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Da beer firm a birrificio: un fenomeno tutto romano?

Sulle beer firm – i marchi birrari privi di impianto di proprietà, che sfruttano quelli di altri birrifici – le opinioni sono diverse. In generale da una parte c’è chi le detesta a priori e dall’altra chi le considera con i dovuti distinguo, separando i progetti “seri” dalle pure operazioni commerciali. Qualsiasi sia la vostra presa di posizione al riguardo, l’unico aspetto certo è che oggi in Italia è quasi impossibile possedere una beer firm, a meno di non articolarvi alla base un disegno più strutturato del semplice marchio brassicolo. In particolare è diventato quasi imprescindibile pianificare in tempi brevi il passaggio allo status di birrificio vero e proprio, affrancandosi da tutti i limiti insiti nel non possedere un impianto di proprietà. Negli ultimi mesi questa trasformazione è stata compiuta da diverse aziende, confermando quanto la transizione sia percepita come sempre più urgente da tutti coloro che operano nell’ambiente. E per una strana coincidenza – ma torneremo su questo punto – il fenomeno si sta verificando soprattutto nel più importante mercato italiano per la birra artigianale: quello di Roma e dintorni.

Jungle Juice

Se non vado errato l’ultimo annuncio in questo senso è arrivato da Jungle Juice (pagina Facebook), che a fine 2016 (dicembre) ha iniziato a brassare nella sua nuova sede di via del Mandrione (siamo tra la Tuscolana e la Casilina, neanche troppo distanti dal cuore di Roma). Il “salto di qualità” per Umberto Calabria arriva a distanza di poco più di due anni dal lancio della sua beer firm, che in questo tempo è riuscita a farsi largo nell’affollato panorama birrario della Capitale. Il merito, oltre che nelle capacità di Umberto coltivate in tanti anni di homebrewing, è da ricercarsi nella comunicazione del marchio, valorizzata da una grafica d’impatto e molto curata. Un elemento che non dovrebbe mancare a nessun birrificio, figuriamoci a chi parte senza un impianto e solo con l’obiettivo di espandere il proprio brand.

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Agrilab

A ottobre 2016 la trasformazione ha invece riguardato Agrilab (pagina Facebook), azienda agricola di Campagnano di Roma che negli ultimi anni ha deciso di lanciarsi nella produzione brassicola con passione e studio. L’anima del birrificio è rappresentata da Silvia e Federico, con quest’ultimo che ricopre il ruolo di birraio. La “base” di Agrilab è stata per diverso tempo il birrificio Hilltop di Bassano Romano, dove sono state realizzate le ricette di Federico fino alla recente trasformazione. Come Jungle Juice, anche Agrilab ha partecipato in questi anni a diversi festival birrari, riuscendo così a farsi conoscere nel mercato primo di compiere il grande passo e diventare birrificio a tutti gli effetti.

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Hilltop

E proprio Hilltop (sito web) rientra in questa rassegna, essendo partito nel 2014 come semplice marchio birrario prima di diventare, se non erro solo pochi mesi dopo, un birrificio al 100%.  I vantaggi ottenuti da Conor Gallagher Deeks dalla possibilità di gestire un impianto in prima persona sono sotto gli occhi di tutti: la vittoria come birraio emergente al recente Birraio dell’anno fa seguito ad alcuni riconoscimenti ottenuti dalle sue birre, a partire dalla scorsa edizione di Birra dell’anno di Unionbirrai. Chissà che Conor non sia destinato a bissare quel successo tra poche settimane

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Oxiana

Si tenne a maggio 2016 la festa d’inaugurazione del birrificio Oxiana (sito web) di Pomezia (RM), che iniziò a operare sul suo impianto dopo circa 2 anni passati come beer firm. Un obiettivo che era previsto sin dalla nascita del marchio e che è stato perseguito con decisione. Ecco, questo dettaglio è in realtà importante: oggi più che mai appare fondamentale che il lancio di una beer firm si accompagni a un progetto serio di apertura di un futuro birrificio, salvo rischiare di rimanere – nella migliore delle ipotesi – in un limbo incapace di far crescere il marchio. Chiaramente non basta la volontà, ma serve una pianificazione attenta e sensata: sono tanti coloro che partono con buoni propositi, ma poi di fronte all’impegno di acquistare un impianto finiscono per demordere, con le conseguenze che potete immaginare.

Eternal City Brewing

Uno dei marchi che sembra aver giovato di più del cambio di status è Eternal City Brewing (sito web), che circa un anno e mezzo fa ha aperto la sua sede produttiva a via del Pisano, abbondantemente dentro i confini del Grande Raccordo Anulare. La presenza di birrifici all’interno del territorio cittadino potrebbe essere uno dei prossimi fenomeni della birra artigianale a Roma, considerando che oltre a ECB e al già citato Jungle Juice, bisogna menzionare anche il giovane Rebel’s e il più centrale Birstrò (zona Pigneto). Ecco che quindi disporre di una sede produttiva polifunzionale diventa una risorsa straordinaria, come lo stesso ECB dimostra: la tap room è accogliente e sempre animata, mentre la sala superiore permette l’organizzazione di diverse iniziative (in primis didattiche) con vista mozzafiato sull’impianto.

