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Con le 9 Luppoli si chiude il cerchio: ecco come Poretti si finge craft

Su Cronache di Birra ci siamo spesso occupati delle birre pseudo-artigianali o, come vengono definite in America, “crafty”. Sono prodotti in tutto e per tutto industriali, ma “camuffati” da artigianali per inserirsi in un mercato quasi completamente estraneo alle multinazionali, ma in fortissima ascesa. Negli States la questione tiene banco costantemente, tanto che risale solo a qualche giorno fa la notizia di una class action promossa da un appassionato locale contro la Blue Moon, rea di riportare in etichetta la definizione “artfully crafted” nonostante sia di proprietà di un gigante del settore (Miller Coors).

E in Italia? Uno dei primi casi fu quello della Moretti Grand Cru, che rappresentò un’operazione poco chiara e quantomeno criticabile. Sempre da Moretti più recentemente abbiamo assistito alla nascita delle Regionali, lanciate in occasione dell’Expo di Milano. Ma se c’è un marchio che ha totalmente abbracciato questo modo di raggiungere nuovi segmenti di mercato è sicuramente Angelo Poretti, con una scelta che ha rivelato la sua curiosa passione per i luppoli. Ovviamente mi sto riferendo alle varie “x Luppoli”, dove la x rappresenta un numero variabile tra 3 e 10. Negli scorsi giorni sono state annunciate le nuove “9 Luppoli”, che non solo possono essere interpretate come l’incarnazione più “crafty” in assoluto di questa gamma, ma anche un’ideale chiusura del cerchio: la serie numerica è ora completa, almeno finché Poretti non deciderà di cominciare a contare in doppia cifra.

pack_birre_3luppoli

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Ora che la successione “luppolata” è conclusa, possiamo avere un’idea generale della strategia di Poretti – marchio che, ricordiamolo, appartiene al gruppo Carlsberg – iniziata qualche anno fa. In principio fu la 3 Luppoli, accolta dalla comunità degli appassionati con un misto di sorpresa e ironia: il riferimento a un ingrediente ignorato per decenni dall’industria fu una mossa curiosa, sebbene quel 3 esponesse il birrificio al facile sarcasmo. Invece furono proprio i numeri a caratterizzare l’intera linea: alla famiglia Poretti si aggiunsero la 4, la 5 e la 6 luppoli, non necessariamente in questo ordine di apparizione.

A quel punto la strategia apparve chiara: prendere l’ingrediente brassicolo più rivoluzionario degli ultimi decenni ed elevarlo a simbolo di un’intera produzione. Poco importa se i numeri rappresentano le varietà diverse previste dalla ricetta, una semplice numerazione senza connotazioni produttive o, come ironicamente suggerito subito da qualcuno, il totale di coni aggiunti effettivamente in bollitura. Se il luppolo è il concetto chiave su cui ha fatto leva gran parte della rivoluzione artigianale, perché non rivolgersi a quei consumatori con la stessa arma? Logica che non fa una piega, peccato che nel primo caso il luppolo è protagonista a livello organolettico, mentre nel secondo diventa un mero strumento di marketing con pochi riscontri in termini gustativi.

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stagionali

Sebbene quindi criticata fortemente dagli appassionati e ridicolizzata persino da pagine Facebook ad hoc, la scelta di Poretti risultò molto interessante. Tuttavia non fu che il primo passo verso il mondo craft, del quale successivamente prese in prestito altri concetti. A fine 2011 fu lanciata la “Non filtrata ai 7 luppoli” che per la prima volta inserì in etichetta un valore molto caro ai beer lover: l’assenza della microfiltrazione. Ma la mossa eclatante arrivò qualche mese dopo, quando fu annunciata una versione estiva della stessa birra, battezzata “Non filtrata ai 7 Luppoli Summer Cascade”. Qui fu l’ultima parola a risultare clamorosa: un prodotto industriale non solo veniva appellato con concetti da birra artigianale, ma il nome si concludeva con quello della varietà americana di luppolo più influente degli ultimi decenni. Insomma, era quantomeno curioso che un birrificio industriale adottasse un termine conosciuto solo dai beer geek.

