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Trappisti e non solo: l’importanza dei monasteri nella storia della birra

Nella storia della birra sono presenti alcuni elementi che consideriamo marginali, ma che invece hanno giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione della bevanda. Pensiamo alla produzione all’interno delle fattorie: facile considerarla alla stregua di una curiosità, invece è stata determinante per la cultura brassicola di un’ampia parte d’Europa, che va indicativamente dalla Francia occidentale fino alla Scandinavia e ai paesi baltici. Lo stesso discorso si può estendere ai monasteri, che per diversi secoli hanno rappresentato il luogo più importante per la produzione birraria. Oggi siamo portati a pensare che la birra realizzata nelle strutture religiose sia una simpatica stravaganza o al massimo l’espressione di un microcosmo con regole proprie; in realtà le abbazie hanno giocato un ruolo di primissimo piano nella storia della birra, influenzandone lo sviluppo e favorendo l’adozione di innovazioni decisive. Insomma, senza i monasteri oggi la birra sarebbe probabilmente molto diversa da quella che beviamo quotidianamente.

L’ascesa dei monasteri come luoghi di produzione – anzi, come primi luoghi di produzione su grande scala – coincise con la caduta dell’Impero Romano e la diffusione del Cristianesimo. La birra era un alimento a tutti gli effetti, fondamentale per il sostentamento delle comunità religiose. La bevanda era facile da produrre e considerata decisamente più salubre dell’acqua, spesso paludosa e di pessimo gusto. I frati producevano birra per il loro consumo interno, ma anche per i pellegrini, i meno abbienti e tutti coloro che erano interessati ad acquistare le produzioni dei monasteri. Con l’avanzamento del processo di secolarizzazione gli ordini religiosi entrarono in crisi e chiaramente persero il loro ruolo guida in termini brassicoli, tanto che oggi diversi birrifici monastici sono di proprietà laica. Inutile poi sottolineare le differenze con tutti quei marchi che semplicemente sfruttano su licenza il nome di un monastero o di un’abbazia, restando però totalmente privati.

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Anche chi riconosce l’importanza dei monasteri nella storia della bevanda spesso tende a farlo in maniera superficiale, magari limitandone l’impatto alla sola cultura brassicola del Belgio. In realtà le comunità religiose hanno mantenuto uno stretto rapporto con la birra anche in altre nazioni, come Inghilterra e Germania. Proprio il monastero tedesco di Weihenstephan, in Baviera, fu uno dei primi luoghi al mondo in cui furono prodotte birre di solo luppolo, in un’epoca in cui l’aromatizzazione era ottenuta con l’impiego di diverse spezie ed erbe: i documenti ne attestano l’esistenza già intorno alla metà del 700 d.C. Ma il birrificio Weihenstephan – oggi laicizzato insieme all’abbazia e di proprietà pubblica – vanta altri primati: è considerato il più antico produttore di birra ancora in attività e ospita una prestigiosa università per la formazione nel settore. A proposito di luppolo e di Germania, è impossibile non citare il fondamentale lavoro svolto da Ildegarda di Bingen, considerata una delle figure più importanti nella storia della bevanda.

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Può dunque non meravigliare che due delle “sei sorelle” di Monaco – cioè i soli birrifici ammessi all’Oktoberfest – siano legate ai monasteri. Augustiner è il più antico birrificio indipendente di Monaco ancora in attività e uno dei primissimi a operare nella città bavarese. Il monastero fu fondato alla fine del XIII secolo e il birrificio menzionato per la prima volta nel 1328. L’attività brassicola rimase in mano ai monaci fino al 1803, quando il monastero fu dissolto per effetto del processo di secolarizzazione, quindi il marchio passò in mani private. A parte Hofbräu, che è di proprietà pubblica, Augustiner è l’unico birrificio dell’Oktoberfest a non essere controllato dai grandi marchi del settore. L’altra “sorella” legata ai monasteri è Paulaner, marchio oggi posseduto per metà da Heineken. La prima testimonianza dell’attività del birrificio risale al 1634 all’interno del monastero monacense fondato da San Francesco da Paola, diventato importante a livello brassicolo per aver “inventato” lo stile delle Doppelbock: la Salvator vide la luce nel 1774 e ottenne un successo tale da essere imitata da tanti altri birrifici (che spesso hanno mantenendo il suffisso -ator in omaggio a Paulaner).

