Torniamo al consueto aggiornamento sulle produzioni inedite dei birrifici italiani, con alcune novità che ben si adattano alle calde giornate estive. Come non partire allora da uno stile belga pensato appositamente per la stagione, che dopo aver rischiato di scomparire, si è diffuso in tutto il mondo. Naturalmente sto parlando della Blanche, tipologia a cui appartiene l’ultima nata in casa Vecchia Orsa. Si chiama IdeAle – ormai sono convinto che non ci sbarazzeremo mai del suffisso -ale, ma è lo stesso birraio Roberto Poppi a sottolineare quanto sia inflazionato – e sarà presentata ufficialmente a partire dalle 17,00 di sabato 2 luglio presso la sede del birrificio, a Crevalcore (BO) in via degli Orsi 692.
Come da filosofia del produttore, l’IdeAle è piuttosto attinente allo stile di riferimento, se non fosse che alle classiche speziature da Blanche sono state aggiunte pesche in bollitura e in maturazione. Il risultato è “una classica blanche, fresca e dissetante dove l’agromato è stemperato dalla dolcezza della pesca”. Potrete assaggiarla gratuitamente durante l’evento organizzato per l’occasione (i fusti disponibili sono due) e magari intervallarla con le altre birre della casa, disponibili in offerta a 3 euro la media. Ci saranno panini e musica dal vivo… insomma una bella iniziativa, fatemi sapere che ne pensate della nuova IdeAle.
Recentemente la Birra del Borgo ha presentato due nuove creazioni, nate in quel vecchio birrificio che è diventato laboratorio sperimentale dopo l’apertura del nuovo impianto in zona Piana di Spedino. La prima si chiama Perle ai Porci e, se non vado errato, si tratta dell’unica interpretazione italiana del sottostile Oyster Stout. Come da copione, Leonardo Di Vincenzo e compagnia hanno impiegato una grande quantità di ostriche per brassare questa novità, aggiungendo per 30 minuti durante la bollitura la bellezza di 15 kg di ostriche Fin de Claire N2. Il risultato è una Stout gradevolissima, morbida e con un’intrigante nota salmastra, nonché un tocco minerale derivante dall’uso dei molluschi con tutto il guscio. Consensi unanimi per una produzione decisamente insolita.
La seconda novità di chiama Fiori di Testa e, come avrete intuito, è una birra realizzata con l’aggiunta di fiori di gelsomino e acacia. E’ nata dalla cotta pubblica tenutasi durante lo scorso Birra del Borgo Day e brassata completamente da Marco. Entrambe le produzioni sono state presentate all’Open Beer Festival dello scorso weekend, scomparendo nel giro di poche ore a causa dell’interesse dei partecipanti. Ulteriori dettagli sulle due birre sono disponibili sul blog dell’azienda.
L’ultima novità che andiamo a scoprire oggi proviene dal Giratempopub di Sant’Albano Stura (CN), locale di recente apertura nel quale è operativo Lelio Bottero. La birra si chiama Niimbus ed è caratterizzata dalla presenza di lieviti autoctoni di Moscato, che partecipano al processo di fermentazione del mosto. Ecco come viene presentata:
Il risultato è gradevole ed equilibrato con profumi agrumati ed una “pesca” in bella evidenza. In bocca è piena, vera, con un corpo bilanciato ed in grado di abbinarsi egregiamente a primi piatti, pesce e secondi anche speziati. La delicata nota acidula riesce nell’impresa di lasciare un finale pulito e secco con un amaro volutamente contenuto.
Curiosamente in etichetta viene riportata la dicitura “stile italiano”, per sottolineare l’originalità del prodotto rispetto ai classici delle principali nazioni birrarie e quasi per indicare una strada alla cultura brassicola italiana. La Niimbus è disponibile in bottiglia da 75 cl e alla spina presso il Girotempopub.
all’open ho bevuto solo la Perle ai Porci: l’utilizzo di “materia prima” di qualità sicuramente ha aiutato a creare una birra oyster vera e davvero notevole.
Magari il prossimo trend della birra italiana potrebbe essere l’impiego di molluschi diversi, tipo una Vongole Veraci Stout 😛
Birra allo scoglio?
[…] se ne parla su cronache di birra […]
Quanto costa una birra in stile italiano presso il pub del produttore, quindi senza intermediari aggiunti?
2,50 la piccola da 0,28 4,50 la media da 0,56. 8.50 la bottiglia da 0,75 al tavolo, (mentre non è stato ancora previsto l’asporto che avrà sicuramente un prezzo inferiore).
grazie della domanda.