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E infatti si trattò probabilmente del classico passo più lungo della gamba, se è vero che oggi non esiste più alcuna birra con quel nome. In compenso con “7 Luppoli” si identificano ora le specialità stagionali: quattro birre per quattro diverse stagioni dell’anno, disponibili a rotazione. Vi ricorda qualcosa? Esatto: è proprio ciò che fanno molti birrifici artigianali.

poretti 9

Con la 8 Luppoli Poretti ha una volta di più strizzato l’occhio al mondo craft, iniziando ad addentrarsi nel ginepraio degli stili birrari. Prima – se non erro – alta fermentazione della gamma, il nome completo di questa birra è “8 Luppoli Saison Chiara”. Se non sbaglio è stata lanciata circa un anno fa e ha fatto da apripista alle 9 Luppoli, che invece sono state annunciate recentemente. Le 9 Luppoli sono 3 (sto impazzendo con tutti questi numeri!) e si chiamano Witbier, Porter e India Pale Ale. Ancora espliciti riferimenti agli stili, di cui presumibilmente solo uno è conosciuto da un target un po’ più ampio di quello degli appassionati. Curiosa che la “scura” si chiami Porter e non Stout, un nome che sicuramente sarebbe risultato più mainstream, se così si può dire.

Difficile pensare che le 9 Luppoli non si rivolgano a consumatori decisamente più smaliziati rispetto al bevitore standard. D’altro canto sono presentate con concetti ed espressioni simili a quelle usate dai microbirrifici di tutto il mondo:

I mastri birrai del birrificio Angelo Poretti si divertono continuamente a scoprire e inventare, con un pizzico di genio e con il loro tocco originale.

Nascono così le nuove specialità birrificio Angelo Poretti 9 Luppoli: tre birre dall’anima contemporanea con tre personalità diverse e carismatiche affinché tu possa scegliere quella più adatta a te e alle tue emozioni.

Oddio, in verità mi sembra più la campagna pubblicitaria del gelato Magnum. E credo che il paragone non sia tanto campato per aria, perché le dinamiche si assomigliano molto. Il Magnum partì come prodotto unico, salvo poi cominciare a diversificarsi negli anni: nacquero gusti diversi, alcuni dei quali accomunati da un filo conduttore comune – ricordate i Magnum dei sette peccati capitali? Credo che l’obiettivo fosse quello di intercettare i desideri dei consumatori, che rispetto al passato erano diventati più esigenti e diversificati. Poretti sta facendo la stessa cosa, aggiungendo al discorso l’aspetto “crafty” imprescindibile al momento. Ma i linguaggi sono identici – e direi “plastificati” – perché entrambi sono marchi industriali.

banner-10

E la 10 Luppoli? È uscita qualche mese fa ed è definita una “birra champagne”, sebbene sul sito di Poretti non si facciano altri riferimenti alla tecnica produttiva. Quindi a parte la pacchianissima bottiglia da spumante e i due bicchieri stile flute, non ci vengono date altre spiegazioni al riguardo. Meglio così: nel nostro discorso la 10 Luppoli c’entra poco, è un prodotto troppo aristocratico per noi 😛 .

Ricapitolando, Poretti è in questo momento il marchio che più di tutti in Italia sta cercando di mischiare le carte, appropriandosi di concetti e linguaggi tipici della birra artigianale. Ma perché non acquistare direttamente un microbirrificio invece che lanciare 10 e più birre diverse? La seconda operazione può sembrare meno costosa solo in apparenza, mentre credo che l’investimento è in questo caso molto più gravoso. La risposta allora è che probabilmente in Italia nessun microbirrificio è ancora così strutturato da offrire garanzie a Carlsberg, soprattutto in termini di tecnologia, fette di mercato e costanza produttiva. Ergo, chi teme che prima o poi qualche produttore artigianale venga acquistato da una multinazionale può dormire sonni tranquilli, almeno ancora per qualche anno.

In questa analisi ho volontariamente evitato qualsiasi tipo di giudizio sulle birre, che tra l’altro conosco solo in minima parte. Quello che mi premeva era valutare le mosse compiute in questi anni da un marchio industriale che ha deciso di vestire i panni dell’artigianale. E che lo ha fatto con una convinzione che probabilmente non ha eguali nel resto del mondo.

Certi prodotti arrecano solo danni? O permettano di allargare il bacino dei consumatori “illuminati” svolgendo il ruolo di gateway beer? È una strategia che risulterà vincente nel lungo termine? O è il tentativo disperato di salvarsi dal veloce declino delle industriali premium?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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45 Commenti

  1. Con queste birre non si capisce proprio una mazza! Temo che i maestri del marketing abbiano solo fatto un casino della madonna… Ma scrivimi bello grande lo stile birrario al quale (molto, ma molto vagamente) ti ispiri! Cosa rappresentano questi fantomatici numeri? Creano confusione e nulla più.

