Nella giornata di ieri è finalmente stata pubblicata la nuova revisione delle Style Guidelines del BJCP. Come anticipato, è una revisione che non stravolge l’impostazione del documento, ma che introduce alcune novità. Quella a noi più cara è relativa alle Italian Grape Ale: inserite nella versione del 2015 come tipologia locale candidata a diventare ufficiale, sono state effettivamente “promosse” in questo aggiornamento, ma perdendo incomprensibilmente il loro riferimento all’Italia. Dopo le polemiche scoppiate in seguito delle prime dichiarazioni, il BJCP si è affrettato a correre ai ripari affermando che le Italian Grape Ale non sarebbero state toccate. Cosa effettivamente accaduta, ma attraverso un imbarazzante arzigogolo che ricorda i peggiori pastrocchi cerchiobottisti e che sfocia in quella che sembra una spudorata presa in giro. La soluzione individuata dal BJCP è la classica situazione in cui la toppa è peggiore del buco ed è destinata a minare ulteriormente non solo l’autorevolezza delle Style Guidelines, ma anche quella dell’intera organizzazione.
Come è possibile verificare sul pdf da poco disponibile, le Italian Grape Ale in effetti sono ancora presenti nelle Style Guidelines. Tuttavia la loro presenza è nuovamente relegata all’appendice B, quella dedicata ai pochi stili locali che non rientrano nell’ampio elenco degli stili principali. Contemporaneamente però il BJCP ha pensato bene di identificare un generale stile Grape Ale, questa volta collocato nella parte principale del documento e più precisamente nella grande famiglia delle Fruit Beer (categoria 29D). Qual è la differenza tra i due stili? Nessuno. La descrizione delle Grape Ale è una semplice trascrizione con parole diverse di quella delle Italian Grape Ale. L’unica discriminante è una frase di poche parole che non si ritrova in nessun’altra parte del documento del BJCP:
For uses outside Italy, see 29D Grape Ale.
Un’indicazione che ovviamente nessuno ha mai pensato di inserire per le California Common, le American Wheat Beer, le British Golden Ale, le Australian Sparkling Ale, le Flanders Red Ale, le Belgian Blond e tanti altri stili con riferimenti regionali. Quando negli scorsi giorni era emersa la possibilità che effettivamente avvenisse una suddivisione tra Grape Ale e Italian Grape Ale, la curiosità principale era capire il criterio di distinzione. Ora sappiamo che quel criterio non esiste: semplicemente è previsto che fuori dall’Italia sia utilizzata la denominazione Grape Ale.
Il pastrocchio è ancora più evidente entrando nel dettaglio delle Style Guidelines. Nella descrizione delle Grape Ale è sottolineata l’origine italiana dello stile, ma anche la sua evoluzione impiegando uve di altre nazioni. È risaputo che le Italian Grape Ale non impongono l’impiego di vitigni italiani, ma l’aspetto più comico è che tra gli esempi commerciali delle Grape Ale il BJCP inserisce tre birre italiane (su sei): l’Open Mind di Montegioco (Barbera), Il Tralcio del Birrificio del Forte (Sangiovese) e la Mons Rubus di Luppolajo (Monterosso). L’incoerenza di questo aspetto è ai limiti dell’agghiacciante e dimostra come il BJCP sia in totale confusione rispetto alla questione. Tra l’altro nella sezione Style Comparison non è proposta una reale comparazione con altri stili, ma semplicemente si afferma che le Grape Ale sono birre di stampo belga (perché?) con l’aggiunta di uva. Una specifica non solo estremamente riduttiva, ma anche in contrasto con la parte relativa agli ingredienti, dove si dichiara che il lievito utilizzato può essere anche neutro.
Dunque senza alcuna motivazione il BJCP ha deciso di eliminare il riferimento al nostro paese – paese che, ricordiamolo sempre, di fatto ha creato lo stile – nel momento in cui ha promosso le Italian Grape Ale a categoria ufficiale. Ribadiamo che è una decisione senza precedenti, che va in contrasto con l’impostazione mantenuta in questi anni dal BJCP e con i suoi stessi obiettivi, quelli cioè di valorizzare e tutelare la diversità della cultura brassicola mondiale. Se proprio non si voleva riconoscere all’Italia il primato dell’uso dell’uva nella birra, si sarebbe potuto trovare un elemento discriminante tra Grape Ale e Italian Grape Ale: ad esempio l’impiego non dell’uva in quanto tale, ma come prodotto dell’attività vinicola (mosto, vinacce, sapa, ecc.).
Per il resto le Style Guidelines 2021 introducono alcune piccole novità già anticipate qualche giorno fa, tra cui l’ingegnoso inserimento delle Brut IPA tra le Specialty IPA – se ne sentiva la mancanza in effetti. Il lavoro si è concentrato soprattutto sulla riorganizzazione e ridenominazione di alcune categorie, anche qui con scelte raramente condivisibili, almeno a nostro parere.
Le polemiche relative all’atteggiamento del BJCP nei confronti delle Italian Grape Ale continueranno anche nei prossimi giorni e ha senso chiedersi se è giusto dare alla vicenda così tanta importanza. La risposta è sì e no. Le Style Guidelines nascono come un riferimento per i concorsi birrari e non vogliono essere la bibbia degli stili birrari, essendolo però di fatto anche grazie alla loro ricchezza di contenuti. Inoltre non impongono alcun vincolo: un birrificio è libero di seguire le indicazioni delle Style Guidelines o di ignorarle completamente. Oggi esistono molte birre straniere che in etichetta riportano la dicitura Italian Grape Ale e probabilmente continueranno a farlo anche nei prossimi anni.
Di contro è bene ricordare che, sebbene sia un documento molto tecnico conosciuto solo da appassionati e addetti ai lavori, la capacità di influenza delle Style Guidelines va molto oltre la nicchia a cui apparentemente si rivolgono. Basti ricordare che dal 2015, quando per la prima volta lo stile fu codificato dal BJCP, il numero di Italian Grape Ale si è moltiplicato in maniera esponenziale tanto in Italia quanto all’estero. “Italian Grape Ale” è diventato un neologismo riconosciuto dalla Treccani – non proprio un soggetto per pochi intimi – e la sua definizione ha permesso di sviluppare fuori dai nostri confini un rinnovato interesse per la birra artigianale italiana. Insomma, l’importanza delle scelte del BJCP non sono da sottovalutare: se nel 2015 non avesse inserito l’espressione Italian Grape Ale nelle sue Style Guidelines, sicuramente non avremmo mai portato queste birre al recente Barcelona Beer Festival, che non è certo una manifestazione per quattro gatti. Purtroppo o per fortuna questa è la realtà ed è il motivo per cui la questione ci sta molto a cuore.
[…] del vitigno potesse essere un discriminante, ma no. Un pasticcio, insomma, come scrive anche Andrea Turco su Cronache di Birra. Non una novità, del resto: chi segue e legge il BJCP sa che pasticci del genere ce ne sono […]
[…] abbiamo voluto fortemente mantenere l’aggettivo “Italian”: rivendichiamo infatti l’indissolubile legame che esiste tra questa tipologia e il nostro paese, senza il quale il fenomeno Grape Ale semplicemente non […]