Marco Carone!!!
una macchina da guerra!
è ormai parte integrante dell’impianto del vecchio birrificio e sforna delle chicche pazzasche
Grande!
[…] Bottero ne parla sul suo blog e lo scrive sulle birre “di famiglia”. Ma che cosa diavolo è lo “stile italiano”? E ha senso parlarne in campo […]
Già ho letto sul blog di Lelio di sta storia dello stile Italiano, con tutta la stima e l’affetto che ho per Lelio, non posso fare a meno di dissentire.
Premesso che gli stili nascono la dove c’è disponibilità di materie prime locali e che gli stessi sono stili in quanto capaci di attraversare i secoli. Sulla disponibilità delle materie prime locali si sono create ed affinate nel tempo tecniche e metodi che riescano ad esprimere al meglio le caratteristiche degli ingredienti disponibili.Che senso ha parlare di stile Italiano?
Non esistono stili Italiani semplicemente perché non esistono materie prime Italiane, con caratteristiche ben definite e diverse da quelle tipiche di altre zone.
L’aggiunta di un’aromatizzazione, data da un ingrediente Italiano come possono essere pesche, castagne, mosto di vino o molluschi, aggiunte a malto ad esempio Tedesco e luppolo ad es. Inglese, generano magicamente uno stile Italiano?
Basterebbe quindi prendere un qualsiasi stile, replicarlo ed aggiungere un qualcosa d’Italiano (grattatina), per poter scrivere stile Italiano? Se faccio una Lager o una Ale e ci metto le olive ascolane, posso parlare ancora di Lager o Ale? No, ma non posso nemmeno parlare di Italian Lager o Italian Ale.
Non esiste uno stile Italiano, visto che lo stesso non ha nemmeno un nome proprio. Per crealo bisognerebbe trovare qualcuno tanto bravo da coltivare orzo e luppolo Italiani con caratteristiche uniche e tanto pazzo da investire oggi, per far recuperare l’investo ai propri nipoti.
Comincerò comunque a credere alla possibilità di nascita di uno stile Italiano quando vedrò la capacità dei birrai Italiani di replicare gli stili esteri come si deve. E comincerò a ritenere valide e non semplicemente interessanti le birra prodotte con mosto di vino, quando vedro vini prodotti con mosto di birra.
Smettiamo di raccontarci le favole e guardiamo invece la realtà, abbiamo tante eccellenze nel nostro Paese, da far invidia a chiunque, sopratutto nell’alimentare e ancor di più nell’enologia, dobbiamo per forza eccellere o convincerci di farlo anche in campo birrario? Oppure siamo così abituati ad eccellere che riteniamo impossibile non doverlo fare la dove la nostra passione ci porta?
Basta raccontarci favole, alle favole credono i bambini, dimostriamo perlomeno di essere adulti.
Ciao Lelio con affetto ed immutata stima Ernesto.
“L’aggiunta di un’aromatizzazione, data da un ingrediente Italiano come possono essere pesche, castagne, mosto di vino o molluschi, aggiunte a malto ad esempio Tedesco e luppolo ad es. Inglese, generano magicamente uno stile Italiano?”
La rigidità è cattiva consigliera. Anche per me lo stile italiano, per come è qui teorizzato, non ha senso (se non commerciale). Però non condivido il discorso sugli ingredienti base come unico elemento di distinzione di uno stile. Come si identifica, ad esempio, lo stile Blanche?
Per me ha già risposto Indastria.
” E comincerò a ritenere valide e non semplicemente interessanti le birra prodotte con mosto di vino, quando vedro vini prodotti con mosto di birra.”
?!?!?!?!?!?
uhm ci sarebbe da indagare sull’impianto da 30hl della Bosca-Cora di Canelli, referenza storica della Eco Brewtech.
Un’origine storico-poetica è alla base della nascita della Kriek, nome che in fiammingo significa “amarena”. Ai tempi delle Crociate un milite Belga, nativo di Schaerbeek, si recò in Terrasanta per la liberazione di Gerusalemme dagli infedeli e lontano dalla terra natia dove aveva sempre bevuto birra, incominciò ad apprezzare il vino, il cui colore gli ricordava il sangue di Cristo.
Una volta ritornato in patria non si rassegnò a fatto di non poter più bere vino, ma soprattutto di non bere una bevanda di colore così mistico. Dopo aver a lungo riflettuto trovò una soluzione: aggiunse alla birra le amarene della propria città e le lasciò fermentare per qualche tempo.