  2. E’ solo una butade publicitaria. Secondo me si tratta di frode ai dannni dei consumatori sprovveduti.
    Ma in Italia si sa vengono premiati i furbi e gli imbroglioni.
    Questo per dire che se ci fossero delle strutture serie di controllo, invece di massacrare i poccoli birrifici, si domaderebbero quanto è reale e quanto è falso.
    Ma torriamo alla birra.
    La cosa che mi stupisce di più sono la balche ai nove luppoli. Chia ha mai fatto una blanchesa che la cosa che deve risultare appena accennata sono proprio i luppoli poi se per nove luppoli inediamo 9 grami allora tutto è possibile

    E che dire della stagionali, io le uniche birre che conosco che si possono cosiderare stagionali sono le Marzen e le Saison il resto è fuffa.

    Tra l’altro la Poretti mi sembra ci rappresenta all’EXPO, tutti i miei complimentoni!!!!!!

    • Frode mi sembra una parola grossa… a me sembra che si approfitti di una platea poco “educata” nella materia per proporre come prodotto di qualità assoluta cose ciò che non lo è (però che il prodotto industriale premium sia meglio della corrispondente versione base” è innegabile, quindi frodi non ne vedo). Poi per carità magari è un limite mio che, del resto sono della scuola di pensiero che se pago 20.000 € per una Panda sono un fesso io, mica il concessionario che me la ha venduta. Per inciso a me qualche Poretti craft a cena da amici è capitata e devo dire che la saison e la witbier la sufficienza (6/6,5) la prendono: ma per quel prezzo si trova decisamente meglio.
      PS. le stagionali son un pochino di +
      Limitandomi alla Germania posso dire che esiste molto di + delle Marzen/Oktoberfest, tipo lo Sticke del terzo martedì di Gennaio (vabbè questa è una chicca che si gustano i tedeschi di Dusseldorf o gli italiani che ci hanno vissuto come il sototscritto ^_^), le doppelbock di Pasqua, maibock, sommerbier, winterbier e Weihnachtsbier (queste ultime praticamente indistinguibili da una marzen in una “cieca” ma tant’è). Pure nel resto del mondo tra Paske Bryg, Yule Ol, Noel ecc mi pare che il ventaglio sia bello ampio…

  3. Assaggiato la 9 luppoli Witbier e devo dire che è corretta, non fa certamente gridare al miracolo ma si lascia bere molto volentieri. Probabilmente questo genere di operazioni non fa bene al settore della reale birra di qualità ma personalmente se mi arriva gente a casa e devo comprare delle birre express sono felice che all’Esselunga all’angolo siano arrivate queste nuove Poretti.

  4. il casino viene dal fatto che nella realtà non esiste una definizione univoca di artigianale.Sono di ritorno dal corso del CERB dove su questo si è scatenata una discussione senza frutto (o senza birra) perché non si è riusciti a trovare una definizione di birrificio artigianale che soddisfi tutti,e così i marketing man ne approfittano

  5. Vorrei fare una considerazione un po’ differente. Ho la sensazione che il discorso della “industriale che imitia l’artigianale” sia in parte legato ad un equivoco, a sua volta derivato dalle caratterisriche peculiari della scena birraria italiana; e l’equivico di cui parlo è che una birra “in stile” sia prerogativa del produttore artigianale. Questa probabilmente è una percezione assente nelle altre realtá brassicole “evolute”, dove si è perfettamente abituati a vedere grossi produttori industriali commercializzare stout, blond ale, marzen, blanche e cosí via.
    Forse è un pelo provocatorio, ma in un paese che ha conosciuto un evoluzione nella sensibilitá del consumatore cosí radicale, non si potrebbe dare la lettura che l’evoluzione del comparto industriale sia invece una sorta di naturale corollario?

  6. Non sembra che poretti vada in giro spacciandosi per craft o artigianale, almeno guardando il sito ed il packaging.
    Siamo di fronte ad una ipa, una blanche, una saison, una porter industriali.
    Se i nostri artigiani hanno sempre parlato di qualità, di materie prime, del fatto che la loro birra costa 12 €/lt GIUSTAMENTE, non dovrebbero essere spaventati da un prodotto industriale, un cadavere come molti si spingono a chiamarlo – ricordando molto da vicino il linguaggio di alcuni vegani.
    Come ha detto meglio Adriano, gli stili non sono appannaggio del craft, e neppure la qualità.
    Una birra artigianale può essere pessima o buona ed in stile o non in stile, una industriale anche.
    Poretti non si è neppure inventata un marchio nuovo quindi non sta cercando di crearsi una nuova verginità. Ha semplicemente ampliato la propria linea per venire incontro ai nuovi gusti.
    E’ un fatto positivo per i consumatori che l’industria cominci a rilasciare prodotti di qualità superiore rispetto al passato.

