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Alla scoperta del birrificio Alder, la nuova avventura di Marco Valeriani

Dopo il recente addio al birrificio Hammer, in molti erano in attesa di conoscere i dettagli della nuova avventura di Marco Valeriani, uno dei più grandi talenti brassicoli d’Italia e già Birraio dell’anno nelle edizioni 2016 e 2018. Da qualche giorno sappiamo il nome della sua nuova avventura, Alder Beer Co., ma per avere maggiori informazioni al riguardo ho deciso di interpellarlo personalmente. Marco in questa chiacchierata mi ha caricato una molla pazzesca. Ha le idee chiare, è sereno, e sebbene il passaggio da dipendente a imprenditore regali sempre qualche grattacapo, dalle sue parole si percepisce che è molto soddisfatto. Anche se la sala cottura ancora non c’è, anche se questa è la fase iniziale – ed economicamente più dura – attraverso il telefono riesco a vedere i suoi occhi che brillano. Come dargli torto: deve ancora materialmente finire di costruire le strutture che accoglieranno il birrificio che già ha richieste di collaborazioni dall’estero e inviti a festival birrari molto importanti. E tutto ciò è assolutamente meritato.

Alder Beer Co. aprirà a Seregno (MB), a 100 metri dalla stazione, a un quarto d’ora da Milano, e promette eventi con birrifici stranieri, collaborazioni e chicche disponibili solo in taproom. Ho telefonato a Marco per saperne di più.

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Ciao Marco, come procedono i lavori?

Eh, abbiamo il pavimento! Abbiamo completato le strutture in cemento, gli scarichi, tutto quello che serviva e adesso ci stiamo occupando degli impianti: gas, elettrico, acqua. La settimana prossima, invece, arriva la sala cottura.

Che tempi prevedete per l’apertura?

Per quanto riguarda la parte nostra, entro fine maggio avremo montato tutto. Però poi ci sono i permessi, le autorizzazioni varie per lo scarico, le licenze, il codice accisa… quando saremo a posto con tutto, già dal giorno dopo saremo operativi. Per ora la situazione è questa: non dipende da noi, ma dalle autorizzazioni varie.

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Con quali birre vi presenterete?

Le prime birre saranno due Lager, due American Pale Ale, due IPA e una scura. In generale faremo tante Lager e parecchie luppolate, ma anche scure e birre della tradizione belga, usando molti lieviti diversi. Mi piacciono un sacco le birre scure, per cui ne faremo parecchie: Stout, Milk Stout, Chocolate Stout, Imperial Stout e Porter. Anche qualche scura a bassa fermentazione, pensavamo a una Schwarz, ma credo la convertiremo verso una Dark Lager, un mix di luppoli di origini diverse, vedremo. Per il Belgio, invece, ho in mente una Belgian Blonde classica e una Saison un po’ moderna, ma non esagerata… ecco, non una IPA col lievito belga.

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Come sarà Alder? Da dove hai preso il nome?

Alder sarà una fabbrica di birra con una taproom bella grande, perché l’intenzione è di lavorare bene dentro. Faremo anche edizioni limitate, dei batch più piccoli da vendere solo in taproom, abbiamo studiato l’impianto apposta: 8 serbatoi di cui 6 da 30 ettolitri e 2 da 10 ettolitri per fare delle sperimentazioni, delle prove. L’idea è partire subito con 6-7 birre diverse, ma tenerne due (quelle che escono da questi due serbatoi più piccoli) esclusivamente in taproom.

Alder è una parola inglese che significa ontano, un albero che qui in Brianza è molto diffuso… ma se devo dirla tutta la scelta è stata quasi casuale. Volevamo chiamarlo Valeriani ma, anche dopo diverse prove grafiche, non ci ha convinto fino in fondo. Dopo due mesi di ricerca è spuntata questa parola, ed è stato un caso che avesse anche un significato legato al territorio. Ma mi piace la pronuncia, è una parola inglese, ma sembra un po’ tedesca, e rispecchia le due filosofie produttive del birrificio: Lager e IPA, mondo tedesco e mondo anglofono. Poi il nome è semplice, facile da pronunciare e da scrivere, ed è corto.

Com’è l’impianto?

È da 10 ettolitri di Impiantinox. Abbiamo fatto le cose per bene e partiremo con la tecnologia giusta, col laboratorio di analisi, eccetera. L’impianto è manuale, ma ha un software che abbiamo fatto fare apposta per la gestione semiautomatica di alcuni passaggi, in modo tale da ridurre al minimo l’errore e l’interpretazione umana. Di particolare ha una serie di piping che ci siamo fatti realizzare su misura e un impianto di osmosi che però lavorerà in base alle diverse birre che produrremo. Per iniziare ci caricheremo i sacchi sulle spalle, ma appena possibile voglio standardizzare anche il carico del malto, per ridurre rischi di grumi, cambiamenti di idratazione, blocchi e anche per questioni di sicurezza sul lavoro.

E per il confezionamento a cosa avete pensato? Bottiglie o lattine?