Alla fine la birra aveva assunto un bel colore rosso che gli ricordava le bevute in Terrasanta. Era nata la prima Kriek della storia. Perfezionando la tecnica questa tipologia di birra si è evoluta, pur conservando le sue caratteristiche tradizionali, per cui ancora oggi il nocciolo d’amarena, rimanendo nella botte per due o tre mesi, conferisce alla Kriek un particolare gusto di mandorle.
Questa è la storia copia incollata della nascita della Kriek. In pratica i Belgi, che vino non avevano, hanno inventato una sorta di surrogato. Noi che non manchiamo di vino, volendo fare birra, senza avere tradizioni birrarie sconfiniamo nelle nostre tradizioni vinicole, aggiungendo mosto di vino alla birra.
Ma se voglio bere del vino in Italia ho solo l’imbarazzo della scelta, sicuri che ci sia bisogno di birra di vino per provare certi sentori? Al di la di esperimenti che possono anche creare cose interessanti per una bevuta, pensi che si possa creare un mercato, che non sia una nicchia della nicchia della birra di vino?
E poi scusate ma se uno stile birrario Italiano deve nascere dall’impiego del vino, vuol dire che in questo settore abbiamo ben poco da dire, cosa in cui non credo.
Mentre un vino con mosto di birra non è nemmeno pensabile, visto che di vino siamo maestri. Allora quando vedrò un produttore di vino, settore dove abbiamo esperienza e capacità, che impiega mosto di birra, forse riconsidererò il mio pensiero sulle birre di vino. Ho il dubbio che l’attesa sia lunghetta.
E’ un peccato, Ernesto, non avere fantasia, credere che il mondo sia piatto solo perchè “un dogma” lo dice……ed è ancora un peccato, anzi di più, continuare a far suonare lo stesso disco (rotto), salvo poi cercare di vendere la propria mercanzia ai vari “illusi e incapaci di replicare uno stile estero”……
Leggendo i tuoi interventi si evince che la “tua” birra si ferma alle “basse” in stile “solo orzo”…….
In Italia, magari non te ne sei ancora accorto, si produce pasta con il grano russo, abbigliamento con lana irlandese, pizza con pizzaioli egiziani, case con capomastri polacchi, birra con materie prime estere e ricette e manodopera italiana…..ed anche caratterizzazioni italiane (di cui la prima è l’estro)
mi rendo conto che la cosa possa bruciare, ma dovresti farci l’abitudine…
secondo quale principio economico o di qualità non è permesso “creare” da materie prime non autoctone?
….ti dice qualcosa “scorrza d’arancia amara e coriandolo”? ……mi sembra non siano coltivati in belgio, no?
cheers!
la blanche non ha solo arancia e coriandolo, usa frumento non maltato, e non è poco come caratteristica di stile.
Sì grazie, ma che c’entra con il discorso generale? Frumento, arancia curacao e coriandolo non sono certo ingredienti legati al territorio di appartenenza delle Blanche.
appunto. Il discorso non è cosa ci metti o da dove viene (cosa che sostengono moti birrai nostrani), ma quello che crei.
E purtroppo anche il “quando” ha il suo peso.
Purtroppo si vuole un po’ reiventare la ruota, e ci vuole davvero genialità.
@Turco: beh il frumento in Belgio c’è non è che lo importavano per fare le blanche (wit) 😉
Forse nel turbinio di commenti si è perso il senso del discorso.
La mia era un’obiezione a questa frase di Cerevisia
“Non esistono stili Italiani semplicemente perché non esistono materie prime Italiane, con caratteristiche ben definite e diverse da quelle tipiche di altre zone.”
Con questo assunto, le Blanche ad esempio non potrebbero esistere come stile, visto che non usano alcun tipo di materia prima indissolubilmente legata col territorio di appartenenza
@Turco: la mia era una battuta 😉 a volte non so resistere…
Qui non è in discussione la mia fantasia, ma quella di quelli che s’inventano le favole, quella di quanti ci credono e quella dei birrai, quando questi lavorano solo di fantasia senza avere delle basi tecniche.
Se hai le basi ed hai fantasia, puoi anche creare cose interessanti, quando hai solo fantasia crei cose che vanno bene per clienti che hanno altrettanta fantasia, perché quelli che la birra la conoscono non li freghi, con l’aggiunta dell’ultimo ingrediente esotico. Ma come dice il colonna tanto questi se bevono di tutto.