  7. Finora ho provato ipa e wit, e sono, lo ammetto, curioso riguardo alla porter.
    La wit è dignitosa (anche se sullo stesso scaffale trovi la blanche de namur che costa meno), la ipa è invece scialbotta.

    • La mia non era una critica alle materie prime italiane… dico solo che mi sembra un discorso miope dire che preferisco una cosa solo perchè è fatta con materie prime locali.

  8. Molta gente si avvicina per curiosità al mondo artigianale e secondo me è semplicemente dovere degli addetti ai lavori e dei veri appassionati come tutti noi(credo) di informare al meglio e distinguere ciò che è di QUALITÀ da ciò che si crede tale!!

      • Sicuramente, il problema è ciò che si intende per qualità.

        Ah, ti ricordo che sul blog non è consentito il morphing nei commenti.

  9. è vero che l’approccio di porretti è un pò furbo , comunque per me le poretti sono le , o fra le migliori, (dal punto di vista del gusto) , birre commerciali. Mi piacerebbe poter bere tutti giorni una Amber Shock ma non me lo posso permettere; a volte ci si deve anche accontentare!

  10. Io preferisco la Poretti a tante pseudo birre di marca…la 5 luppoli e’ simile alla ceres strong ma costa meno…la 6 luppoli ‘ una buona rossa…e la 7 luppoli e’ davvero valida!

  11. La verità è che il comparto craft ha costretto l’industria a dei correttivi.
    L’unica cosa che ci può “salvare” davvero è creare più senso critico e consapevolezza, così che industria o non industria si continui a bere birra buona.
    Poi c’è chi si fermerà a Poretti, anche per un discorso di prezzo, e chi invece si guarderà intorno.
    Trovo però strano che operazioni del genere facciano “male” in senso assoluto, perché se vendi una birra del genere l’utente ha già una curiosità che è facilmente indirizzabile verso lidi migliori.
    Neanche BrewDog ha divorato tutto. Mica ci riesce Poretti.

  12. Io credo che, al di là della qualità, il fatto che anche in Italia i marchi industriali propongano altri stili birrai al di là delle solite lager sia una cosa positiva, sicuramente può educare o quantomeno incuriosire chi non sa che le birre non si dividono solo in chiare e scure. Sulla qualità non mi espongo perchè non le ho assaggiate.

  13. Lungi da me difendere Poretti o gli industriali che si spacciano per artigianali ma leggendo nell’articolo “perché non acquistare direttamente un microbirrificio invece che lanciare 10 e più birre diverse?” mi viene da chiedere: una mossa del genere non bollerebbe lo stesso Poretti di camuffarsi da artigianale senza esserlo? Un birrificio artigianale acquisito da un industriale non diventa anch’esso industriale? Certo se mantenesse la qualità di prima non dovrebbe cambiare nulla ma reputo impossibile non essere condizionati dal mercato di massa.

  14. Ciao, sono di parte in quanto nato a Varese, dove si produce la Poretti e cresciuto letteralmente a birra Bock ora chiamata 5. Per quanto mi riguarda trovo interessante la 4 e appunto la 5 sia per qualità e prezzo (intorno ai 2.20 il tris da 33cl) mentre trovo apprezzabili le stagionali (7 luppoli). Ho provato la 8 ma la trovo pesantina, anche di gusto, per il mio palato, la 9 India Pale Ale alla quale darei un 6/6.5 di voto. La 10 mi sembra fuori da ogni parametro per quel che riguarda il prezzo mentre la serie Angelo la devo ancora provare. Sicuramente stanno facendo una campagna aggressiva al mercato usando nomi esotici e secondo me è un bene per il pubblico non abituato a bere birra e che si accontenta della sciacquetta che ti danno in pizzeria a prezzi esorbitanti (5 euro). La persone comincia a capire il mondo che sta attorno al pianeta birra e alle varietà presenti sul mercato, si informa e legge le etichette e sceglie gli abbinamenti proprio come fa per il vino. Ben venga questa strategia, poi da un prodotto Italiano che sino a qualche hanno fa facevo fatica a trovare fuori dalla Provincia…..ma ripeto sono di parte.