Probabilmente faremo lattine, ma non siamo ancora certi. Dipende, stiamo trattando per due macchine, ma dobbiamo ancora vedere la tecnologia com’è, e anche il prezzo. Perché sono macchine costose, di cui dobbiamo testare i risultati per capire se saranno adeguati alle nostre aspettative. L’idea comunque è fare solo lattine. Ma dipende da diversi fattori tra cui c’è anche l’approvvigionamento delle lattine stesse perché in Italia, a parte le 33 cl, sono difficili da reperire con costanza. E a me la 33, bassa e cicciona, non piace molto. Preferisco la slim da 40 cl.

Che ruolo avrai nel tuo birrificio?

Ci sarà un ragazzo che mi darà una mano, ma appena possibile assumerò un birraio esperto. Sarò responsabile di produzione, ma con un birraio esperto potrò delegare tante cose e concentrarmi anche in parte sulla fase commerciale. L’importante sarà stabilire i parametri di processo e mettere giù tutto quello che è parametrizzabile a livello produttivo. Con gli strumenti si misura tutto, ci sono delle schede di produzione con i dati da analizzare. Non lascio nulla all’interpretazione. Ho iniziato a fare birra in casa nel 2000 ed è dal 2000 che penso di aprire un mio birrificio. Ho voluto prima fare esperienza, e ci ho messo anni, perché prima volevo le competenze, il know how giusto, conoscere l’ambiente e le sue dinamiche.

Non mi stupisce che tu voglia fare anche il commerciale, infatti.

All’inizio farò in parte anche quello, poi delegherò. Vorrei vendere il più possibile all’interno della taproom, e non vendere lattine o bottiglie fuori. Fuori venderemo per la maggior parte fusti. Perché vorremmo dare unicità al posto, se qualcuno vuole la lattina se la viene a prendere in birrificio. Poi se qualche pub della zona vorrà venderle, gliele daremo, ecco.

Penso proprio che i locali craft di Milano non si lasceranno scappare l’occasione di vendere le lattine del birrificio di Marco Valeriani.

L’idea, quantomeno iniziale, è di non avere distribuzione, ma di vendere tutto direttamente, considerando anche i volumi esigui che produrremo.  E sulle lattine indicheremo scadenze molto corte. Perché, anche se lavori in controllo di ossigeno, per le luppolate la freschezza è decisiva. Non ha senso dare una scadenza di sei mesi a una birra che va consumata fresca e dà il massimo le prime 4/6 settimane. Ad alcune birre abbiamo intenzione di dare tra le 6 e le 8 settimane di shelf life. Non è che se ne passano 10, poi non sono più buone, il TMC infatti non è una scadenza. Sono ancora buone, potabili,  ma se le bevi fresche sono davvero un’altra cosa. Ovviamente differenzieremo, alla Saison arriveremo a dare anche un anno, per fare un esempio.

È una cosa che ci preme molto. Vogliamo fare capire al cliente che non sono tutte Porter e Imperial Stout… Ma anche perché con tutti i lotti che faremo a ripetizione di APA e IPA che senso avrebbe dare una scadenza di 6 mesi? Se poi ogni mese ne facciamo una? E che poi la qualità di quello che bevi dipende da troppi parametri che non puoi controllare, come il lavaggio delle spine, saturazione dei fusti, come viene versata o come viene lavato il bicchiere. Se poi ci metti dentro anche 6-12 mesi di shelf life è finita.  Come tutte le IPA, anche le più buone del mondo, dopo 3 mesi non è che non sono più buone, è che non sono più come le hai fatte. L’evoluzione del gusto non è per tutte le birre… alcune evolvono bene, altre male.

Stesso trattamento anche per le Lager?

Certo, ho detto le IPA ma anche le Pils. Anche queste avranno una shelf life breve. E un’altra cosa a cui faremo attenzione è di vendere le nostre birre a chi ha la cella frigo. Avere una cella è il minimo che si possa fare per gestire la freschezza e la qualità.

Come pensi che farai a controllare tutte queste cose?

Collaborando molto con i pub e i publican, facendo vendita diretta, avendo un confronto. Voglio andare solo dai clienti che rispettano il prodotto e che sanno come trattarlo. Molti sono improvvisati, comprano tanti fusti e li tengono lì tre mesi, magari senza cella. Per questo all’inizio farò anche il commerciale, perché conosco bene il mercato, i clienti. Voglio sapere dove va la mia birra, chi la vende e come.

Per tutto il tempo hai parlato al plurale. Chi ci sarà in birrificio con te e chi ti ha aiutato a realizzare quanto fatto finora?

In società siamo io mio fratello e mio padre. Io sono l’unico socio lavoratore. Partirò subito con un aiuto birraio/tuttofare, poi inseriremo un birraio esperto e sicuramente qualcuno per la taproom.

Non resta che ringraziare Marco per la disponibilità, fargli un grande in bocca al lupo e contare i giorni che mancano all’apertura ufficiale di Alder Beer Co.!

Alessandra Di Dio
Alessandra Di Dio
Dopo un passato come editor in chief, ha deciso di assecondare la sua natura mutevole, scegliendo la via della libera professione: oggi lavora come copywriter, blogger, social media strategist e ufficio stampa nel settore food&beverage, e si occupa soprattutto di birra artigianale. Inoltre, continua a prestare la sua penna a diverse case editrici, sia in veste di ghostwriter sia come editor.

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