Per informazione io non vendo mercanzie per illusi, ma propongo sistemi completi per diventare produttori di birra, i sistemi comprendono anche trasferimento di know-how, cioè quello che manca a molti che si buttano in questo settore, perché credono che la loro birra sfonderà perché ci mettono un ingrediente a cui nessuno aveva ancora pensato. A Settembre vedremo cosa proporrai tu, se la tua fantasia o se la tua competenza.
E’ comunque vero che in Italia si fa la pasta col grano russo, ma la si fa come si fa in Italia, non come si fa in Russia, prova ad andare all’estero ed acquistare della pasta che non sia Italiana e vedrai che sorpresa. Ciò vale per l’abbigliamento , per la pizza e tutto il resto. Prova ad andare in Polonia e vedere se i capomastri hanno il ritmo Italiano.
Non capisco poi l’attinenza dell’esempio visto che in Italia se vuoi produrre qualcosa di birrariamente buono, devi impiegare ingredienti esteri.
Chi ha mai detto che si devono usare materie prime autoctone. Io ho detto che gli stili sono nati in base alla disponibilità locale di determinate materie prime e non credo di poter essere smentito. E che perché si possa creare uno stile Italiano prima bisognerebbe disporre di materie prime nostre.
Questo perché una volta le materie prime non erano disponibili ovunque e non restava che utilizzare ciò di cui si disponeva, poi magari ci si aggiungeva un ingrediente che magari non era locale, ma che era comunque disponibile, ma resta il fatto che gli stili erano fortemente legati al territorio.
Questo per fortuna non esiste più ed una Weizen Bavarese può essere benissimo prodotta in Birmania, ma resterà tale solo se metodi ed ingredienti saranno rispettati, se si fanno delle varianti importanti, non otterremo uno nuovo stile di birra Birmano, ma semplicemente una birra fuori stile, magari buonissima, magari no.
Ma dire che basta aggiungere l’ingrediente X che è Italiano, per ottenere una birra stile Italiano, senza saperlo definire come caratteristiche e senza che questo abbiamo un nome è fantasia allo stato puro, nulla di più nulla di meno. Sto naturalmente generalizzando il concetto, che non vuole essere rivolto al buon Lelio.
E comunque la fantasia di un birraio dovrebbe essere espressa nella interpretazione personale di un determinato stile. E bada bene senza stravolgere lo stile, ma pur comprendendo tutte le caratteristiche intrinseche di quello stile, riuscire ad essere unici e diversi da quanto già esiste. Qui ci vuole sia fantasia , sia capacità. Se il tema è invece libero, cioè se non si hanno vincoli tutti sanno creare qualcosa di unico, che poi sia buono ho forti dubbi. Nel primo caso sono richieste molte competenze e capacità, nel secondo no, basta la fantasia. E’ forse questo lo stile Italiano, parrebbe quasi di si.
Poi come in tutte le cose c’è chi più o meno sa e c’è chi abbocca di fantasia.
cit.
“A Settembre vedremo cosa proporrai tu, se la tua fantasia o se la tua competenza.”…..
A parte una leggerissiam grattatina :-)))), vorrei precisare alcuni punti:
– non sono un mastro birraio in quanto non ho avuto possibilità (tempo e soldi) di frequentare una (?) delle scuole che attestano il titolo (che sembra essere uno dei tuoi must)
– non ho (per il momento) alcuna intenzione di inquinare i tuoi stili di riferimento con “rifermentazioni vietate”, ingredienti italiani o miscele esplosive……
– la competenza, la fantasia ovvero, messe insieme, la produzione, la lascierei decidere al mercato, magari a quel mercato che come dici tu, fatto di incompetenti, premia o punisce chi non riesce a soddisfare i gusti (e qui ci sarebbe da aprire un lungo discorso sulla competenza dei consumatori……)
– le materie prime di cui tu parli, non sempre sono state locali, ti ricito l’esempio della blanche belga dove vengono utilizzate materie NON autoctone….sorvolerei sul cioccolato svizzero 🙂
– la fantasia di cui io parlo, ma forse sono stato poco chiaro, è quella che lega singole materie prime, magari riferite inizialmente ad una ricetta “originale”, in proporzioni diverse enfatizzando la caratteristica secondo la “fantasia”, “estro”, “genialità” o “follia” del birraio…….