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Oggi i birrifici tedeschi associati ai monasteri sono una ventina, metà dei quali situati in Baviera. Per ricordi personali mi piace citarne tre. Il primo è Andechs, situato nei dintorni di Monaco di Baviera e che rappresenta sempre una tappa affascinante per una gita fuori porta. Il secondo è il monastero di Irsee, dove un tempo era possibile bere una fantastica Urtrunk (non so se ancora disponibile a quei livelli). Il terzo è il Klosterbräu di Bamberga, dove era solito ordinare esclusivamente la loro Schwärzla: peccato che nel tempo sia diventata un trionfo di diacetile praticamente imbevibile. Tra gli altri segnalo anche Weltenburg (pittoresca location sul Danubio) ed Ettal.

In Questione di pinte, libro che ho letto recentemente, c’è un interessante excursus sul ruolo dei monasteri nella storia della birra. Viene ad esempio spiegato che il più antico disegno architettonico dell’Europa occidentale sopravvissuto ai nostri giorni è la Pianta di San Gallo, una sorta di planimetria per l’omonimo monastero fondato nel 612 da un monaco gaelico in Svizzera. Ebbene la pianta prevedeva che all’interno della struttura religiosa fossero presenti ben tre birrifici, ognuno dedicato a una diversa tipologia di birra grazie all’impiego nelle fasi produttive di decine di monaci. Il disegno includeva anche una malteria, mentre non era prevista cantina di stoccaggio (la birra era bevuta fresca).

Un discorso a parte meritano ovviamente i birrifici trappisti. Se fino a poco tempo fa la loro ristretta famiglia era limitata al Belgio e all’Olanda, negli ultimi anni nuovi membri sono apparsi in tutto il mondo: Austria, Inghilterra, Spagna, Italia e persino Stati Uniti. Da una parte questo fenomeno ha confermato un rinnovato interesse delle comunità monastiche per la birra, dall’altra ha evidenziato come la cultura brassicola dei cistercensi della stretta osservanza non sia circoscritta a una precisa regione geografica. Inutile sottolineare comunque l’importanza giocata dai birrifici trappisti del Belgio nella storia della birra: un ruolo fondamentale non solo in termini produttivi, ma anche sociali ed economici. Al pari delle Doppelbock in Germania, anche alcuni stili belgi sono nati (o comunque hanno trovato fama) all’interno delle abbazie: facile citare le Tripel e le Dubbel, ma non bisogna mai dimenticare  le Quadrupel e le cosiddette Patersbier, anche conosciute come Singel.

Come accennato, anche l’Italia da alcuni anni è nel novero dei paesi che vantano almeno un birrificio trappista (Tre Fontane di Roma). In realtà l’influenza dei monasteri nella produzione brassicola nazionale non si ferma certo a questo evento recente. Addirittura sembrerebbe che la prima birra prodotta all’interno di una struttura religiosa sia italiana: tra il 529 e il 543 d.C. era attivo un birrificio all’interno dell’Abbazia di Montecassino, nel basso Lazio. Recentemente la Birra di Montecassino è tornata in vita, ma ahimè come iniziativa promossa da Peroni. In termini di birra artigianale, oggi in Italia sono attivi due birrifici legati ad altrettanti monasteri benedettini: Cascinazza a Buccinasco, in provincia di Milano, e Nursia a Norcia, che attualmente produce però da un contoterzista a causa dei danni del terremoto del 2016. Infine ricordiamo che all’inizio della sua avventura, il birrificio Carrobiolo di Monza era situato all’interno dell’omonimo convento dei frati barnabiti.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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