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Assaggi di… birrificio Beer In

Dopo precisamente un mese e un giorno dal post dedicato al birrificio Math, torno a scrivere di recenti assaggi personali. Come allora, anche in questo caso parliamo di un produttore relativamente giovane, che ha compiuto un anno proprio in questi giorni. Il birrificio in questione è il Beer In, situato a Portula (BI) e nato dall’iniziativa di Gianni Mazza e Alberto Colpo. Il primo è il birraio, con alle spalle 35 anni di esperienza come homebrewer e collezionista; il secondo è il “commerciale”, che si occupa di promuovere i prodotti dell’azienda. Attualmente sono prodotte solo tre birre, segno evidente della voglia di concentrarsi su poche ricette ma buone. E la strategia, come vedremo, sta dando i suoi frutti.

La prima birra che andiamo a scoprire è La Gil (4,8% alc.), che in dialetto locale significa “il ghiro” – l’uso di nomi di animali nel vernacolo di provenienza è una costante dell’azienda. Nella fattispecie il riferimento è a una bestiola prettamente estiva e infatti La Gil è una birra che ben si adatta ai mesi caldi, pur risultando gradevole tutto l’anno. E’ una Helles che ricorda molto una Pils, realizzata con riso e mais in aggiunta al classico malto d’orzo. Alla vista è di colore giallo paglierino e quasi cristallina, con un perlage evidente ma non tumultuoso e una schiuma ricca a bolle medie, discretamente persistente. Il naso è delicato ed elegante: si distingue crosta di pane, erba tagliata, miele e un leggero tocco floreale. In bocca scorre rapida e fresca, con la carbonazione a solleticare piacevolmente il palato. Anche in questo caso gli aromi non sono esplosivi, a favore di una generale eleganza: sono percepibili principalmente note mielate e di cereali. Il finale secco dona un buon equilibrio.

In conclusione La Gil vuole essere la classica “chiara da battaglia”, rivelandosi comunque davvero ben fatta. E’ bilanciata e a suo modo elegante e si prende la libertà di osare un po’ nel finale, con una luppolatura abbastanza decisa. L’inizio è molto confortante.

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La seconda produzione si chiama L Babi (8% alc.), il rospo. E’ un animale meditabondo, che concettualmente ben si associa all’immancabile Belgian Strong Ale “da meditazione”, brassata con l’aggiunta di zuccheri canditi e miele. Di colore marrone scurissimo con riflessi ambra e caramello, ha una bella schiuma bianca e compatta, leggermente grossolana ma persistente. Il naso è davvero complesso e gradevole, nonché originale: evidenti le note di frutta secca, banana e miele di castagno, mentre più in profondità sono avvertibili sentori di cioccolato e caffè. Al palato il miele diventa protagonista e domina le sensazioni boccali: solitamente ciò si traduce in una birra stucchevole, invece in questo caso si fonde molto bene con i malti scuri, risultando piuttosto armonica. Il corpo è vellutato e la dolcezza evidente (banana), ma come detto non stancante. Interessante il lungo finale, dove emerge una nota amara e acidula.

E’ dunque una gradevole “scura” molto sui generis, con l’aggiunta del miele a cambiare i connotati classici di birre di questa tipologia. Ricca, complessa e insolita, non è certo una birra da bere a secchi, ma resta molto gradevole anche dopo i primi sorsi.

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Concludiamo infine con la L Uluc (6,3%), che in dialetto significa l’allocco. Gli occhi sgranati e rotondi di questo rapace sarebbero gli stessi del bevitore che assaggia per la prima volta questa birra, decisamente amara. E’ infatti un’APA che fa ampio ricorso a luppoli americani e inglesi, anche in dry hopping. Alla vista è molto convincente: colore arancio con sfumature ramato scuro, schiuma fine, abbondante e persistente. Al naso è un’esplosione di freschi profumi fruttati che ricordano la frutta gialla, l’uva spina e il litchi; più in profondità è avvertibile una nota resinosa e di caramello. E’ una birra che vuole giocare sull’amaro e appena la si assaggia troviamo una netta conferma: la carica amaricante del luppolo domina le sensazioni gustative, mentre la carbonazione appare corretta e il corpo tutto sommato snello. Neanche a dirlo, il finale è amaro e prolungato, con la ricomparsa di sentori fruttati e leggermente resinosi.

L Uluc è una birra ben costruita, che raggiunge l’obiettivo ricercato dal birraio. A suo modo è anche coraggiosa, considerando la sua decisa componente amara in una gamma che comprende solo due altre birre. Unico neo una generale mancanza di totale pulizia, con gli esteri del lievito che non rendono questa APA perfettamente armonica.

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In conclusione il Beer In si è rivelato una piacevolissima sorpresa, con tre sole birre, ma tutte di ottimo livello. Come detto in apertura, la gamma ristretta evidentemente permette di raffinare le ricette e i risultati dimostrano la bontà di questa scelta. Inoltre mi è piaciuto il tentativo di osare e di caratterizzare ogni ricetta con un tocco personale, ma senza avventurarsi in inutili voli pindarici. Creativi sì, ma con cognizione di causa 🙂 .