– utilizzare ingredienti particolari per la birra, chessò, castagne, tabacco, pesche, rose iraniane, fiori d’acacia mosto d’uva, more, amarene, mirto e tutto quello che può essere compatibile con una birra è segno di grande maturità e di voglia di fare….
– i curricula dei birrai italiani sono, di solito, disponibili sul loro sito e mi sembra che abbiamo eccellenze (non è un mio parere ma qualcosa di internazionalmente riconosciuto) che pun non avendo, se non in pochi, il TITOLO riescono a competere, spesso vincendo, con i loro colleghi “tradizionalisti”.
…una lettura a cui mi sto (ri)dedicando è un libro di Ray Daniels – “Designing Great beers”……nell’introduzione c’è una frase che è uno dei miei “must”……..la riporto in inglese…
“….But what really gets a brewer out of bed in the morning is the chance to create something new and to share it with the world……”
è una lettura interessante 😉
e in ogni caso concordo con quanto da te detto circa il forum e il pacato scambio di opinioni……mi spiace solo questa tua “guerra talebana” contro i birrai italiani e le fantasie derivanti
Il mercato premia anche Heineken, Peroni e compagnia cantante, l’equazione si vende perciò è buono è evidentemente sbagliata.
Quando parlo di birrai Italiani generalizzo parlando di una gran parte di questi, non di tutti. C’è gente, invece molto capace che crea cose interessanti e valide.
La mia non è una guerra talebana, queste sono deduzioni tue e direi poco attinenti. Per la birra ci sono delle scuole, come per tutto il resto e non si pretende che tutti le frequentino, visto che sono all’estero e che ci si deve investire degli anni,
Solo che a mio modesto parere ciò che si insegna nelle scuole (Praga, Pilsen, Wheinstephan, Chicago, ecc.) è la verità e l’insegnamento derivato da secoli di tradizione. Mentre la scuola ed i birrai Italiani derivano perlopiù dall’ambito homebrewing e permettetemi di pensare che le due cose non possono avere la stessa valenza.
L’adozione degli ingredienti di cui parli derivano da questa seconda scuola di pensiero, che spesso è in totale contraddizione con quanto insegnano esperti mastri birrai nelle scuole, gente che inizia giovanissima a fare birra e magari oggi è prossima alla pensione, ed ha all’attivo decenni di esperienza professionale.
Ma ognuno arriva alla birra a suo modo e le vie della birra sono infinite. Se credi veramente che tutta questo fermento di birre senza stile ed ingredienti esotici, sia la via migliore fai benissimo a crederci ed a seguire questo filone.
Da parte mia non posso che farti i miei migliori auguri. Resta comunque il fatto che non seguire uno stile, pone il birraio in una posizione protetta al riparo da facili critiche. E resta il fatto che le rifermentazioni di cui parli, che sono in contrasto coi metodi delle scuole, sono la causa dei numerosi problemi di cui la birra artigianale Italiana soffre e questo è innegabile.
Come resta il fatto che per risolverli bisogna chiamare qualcuno che abbia qualcosa in più, delle competenze da HB. Ti auguro di non dover mai affrontare tali problematiche, ma nel caso chiamami ed in due secondi vedrai che si possono risolvere problemi di cui moltissimi birrifici risentono da anni. Auguri di nuovo per la tua attività.
Si il reale intento è quello di veicolare un messaggio, ci piaceva l’idea che la gente chiedesse al publican un’IDEALE oltre che a una semplice birra..
davVERA?
si, avremo fatto si e no neanche 2000 bottiglie, non è che ci serva molto marketing….
il nostro messaggio è:
Nell’essenza della nostra birra c’è l’idea di Fattoriabilità,
per una società più chiara,sera e solidale.
c’è il lavoro cooperativo di persone con diverse abilità
che si fonde per dar vita a un ideale.
@Ernesto.(mica me la prendo se abbiamo opinioni differenti!)
io invece dissentisco sul fatto che non trovo sensato replicare birre che già sono fatte benissimo nei loro luoghi d’origine. Un Panettone prodotto a Londra, un Torrone fatto a Budapest o dei Cantucci creati a Praga (sono tre esempi a caso) hanno un senso?
Io credo che in Italia i tempi siano maturi per sganciarsi e creare birre originali e che si leghino ai nostri gusti e alle nostre esperienze (anche in campo enologico se serve) e mi fa molto piacere che se ne parli in modo costruttivo.
@Poppi, rinnovo i complimenti e massima stima per il vostro progetto.
