Con il nuovo anno torniamo a occuparci dei nuovi produttori italiani. E partiamo dal momento d’oro della Sicilia, regione che dopo anni di quasi totale silenzio da diversi mesi sta inanellando aperture in serie. L’ultima in ordine di tempo è quella di Birra Ramon, beer firm che ha sede a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta. I due soci, Antonio Anzalone e Riccardo Maira, hanno deciso di lanciarsi in questa avventura con il classico curriculum vitae del nostro movimento: anni di esperienza come homebrewer e tanta passione. Al momento la gamma è composta da una sola produzione, la Golden Ale, che si ispira all’omonimo stile inglese, interpretandolo in modo tradizionale: scordatevi l’impiego di dry hopping, così come il ricorso a un amaro aggressivo (24 IBU). Da non sottovalutare che la Golden Ale, che vuole essere una birra per tutti, è stata realizzata presso il Birrificio Settimo e con la collaborazione di Nicola “Nix” Grande. A breve dovrebbero arrivare anche una Saison e una Stout. Per saperne di più su Birra Ramon – il nome è un omaggio ai film western – vi rimando alla rispettiva pagina Facebook.
Dalla Sicilia passiamo alla Sardegna per parlare di un’altra beer firm: Scialandrone di Quartu Sant’Elena (CA). L’azienda nasce dall’iniziativa di Graziano Melis, un nome che ad alcuni di voi probabilmente non suonerà nuovo: Graziano è stato infatti per anni il vice presidente di Fermento Sardo, associazione di appassionati sardi. Scialandrone al momento propone tre birre: la Barrosa (4,9% alc.) è un’American Pils realizzata con luppoli Cascade, Simcoe e Columbus e, ovviamente, un amaro piuttosto spiccato (66 IBU); la Bagonki (5,2%) è invece una Saison che prevede una percentuale di frumento maltato nella parte fermentabile e varietà Hallertau Mittelfrueh e Brewers Gold come luppoli; la terza, infine, è una Blanche da 5,1% (credo ancora senza nome) che oltre al frumento prevede una piccola quantità di avena in fiocchi. Dimenticavo: Scialandrone produce presso il birrificio Horo. Ulteriori informazioni sono disponibili sulla pagina Facebook del produttore.
Per incontrare invece un birrificio vero e proprio dobbiamo spostarci in Toscana, dove da qualche mese ha aperto i battenti il Birrificio Mastrale, situato a Campi Bisenzio, alle porte di Firenze. Come possiamo leggere su La Pinta Medicea, il suo fondatore è Alessandro Gorini, che ha voluto aprire la propria azienda brassicola puntando alla qualità e alla sostenibilità – almeno in parte, aggiungiamo noi – grazie alla presenza di un impianto fotovoltaico e all’ottimizzazione del ciclo dell’acqua. Le birre disponibili sono già sei: la Kiara (4%) è una Blond Ale leggera e secca, facile da bere; la Diva (4,5%) una classica Weizen di stampo tedesco; la Horus (6%) un’APA con aromi agrumati e tropicali; la Arya (5%) un’American Amber Ale, stile non molto diffuso in Italia; la Witrose una tradizionale Blanche belga; la Cometa, infine, una Belgian Ale al cacao, prodotta come birra invernale. Altre notizie sul Birrificio Mastrale sono disponibili sul suo sito web.
Curiosamente il rispetto ambientale è anche una delle caratteristiche del novarese Hordeum, che utilizza un sistema di depurazione ecologico realizzato dalla start-up trentina Eco-Sistemi. Come riporta il Quotidiano Piemontese, l’ingegnosa macchina si chiama RCBR e utilizza materiali di riciclo per ottenere gli stessi risultati dei classici e costosi dispositivi prestampati. Ma il legame con l’ambiente si ritrova anche nella configurazione di Hordeum in birrificio agricolo: l’orzo, la segale, il farro e il riso impiegati nelle birre sono coltivati direttamente dall’azienda. Il birraio si chiama Paolo Carbone ed è uno dei soci del birrificio, insieme a Marco Avanza, Filippo Serra e Roberto Lentini. Anche qui il numero delle birre prodotte è già elevato: la Regina (4,8%) è presumibilmente una Helles, prodotta con una percentuale di riso; la Venus (5%) una Schwarz ispirata alle nere della Repubblica Ceca (anche dette Cerne) e brassata con riso venere; la Contina (5,5%) è una Weizen che curiosamente non prevede frumento, ma farro e segale; la Era (7,5%) una Belgian Strong Ale chiara; la Iside (6,8%) una Belgian Strong Ale scura; la Ruber (6,8%), infine, una Belgian Strong Ale con sciroppo di lampone aggiunto in rifermentazione. Altre informazioni sul sito di Hordeum.
Si chiama infine Birra De Litio la linea prodotta dalle Tenute Ducali, azienda agricola situata vicino ad Atri (TE). Le birre, che al momento dovrebbero essere prodotte presso terzi, hanno nomi poco originali: la Bionda De Litio (4%) è presumibilmente una Golden Ale che prevede solo luppoli continentali; l’Ambrata De Litio (4%) una APA sui generis con l’impiego di Cascade in dry hopping; la Rossa De Litio (6%) una IPA complessa e piena. Il nome che avete letto a più riprese in queste righe è un omaggio ad Andrea De Litio, pittore di rilievo del Rinascimento italiano, che operò ad Atri per gran parte della sua vita. Ulteriori informazioni sulla Birra De Litio sono presenti sul sito di Tenute Ducali.
Partire subito proponendo 5 o 6 birre è sinonimo di grande sicurezza o significa voler rischiare (come sempre) sulla pelle del consumatore?
Mah direi che cambia da caso a caso. In generale secondo me è meglio partire con 3 o al massimo 4 birre.
Dico una mia opinione magari un po’ irrilevante.. i birrifici che chiamano le loro birre l’ambrata, la rossa, la bionda, la chiara o la scura del birrificio mi sanno di sola già in partenza.. per lo più di solito questi grandi nomi frutto di tanta ricercatezza e passione sono abbinati a bottiglie ed etichette orrende… mica solo per una questione di marketing, ma già andare a un beershop e dover scegliere tra l’ambrata della casa e una omen nomen saison prendo sempre la seconda per dire… vi dirò di più, a mio avviso poi l’90% delle birre che ho assaggiato con queste premesse sono sempre stati prodotti mediocri… come dire, la passione e la competenza si vedono anche da questo…
in parte concordo, ma anche chiamare birre con nomi assurdi-irricordabili o con grafiche allucinanti solo per richiamare l’attenzione quando poi magari sono sempre le suddette “birre mediocri”, magari fatte fare da uno dei birrifici di turno…piuttosto in effetti uno stile, col nome giusto, d’ispirazione.