Per concludere non posso esimermi da fare un appunto: le grafiche, a partire dal logo fino alle etichette, sono tra le peggiori che mi sia mai capitato di vedere in giro, qualcosa di davvero drammatico. Scusate, ma è un aspetto sul quale non riesco a sorvolare.

Come sempre in questi casi chiedo un’opinione da chi ha avuto occasione di assaggiare i prodotti di questo birrificio. Fatemi sapere…

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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18 Commenti

  1. le ho assaggiate qualche mese fa e non concordo molto

    la helles appena stappata mi (meglio dire ci, eravamo in due) ha ricordato un lager industriale. anonima e ci si chiede il perché della presenza di riso e mais, poco piacevole

    della belgian ale ho un ricordo di un prodotto con un finale un po’ grezzo, di liquerizia, da hb

    la APA la migliore del trio, piuttosto canonica all’italiana

    • A me l’APA è quella che è piaciuta meno, figurati.
      Una curiosità, visto che parli di lager industriale, nella Helles non hai quindi avvertito un certo amaro nel finale?

      • beh, tutto è opinabile e bisogna anche vedere quali condizioni abbia subito la bottiglia visto che parli di poca pulizia del lievito. non è che ci siam messi lì a fare un tasting, abbiamo stappato e ricavato qualche impressione sommaria. le mie non sono state granché, c’è ampio spazio di miglioramento

        sull’amaro non ricordo onestamente, son passati mesi. in ogni caso con industriale intendevo una certa piattezza di aroma e soprattutto quei sentori di riso e mais per nulla piacevoli. tant’è che la prima frase del mio socio è stata: un’industriale. il giorno successivo ho visto sul web questi ingredienti e tutto è tornato

        a me forse quella che è piaciuta meno è la belgian ale. poi per carità, occorre riassaggiare. ma ti ho letto un po’ troppo positivo a mio parere

        • rompo anche io le scatole con mais e riso (a parte che nell’etichetta avevo visto dichiarato solo il riso): davvero credo non abbia senso da parte dei produttori artigianali ricevere queste cattive abitudini dall’industria, credo inoltre senza un vantaggio così consistente nel bilancio.
          La helles di Beer In è forse l’esempio più clamoroso: il riso è davvero terrificante..

          Chiuso per ora l’argomento succedanei: per quel che ricordo la belgian ale (L Babi) non è male; dignitosa anche L Uluc (APA): anche io la ricordo un po’ sporchina, ma non a livelli drammatici.
          Forse è una mia idiosincrasia, ma quella che proprio non ho gradito è stata la helles..

          Il logo è splendido! 😉

          • se usati bene riso e mais perché no?
            Anzi, ci si possono brassare birra davvero interessanti.
            Non facciamo diventare anche questo un dogma tipo quello della filtrazione.

          • non mi sembra sia la stessa cosa: il ricorso a riso e mais in una helles è lo specchio di una scelta industriale volta a ridurre il costo dei fermentabili. Non hanno studiato una qualche interessante (?) “birra al riso” o una “birra al mais”, ma una lager con riso e mais: si intende deliberatamente ricalcare il profilo di prodotti sulla cui qualità dovremmo trovarci d’accordo.

            Poi, in generale a me questi ingredienti (il riso specialmente!..sul mais sono un briciolo più tollerante) danno proprio fastidio nel profilo organolettico di una birra.. deh, sarò io! 🙂

          • Beh se l’intenzione è quella che dici non ci sarebbe neanche quel finale amaro di cui ho parlato

          • rileggendo il mio commento, la frase “il ricorso a riso e mais in una helles è lo specchio di una scelta industriale volta a ridurre il costo dei fermentabili” non è chiara.

            Non sto dicendo che quella di Beer In è una logica per ridurre i costi (anzi, come ho già detto non credo proprio costi loro meno usare questi ingredienti), sto dicendo che si ispira* ad una prassi che però l’industria impiega a tale scopo.

            *”specchio” in questo senso.

          • Di certo non si voleva approvare l’uso di mais e riso da parte dell’industria come succedanei economici di altri cereali.

            ma le “speciality grain” sono birre diffussissime altrove.

  2. A me la helles è piaciuta, l’ho trovata pulita e corretta, senza difetti evidenti. Non ricordo se avesse o meno un finale più luppolato dei canoni dello stile, ma ricordo che la mia impressione è stata di una birra equilibrata e piacevole. Non male anche la APA, mentre quella che non mi ha convinto tanto è stata la Belgian strong ale.
    Comunque nel complesso la mia valutazione del birrificio è positiva, considerando anche che hanno aperto da poco.

  3. Assaggiato solo la APA, anch’io l’ho trovata tutto sommato piacevole [tra l’altro presa da AltraBirra che ha scritto anche qui sopra]. Assortimento un po’ atipico, spero ne facciano uscire qualcun’altra per ampliare la scelta. Comunque urge giro al birrificio, visto che ce l’ho piuttosto vicino!

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