Penso che il discorso non sia quanto si è bravi nel replicare gli stili classici (ma la domanda resta: ne siamo capaci?) ma piuttosto “non basta mettere la mozzarella nella birra per creare la birra all’italiana”
E sono d’accordo, è una via facile.
come anche quella del connubio vino & birra lo è. per quanto si possano ottenere risultati interessanti e strordinari.
Personalmente preferirei che si seguisse di più la strada di un utilizzo diverso o creativo delle materie prime e dei metodi di produzione.
per dire gli americani sono i maestri delle coffee (espresso) stout, ma non eravamo noi il popolo della “tazzulella e cafè”?
Avrebbe senso replicare gli stili esistenti, personalizzandoli con la fantasia Italiana che il mondo c’invidia. Riuscire a fare una Weizen migliore che i Germania, perché il birraio Italiano esperitissimo in questa tipologia, aggiunge un qualcosa a cui i Tedeschi con meno fantasia di noi, non avrebbero mai pensato.
Se quel qualcosa è un tocco di fantasia che consente alla birra in questione di rientrare pienamente nella tipologia d’origine, ma sufficiente a renderla unica. Questa sarebbe bravura ed indice che i tempi sono maturi per parlare di stili e metodi Italiani.
Quello che succede è invece che ci si inventa tutto di sana bianca, quando perli con un birraio e lui ti dice: questa è la nostra birra alle pesche, questa è la nostra birra all’ortica, questa è allo zenzero e questa all’uva passa, ma na cazzo de birra normale la sai fare?
Quando si vuole imparare a fare birra, se fai una volta la Pils, un’altra la Ale ed un’altra ancora la Stout, non imparerai mai. Devi fare e rifare lo stesso stile sino a che non ne hai appresi i segreti. Allora stiamo ancora aspettando repliche interessanti e attinenti di quanto sanno fare all’estero, cosa che ancora non sappiamo fare e pretendiamo d’inventare qualcosa si nostro?
Si dice che la fortuna dei birrai Italiani è quella di non avere stili di poter esprimersi liberamente, ma la vera fortuna dei birrai Italiani è che mancando cultura e tradizione birraria, e questi se bevono di tutto, favole comprese.
Lo so che sei troppo intelligente per prendertela, il libero e pacato scambio di opinioni è lo scopo dei forum e non è una divergenza d’opinione a farci cambiare idea sulle persone.
La territorialità nella birra intesa in senso tradizionale mi sembra una cosa tirata un po’ per i capelli. Visto che in tal senso non abbiamo tradizione recente. Infatti un eventuale stile italiano deriverebbe da una tradizione e non da un progetto. Saranno quindi i posteri, non i precursori i titolari del giudizio.
Di questi tempi inoltre territorialità è un termine abusato da alcuni più per marketing che per convinzione.
Ma esiste un tipo diverso di territorialità che nessuno può negare. Della quale ci scordiamo. Il prodotto artigianale nasce dalla fantasia dell’artigiano. La sua mente “coltiva” il prodotto destinato a rappresentarlo. Un messaggio in bottiglia al mondo esterno.
Riportiamo la persona al ruolo che si merita. Il fulcro di tutto è l’individuo. Il creatore, l’artefice, l’essanza, non sono gli ingredienti usati o la particolarità della loro provenienza ma l’uso che ne è stato fatto.
Le birre sono i birrai.
Ciò che produciamo non è ciò che produciamo ma ciò che siamo.
@cerevisia. Ti rimando al commento fatto a sr. Ovvero a cosa seeve un impianto birra alla bosca cora? Per quanto riguarda le nicchie dissero lo stesso al sig Ferrero che imitava la cioccolata utilizzando le nocciole…
Ferrero-Bottero? Non ci sono più limiti, a nulla.
Per bosca cora non ne so niente, staremo a vedere, per quanto riguarda la nutella, prova una crema alle nocciole della Streglio o una crema al cioccolato della Lindt ed avrai un’idea della differenza tra i vari metri di misura, a me la nutella fa schifo. Se ne vende tanta è un successo commerciale, ma continua a farmi schifo, proprio come Heineken, se ne vende tanta, ma ciò non la rende di certo buona.
@Ernesto-Cerevisia, ma quanto scrivi!!
La Bosca Cora ha l’impianto da circa 15 anni…non è una cosa nuova.