Eastside

Risale sempre al 2015 la trasformazione di Eastside (sito web) in birrificio vero e proprio, che per l’occasione ha coinciso con la perdita della parola “brewing” nel nome dell’azienda. Mentre per molte aziende il cambio di status rappresenta un salto di qualità a livello di produzione, per la creatura di Luciano Landolfi questa peculiarità non si è avvertita. Ma attenzione, si tratta di un complimento, perché anche da beer firm le birre di Eastside erano già su livelli altissimi. La disponibilità di un impianto proprio ha invece permesso a Luciano – come a molti altri birrai che hanno compiuto il cambio di status – di sperimentare nuove ricette e ampliare la gamma, rafforzando quindi il proprio marchio.

Ritual Lab

Anche il giovane birrificio di Formello (Roma) ha alle spalle un periodo come beer firm, che durò circa un anno dal 2014 al 2015. Per Ritual Lab (sito web) il passaggio di status non ha coinciso con un improvviso ampliamento della gamma, rimasta limitata a poche produzioni, ma in un perfezionamento delle ricette già presenti. Le collaborazioni e le one shot sono solo una novità degli ultimi mesi, possibili grazie alla solidità e alla considerazione ottenuta grazie all’impianto di proprietà.

Birrificio Tre Fontane

Anche se molto sui generis, possiamo far rientrare in queste fattispecie anche il birrificio trappista Tre Fontane, l’unico presente sul territorio italiano. Il conseguimento dell’esagono di Authentic Trappist Product risale a metà 2015 e l’acquisto dell’impianto a qualche mese prima. Per alcuni anni però i frati studiarono e misero a punto la ricetta della loro birra all’eucalipto in un altro birrificio italiano, commerciandola senza il bollino esagonale. Quindi anche in questo caso possiamo parlare di un passaggio da beer firm a birrificio avvenuto in tempi recenti. Il progetto dei frati dell’Abbazia Tre Fontane sembra procedere con basi solide e da qualche mese a Roma la loro birra è disponibile alla spina oltre che in bottiglia.

Quindi in un paio di anni sono ben 8 le beer firm di Roma e dintorni che hanno subito un cambio di status, e forse ne sto dimenticando altre. Se vi sembrano numeri irrilevanti, dovreste confrontarli con quante trasformazioni analoghe avvengono in Italia – negli ultimi tempi mi sovvengono solo quelle di Bellazzi e di Lucky Brews. Il fatto che si siano concentrate tutte nella scena romana può dipendere da diversi fattori: ad esempio dall’alta concorrenza, che obbliga a prendere decisioni “drastiche” come quella di acquistare un impianto; oppure dalle certezze di un mercato maturo, che supporta l’idea di compiere investimenti importanti. Quale sia la causa, non possiamo che accogliere questo fenomeno con una certa soddisfazione, perché quasi sempre il passaggio a birrificio coincide con una crescita evidente in termini di qualità delle birre.

E voi cosa ne pensate di questo trend?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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7 Commenti

  1. Non so se è effettivamente tutto romano, ma per noi di Birra 100Venti il passaggio da Beerfirm a Birrificio richiede ancora un pochino, Mi piacerebbe fosse già effettivo ma il progetto deve stare in piedi e ancora qualche pezzetto ci manca. Dove siamo noi il mercato non è certo maturo, nonostante arrivino molte opinioni positive e qualche premio, più concretamente dobbiamo ancora alzare di un pochino i volumi di vendita anche per accedere a dei finanziamenti, non avendo soci ricchi.
    In certi momenti il rifiuto a priori è frustrante, perchè non si parla più di birra ma di forma, non si guarda nè si assaggia il prodotto ma chi lo fa, come se avere l’impianto significasse a priori fare birra buona, e non è così.
    L’altro aspetto “ridicolo” è ricevere critiche (mai dirette ovviamente, ma le vieni a sapere) da birrifici che prima o dopo ti vengono a cercare perchè gli fai comodo. Qualche soldo pronto da incassare.
    Noi andiamo per la nostra strada, facendo tutto ciò che possiamo fare in maniera sostenibile ed economicamente sana, perchè il rischio d’impresa (vale anche per le beerfirm) dev’essere ben calcolato. Speriamo ci porti ad avere un nostro impianto il più presto possibile.

    Però, parlate con le persone, non è difficile capire quale sia il progetto alle spalle, quali siano le effettive conoscenze dell’argomento, quale sia la la cura che mettono nei prodotti. Se anni fa non c’erano beerfirm e oggi si è solo perchè il mercato ha offerto l’opportunità di farlo, cambierà e magari nasceranno nuove realtà che a loro volta daranno fasidio. Ma è la birra e quello che sta dietro che va’ venduto, per cui parlate, non dite di no a prescindere senza nemmeno assaggiare. Essere talebani non aiuta nessuno, nè noi nè voi.

    • Ciao Oliviero, grazie del tuo contributo. Sul fenomeno “tutto romano”, il titolo è evidentemente una provocazione e una forzatura, sappiamo tutti bene che non si verifica solo a Roma.

  2. Ciao Andrea sono Alessandro titolare della beer-firm agricola PADUS di Piacenza. Io sono agricoltore a tutti gli effetti e quindi, come molti, sono partito senza impianto nonostante iniziai a brassare negli anni 99 – 2000 per evitare di fare dei danni grossi!! Condivido però il pensiero di Oliviero, non si dovrebbero creare pregiudizi, e non è riferito a te ma a tutto il mondo brassicolo che spesso vive di tensioni ed ossessioni. Però se il marchio in questione si chiama Mikkeller o Caulier ( che si fsnno fare la birra da De Proef ) allora va bene!!Potessi avrei giá montato l impianto ma, nonostante i quasi 4 anni di vita, mi manca ancora un po per fare il salto!! Certo avessimo più vicino il mercato romano…

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