    • Sono della tua stessa opinione.
      Ben venga l’uso di un po’ di terminologia da beer geek, se questo attira l’attenzione sul mondo della birra e stimola il consumatore a volerne sapere di più.
      L’Italia, paese del vino, è ancora molto indietro sull’argomento birra e si può essere o non essere stregati dalla strategia di Poretti, ma criticarla solo perché ammicca alla crafty, o perché usa i numeri per le sue etichette, mi sembra un tantino superficiale.
      Soprattutto perché poi la birra in effetti è tra le più valide attualmente nel panorama italiano.
      Più valide e sì, anche più “artigianali” nello stile.
      Avendo io stessa una birreria, ho avuto occasione di visitare il birrificio vero e proprio e qui mi allaccio al discorso “strutture” e “microbirrifici artigianali”, invitandovi a visitarlo se ne avete l’occasione, perché merita e dice qualcosa di più di quanto possa dire un’etichetta.
      Non mi dilungo (tempo tiranno, scusate), ma informatevi, andate a vedere e scoprirete che la fonte d’acqua cui si aggrappa il birrificio vero e proprio, è una tra le migliori in Europa, premiata per le sue qualità organolettiche.
      Vedrete i vecchi strumenti di un birrificio che ha 130 anni di storia e rimarrete affascinati.
      Appartiene al gruppo Calsberg, sì.
      Ma è una questione di distribuzione. Il birrificio (ripeto, andate a vederlo) non vi farà storcere il naso davanti alla parola “artigianale”, come mi sembra di capire da questo articolo.
      Vedere di persona e conoscere, saperne di più, di certo aiutano a esprimere una valutazione più profonda.

  15. Ho appena trovato alla COOP in offert le tre 9 – IPA – PORTER e WIT, in lattina, messe infrigol, le assaggerò senza preconcetti…farovvi sapere….

  16. Allora, assaggiata…per me è un SI.
    Non entusiasta, ovvio. Ho assaggiato la wit, corretta, nello stile, profumi e gusto delicato, tendente al tenue ma comunque un prodotto senz’altro migliore di alcune schifezze artigianali bevute in questi anni. Personalmente dall’indistri non mi aspetto una birra emozionante ma un onesto prodotto da “battaglia” che però mi permetta di non bere i cadaveri cartonati….
    Lo stile blanche è stato interpretato alla maniera “industriale”, senza eccedere in alcuno dei tratti caratteristico. L’agrumato c’è ma è tenue, lo speziato pure. La luppolatura è leggera leggera. Nel complesso c’è anche un discreto equilibrio. Sicuramente una birra che va bene per una disimpegnata serata estiva.

  17. Mi fa piacere che molti prima di commentare abbiano messo in bocca la birra. L’operazione di marketing è esattamente stile magnum algida e, secondo me, alla lunga si accorgeranno che è controproducente (se non se ne sono già accorti). Criticabile senza se e ma. Parlando delle birre in bocca, come ho scritto in un covo di pasdaran beccandomi anche qualche insulto, dove hanno fatto le cose scolastiche hanno fatto prodotti sufficienti rispetto ai concorrenti (Heineken,SABMiller), chiaramente non comparabili alla media e alta qualità dei craft italiani ma sicuramente migliori di tante birre e tanti microbirrifici e brewfirm fatti guardando solo i soldi, senza mastribirrai e soprattutto senza pulizia (che a mio parere li mette alla pari se non peggio degli industriali). Saison, Wit e Stagionali decenti il resto scialbetto. Angelo Pale squilibratissime. La 10 non ha un verso.

  18. Assaggiate quasi tutte …. Pare che i luppoli se li siano dimenticati a mio umile parere mi sembra una presa per il culo.