Io spero che la Niimbus sia per prima cosa identificata per essere un birra “buona”, inequivocabilmente Birra, come scritto in etichetta. Poi che l’utilizzo del mosto di uva Moscato e dei suoi lieviti che vanno a terminare la fermentazione iniziata dai lieviti da birra (credimi non è così facile e sono occorsi tempo e studio) non ti piaccia come idea, pazienza. A me da molta più soddisfazione che non replicare (probabilmente male) una Pils.
Sono idee, modi diversi di interpretare la birra, caro Ernesto, e per fortuna non la pensiamo tutti allo stesso modo, se no sai che noia!
Purtroppo non ho il dono della sintesi, ma a volte vengo comunque frainteso.
Fai benissimo a fare la birra che ritieni più consona e sicuramente meglio che replicare male uno stile. Non ho nessuna pretesa d’imporre il mio pensiero, riporto quello che ho imparato, permettimi però di dissentire sulla possibilità imminente della nascita di uno stile Italiano, tutto qui. Anche perché non mi sembra di essere l’unico a crederci poco.
…certo, Ernesto, che oggi vanno tutti contromano su questa autostrada, eh? 🙂
Facciano ciò che credono a me poco cambia, solo che prima di credere ad ogni cosa scritta, ci si dovrebbe porre degli interrogativi. Cos’è uno stile? Come nascono? E quali i parametri che li contraddistinguono? Poi c’è chi sa, c’è chi s’informa e chi ignaro ci crede.
E ricorda uno sbaglio comune, non smette di essere tale, solo perché non si è gli unici a farlo. C’è sempre qualcuno che se ne accorge.
Non posso che quotarti, anche per gli interventi fatti più sopra (mi son piaciuti anche quelli di Indastria).
Si parla di “tempi maturi” quando in questo paese si fa birra artigianale da sì e no 15 anni (e stiamo parlando degli “storici”, perchè se andiamo a vedere l’anzianità dei micro italici la media è più o meno 6 o 7 anni) contro una cultura brassicola secolare radicata nella storia dei popoli belga, tedesco, ceco e britannico dove la birra è vissuta (anche) popolarmente nel modo nel quale da noi è vissuto il vino: mi sembra che in tutto questo ci sia una buona dose di arroganza e supponenza.
Certo alcune ottime birre di birrai (notevoli) italiani vincono premi a concorsi internazionali ed è riconosciuto internazionalmente il “miracolo” italiano (che di miracolo si tratta vista la scarsa cultura di base in campo brassicolo nel nostro paese), ma da qui a far nascere “nuovi stili” ce ne corre (forse l’utilizzo delle castagne, che comporta anche difficoltà e scelte mirate nel brassaggio viste le caratteristiche del prodotto, potrebbe essere l’unico chiaro esempio di primo vagito par la nascita di uno stile effettivamente italico).
Non credo che nessuno voglia mettere in discussione che in Italia ci sono ottimi birrai, ma il movimento è ancora giovane e le basi culturali (anche nel senso di tradizioni di riferimento) ancora troppo fragili per potersi ergere a “indicatori di nuove vie e nuovi stili”: tutto ciò francamente mi sembrerebbe un pochetto ridicolo; ritroviamo il senso della misura e voliamo basso, con legittime aspirazioni e sana voglia di creare e migliorare, ma soprattutto con meno spocchia e meno suscettibilità (dire che una birra è fuori stile o venuta male non è un crimine di lesa maestà…).
@Raffaele:qualcuno dovrà pur iniziare, finchè ci si limita, in modo più o meno corretto a replicare cosa già fatte (spesso meglio) da altri si resterà sempre al palo. Non è questione di “volare Basso” (io mediamente sono a livello marciapiede) o arroganza,(sono l’ultimo arrivato), ma voglia di creare e di distinguersi. Che poi ci vada del tempo (decenni) penso che sia una cosa logica ed ovvia e non basta certo una definizione “stile italiano” in etichetta a sconvolgere il BJCP. Però, se mi permetti, preferisco star qui a discutere di questi argomenti che non di birra da 43 gradi, scoiattoli o menate simili.
@Lelio: infatti la critica non è rivolta a te personalmente od alla dicitura in etichetta (che in sè non certifica nulla ed anzi può essere intesa anche come “birra creata secondo lo stile ed il gusto che contraddistingue l’Italia”, così fai contenti puristi e non…) è solo al fatto che molti (troppi) credono di ergersi a “guru” della birra in Italia quando, se poco poco passassero il confine, susciterebbero solo commiserazione.
