abbiamo da subito inserito a menù: data la nostra posizione geografica, proviamo a essere mediatori culturali tra Germania, Austria e Italia.
Nelle mie ricerche sulla sua origine ho notato che non esiste una versione definitiva. È probabile che risalga addirittura al Medioevo, dove più artigiani abituati a lavorare col ferro avrebbero iniziato a utilizzarla in contemporanea. O ancora, ho scoperto un probabile legame con le Steinbier: sono cose diverse, ma già si sapeva che una fonte di calore a contatto con la birra ne cambia il gusto.
Chi ha il centro Italia come meta più accessibile, a Roma c’è Il Boia (pagina Facebook), pub in zona Trastevere che propone il Bierstacheln anche nel suo altro indirizzo: il König Ludwig Bierkeller N. 2 (pagina Facebook) a Pescara. “È una delle chicche del nostro locale!”, dichiara il proprietario. “È un rito che affascina i clienti, soprattutto nel periodo invernale, e che pratichiamo con molto orgoglio!”
Conclusioni
Sebbene possa sembrare un vezzo modaiolo nato per stupire i social, il bierstacheln rappresenta una pratica antichissima, che affonda le sue radici nella storia della birra e che oggi torna a incuriosire appassionati e addetti ai lavori. C’è senza dubbio anche un elemento di spettacolarità che ben si presta a essere raccontato e condiviso, ma dietro c’è un gesto antico che restituisce alla bevuta nuove sfumature sensoriali. Che lo si consideri una trovata scenica o una tradizione da riscoprire, il bierstacheln dimostra come la cultura brassicola sia ancora in grado di sorprenderci, trasformando un boccale in un piccolo rituale capace di unire passato e presente.