  19. Parlo da profano, in materia di birra…nel senso che bevo quello che mi piace e non mi faccio troppe domande; ma a livello di marketing (e qui forse qualcosa ne so) Poretti ha utilizzato una via maestra per raggiungere platee che prima gli mancavano, ovvero è riuscito a slegarsi dall’idea insita in molti di noi di birraiolo da navigli, ed ha puntato a reclutare (esatto, reclutare) un nuovissimo target, esterno alla Milano da bere, utilizzando parole chiave che ammiccano a tutti quelli che vorrebbero saperne di birra (un po’ come anni fa era successo coi vini….tutti sommelier ad un certo punto)……operazione di marketing perfettamente riuscita, per quel che riguarda i giudizi sulle diverse e numerate (ottima scelta) versioni lascio agli esperti il commento finale…..a me comunque la 5 luppoli piace, giudizio da fruitore senza velleità critiche. Buonasera a tutti

  20. Mi ricorda molto quando Homer Simpson andò alla fabbrica della birra duff, si trovò di fronte ad un unico conduttore che alla fine si diramava verso tre fusti con i nomi delle tre birre, e la guida diceva una cosa del tipo… “E qui è dove produciamo la vostra Duff… la Duff Lite ed il nuovissimo gusto Duff Dry”

    L’immagine è qui.

    http://vignette2.wikia.nocookie.net/simpsons/images/4/45/Duff_lite_%26_dry.png/revision/latest?cb=20121216015210

  21. Porter? It’s a joke…ora noon posso dire che sia cattiva…per essere una industriale tiene bene la schiuma, ma per quello che riguarda il colore non ci siamo. E anche le note di luppolo che dovrebbero essere predominanti su una porter, e anche se vogliamo, senza grazia, qui sono note da ladies beer. Non parliamo poi del tostato che è cortissimo in birra. Però per essere una industriale non è cattiva..però da qui a definirla porter ce ne corre

  22. ecco, leggendo le tante risposte si evince che la Poretti piace. Tante troppe volte assaggio birre prodotte da microbirrifici altezzosi come le tue parole e da un fusto all’altro il gusto cambia.. e che me ne faccio di una birra che un giorno ha un gusto e il mese dopo ne ha uno completamente diverso? in effetti i microbirrifici fanno piazza pulita nelle fiere perchè da un anno all’altro è difficile ricordarsi il gusto, ma nei locali è , credimi, molto diverso!

    • Ho capito male ho consideri altezzoso ciò che ho scritto in questo articolo? No perché così fosse sarei curioso di sapere il motivo

    • Cito testualmente il mio post: “proporre come prodotto di qualità assoluta ciò che non lo è”. dove hai capito che – almeno per quanto mi riguarda – “la Poretti piace” lo sai solo tu.

  23. Non mi fanno impazzire le poretti e la 10 luppoli costa decisamente troppo…. Tuttavia ritengo che pure la media dei birrifici italiani sia molto scadenti. La birra artigianale è meglio dell’industrialesole quando è fatta bene a mio avviso, altrimenti ad una birra artigianale mediocre ne preferisco una olindustriale tipo la Poretti. E basta con questi birrifici che fanno birre tutte amare a prescindere e magari usando per tutte lo stesso mediocre lievito secco! (non faccio nomi volutamente, ma per quanto detto mi riferisco ad almeno il 60/70 % Dei birrifici toscani). Complimenti per l’articolo, interessante e intelligente.

  24. Scrivo per segnalare che sulla mia lattina 8-007950-13373 di Porter 9 non sono indicati gli ingredienti, è legale? a me più che altro fa fastidio perché amo distinguere le birre in pure alla tedesca, dalle tagliate con riso e/o mais (frumento eventualmente abbrunato un posto a parte), per non dire zuccherate (come le Poretti) e le pasticciate all’inglese, inteso le IPA un vertice delle speziate (belghe con frutta un posto a parte). Ovvio che da una carlsbergensis industriale non mi aspetto (salvo eccellenze tedesche e ceche) che un’acqua brillante più o meno maltata più o meno alcolica (sono un estimatore di analcoliche), il problema ormai serio da consumatore è l’escalation dei prezzi, innescata a fine ‘900 dai birrai “artigianali” o meglio quei nostrani riusciti a far pagare come una sofisticata inglese o secolare belga importate (d’allora) una birra italiana finalmente non lager, con ricavo favoloso sul costo e la facilità di produzione (da cui l’esplosione imprenditoriale). Adesso che le major (anche nuovissime) stan riuscendo a far pagare l’assurdo per ogni birretta al bar (l’oggi è la battaglia formidabile sul territorio, delle mescite) il cerchio si chiude e a me non resta che scovare l’importatore (leggi bottega) o il produttore meno assatanato per non sentirmi del tutto …truffato?

  25. A volte pago birre artigianali puzzolenti…meglio poretti o Moretti visto che ultimamente sfornano birre bevibili come la gran cru Moretti

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