Non è sbagliato sperimentare e cercare altre vie, mi pare che nessuno lo abbia affermato, ma appunto esperimenti restano ed il padroneggiare la corretta produzione dei “classici” dovrebbe essere la via maestra dei mastri italici (pur ammettendo che ve ne sono già di livello alto che non devono imparare a padroneggiare un bel nulla), solo che in giro ormai si vede di tutto per una (insana) voglia di stupire a tutti i costi: non è salutare per il movimento, per un po’ i pesci abboccano, ma poi imparano…
Ultimissima per esemplificare: mi è arrivata notizia di una “weiss al farro brianzolo” col 33% di farro, sarò retrogrado, ma onestamente, sarà anche buonissima, però la weiss è ben codificata e chiamare una birra al farro in tale modo è, oltre che fuorviante, anche controproducente.
Ti ringrazio comunque per la cortesia con la quale ti poni perchè non sempre in blog e forum è facile trovarla, è questo è sicuramente un merito del quale ti va dato atto.
Grazie per aver sintetizzato il mio pensiero. Per quanto riguarda la spocchia sono sicurissimo che Lelio ne è esente, ma sono anche sicuro che altri ne soffrano. Poi sono anche convinto che molti che affermano certe cose, non lo facciano in malafede, la loro è semplicemente mancanza di cultura in merito e questo genera convinzioni sbagliate.
Guardate all’estero i Paesi birrari dovrebbero essere il nostro riferimento. Ricorderò sempre qualche anno addietro fui al MIA di Rimini, predecessore del pianeta birra e tra gli espositori c’era ovviamente Heineken, con lo stand più grande e sfarzoso dell’intera fiera. Una marea di gente si accalcava allegramente per questo stand.
Un mese dopo ero al PIVEX di Brno, l’equivalente Ceco del MIA Italiano, c’era lo stand Heineken costituito da un piccolissimo stand, ma lo si vedeva da lontano per via delle centinaia di lattine di birra non finite, abbandonate a terra. Praticamente era come essere su un altro pianeta, la terra promessa dove Heineken veniva snobbata anziché acclamata dalle masse.
Stile italiano? Sarebbe interessante sentire un commento di chi, alla presentazione, tra fumi e raggi laser, l’ha assaggiata.
Sarei curioso anche io!, ma purtroppo non c’erano ne raggi laser ne fumo,ma famiglie, sindaco ed un po di brave personei..come dimostrano le foto presenti qui http://www.giratempopub.it
Saluzzo, saluzzo. C’è fermento, ed anche brave persone.
Saluzzo lo puoi vedere qui http://www.agrisapori.it/pagine/puntata392.htm.
Saresti curioso? Ma infatti, nessuno degli esperti presenti a saluzzo ha commentato da qualche parte. Boh. Io non l’ho assaggiata.
PS il video di agrisapori dura circa due minuti, la manifestazione qualche giorno… o sbaglio?
Tu eri a Saluzzo e non hai assaggiato la Niimbus? Mi spiace, ne avremmo parlato insieme subito. I discorsi birrari, come sostengo anche nel filmato di 18 minuti di Agrisapori, si fanno molto meglio con un birra in mano che non dietro ad un pc. A Saluzzo erano presenti molti appassionati, molti hombrewer e birrai, ma pochi frequentatori di forum, da alcuni di loro ho avuto un paio di indicazioni utili che penso metteremo in pratica a breve. Se passi al Giratempopub, o mi mandi il tuo indirizzo (dal sito c’è un modulo contatti),non ho difficoltà nel farti pervenire una bottiglia.
saluti
Lelio
p.s. la mia curiosità era riferita alla presentazione avvenuta al Giratempopub il 16 Giugno, non avevo inteso che ti riferissi a C’é Fermento.
E basta spammare!
I due o tre minuti erano riferiti alla tua birra. No, non ero a saluzzo ma mi è stato detto che fumi discotecari c’erano. Fine spam.
Ciao 75cl, come sempre in questi casi ti chiedo di darmi qualche info su di te (anche in privato via mail) per garantire che il confronto con Lelio sia con una persona reale e non con un semplice nick anonimo. Grazie.
Sono un po’ ignorante e non ho voglia di googlare, ma NIIMBUS (doppia i) che significa?
difficile che Google ti aiuti, servirebbe una bacchetta (anzi una scopa) magica.
si, si, ci ero arrivato, però tra stile italiano, piemonte e langhe, pensavo ad un nome più “nostrano” e meno criptico