Il mio primo viaggio birrario in Belgio risale al lontano 2004, quando partii insieme all’amico Pisky con tanto entusiasmo e un bagaglio ancora limitato di conoscenze sull’argomento. Da allora l’avrò visitato almeno una decina di volte, quasi sempre per partecipare a viaggi stampa o come giudice in concorsi a tema. Negli scorsi giorni ho deciso di tornarci insieme a mia moglie, per regalare a entrambi una vacanza tra le bellezze brassicole e architettoniche di Bruxelles e delle Fiandre: sarebbe dovuto essere un itinerario fondamentalmente “turistico”, così mi sono ben guardato dall’assistere ai tanti eventi organizzati nello stesso periodo: la Notte della Grande Sete, lo Zythos Bier Festival e la Quintessence. Penserete che sia stata una scelta suicida, ma aver girato il Belgio come semplice turista mi ha permesso di guardare la scena locale con occhi diversi, cogliendo alcuni aspetti che difficilmente si possono percepire in viaggi organizzati o troppo “tecnici”.
La diffusione di De La Senne a Bruxelles
Uno dei dettagli che mi ha colpito maggiormente è stato scoprire il livello di capillarità raggiunto dalle birre di De La Senne nella capitale. Molti di voi conosceranno questo birrificio, perché rappresenta una delle migliori espressioni della new-wave brassicola del Belgio. Fondato nel 2005 da Yvan De Baets e Bernard Leboucq (precedentemente proprietari del marchio Sint Pieters Brouwerij), si è subito affermato per produzioni di altissimo spessore, capaci di esprimere tanto i canoni tradizionali della cultura brassicola locale, sia i caratteri di un concetto più moderno di birra artigianale. La loro crescita è stata costante, ma anche impervia: considerate che sono riusciti a realizzare il loro sogno di operare direttamente a Bruxelles solo cinque anni dopo la creazione del marchio De La Senne. E mattone dopo mattone sono partiti alla conquista della città.
Oltre che nei locali specializzati sulla birra craft, oggi De La Senne è praticamente onnipresente in ogni angolo della capitale. Mi è capitato di trovare i loro prodotti alla spina in ristoranti, caffè e insospettabili birrerie, potendomi così permettere di evitare Leffe, Hoegaarden, Grimbergen e Kwak e nel frattempo bere divinamente. Per esempio ho trovato una ottima Zinnebir a La Fleur en Papier Doré, un antichissimo estaminet frequentato in passato da Magritte e non certo meta primaria per gli appassionati di birra, oppure una commovente Taras Boulba al centralissimo Poechenellekelder, locale storico che si visita più per l’incredibile atmosfera che per la selezione birraria. Ma ho potuto bere De La Senne alla spina anche ai ristoranti Fin de Siecle e Les Brassins, trovando un ottimo modo di accompagnare le rispettive carbonade à la flamande. Insomma, la capillarità raggiunta dal birrificio in questione è davvero impressionante: un’ottima notizia per tutti coloro che vogliono godersi la città senza rinunciare a bere bene.
Il ricambio nei marchi industriali
Ricordo che quando visitai per la prima volta il Belgio, ormai quasi quindici anni fa, fui colpito dai nomi di marchi birrari che si susseguivano senza soluzione di continuità nei locali della città. Non c’era ristorante, pub, caffè o supermarket che non mostrasse in caratteri cubitali il nome di qualche prodotto delle multinazionali. Era tutto un susseguirsi di Jupiler, Stella Artois, Maes Pils e via di seguito. La situazione chiaramente non è cambiata, ma ciò che ho notato è stato un avvicendamento dei brand pubblicizzati: Jupiler si incontra di rado, Stella Artois ha ridotto la sua presenza sul territorio e Maes Pils è quasi impossibile da incrociare. Al loro posto mi sembra che sia aumentata considerevolmente la presenza di altri marchi, come Leffe, Hoegaarden, Grimbergen, Tripel Karmeliet, ecc.
Se non conoscete precisamente questi nomi, il cambiamento non vi sembrerà molto illuminante. Sappiate allora che i marchi che andavano per la maggiore quindici anni fa erano tutti di Lager industriali, mentre ora il loro spazio (o parte di esso) appare occupato da alte fermentazioni di stampo belga, cioè da prodotti più ricercati. Sia chiaro, le multinazionali sono sempre le stesse: Leffe ad esempio è un marchio di AB Inbev, esattamente come Stella Artois e Jupiler. Quello che sembra cambiato però è il gusto dei consumatori, meno attirati da semplici pseudo Pils e più interessati a birre relativamente complesse e aromatiche. In questo cambio di paradigma la birra artigianale deve chiaramente aver giocato un ruolo fondamentale, decidete voi però se la nuova condizione è un bene o un male…
L’invasione dei beer geek
Personalmente non amo le esagerazioni: non è un caso che di base sia sempre rimasto lontano dalle espressioni più estreme della comunità dei beer geek e che in questa occasione abbia preferito girare per Bruxelles, Bruges e Gent invece di partecipare a eventi che hanno richiamato appassionati da tutto il mondo. Tuttavia mi sono trovato immischiato in dinamiche del genere la mattina di domenica, quando ho raggiunto lo sperduto In de Verzekering Tegen de Grote Dorst. Per chi non lo conoscesse, è un caffè situato nel minuscolo villaggio di Eizeringen (15 km da Bruxelles) che apre solo in concomitanza con le funzioni della vicina chiesa. Ma è anche un luogo che nasconde due tesori: un’impressionante selezione di Lambic vintage e suoi derivati e, soprattutto, l’atmosfera tipica delle antiche birrerie fiamminghe, frequentate solo dai vecchietti del luogo e sempre più difficile da trovare.
Probabilmente la seconda ormai è andata perduta. Sapevo che per la concomitanza degli eventi citati precedentemente avrei trovato un po’ di confusione, ma mai mi sarei immaginato di dover rimanere in fila per quarantacinque minuti in attesa di prendere posto a uno dei tavoli, circondato da decine di americani. Il locale era totalmente invaso da stranieri – quindi anche dal sottoscritto, me ne rendo conto – desideranti di stappare birre introvabili e con decine di anni sulle spalle. L’aspetto positivo è stato di aver potuto condividere gli assaggi con i miei compagni di tavolo, senza essere costretto ad accendere un mutuo. L’esperienza nel suo complesso però è stata molto diversa da quella che mi aspettavo e mi ha spinto a riflettere ancora una volta su che direzione sta prendendo questo mondo (o almeno alcuni dei suoi aspetti), considerando anche le notizie che mi sono arrivate da eventi come la Quintessence. Mi chiedo se è stato giusto “svendere” un pezzo di cultura brassicola così importante e delicata per la storia della nostra bevanda, trasformandola in qualcosa di non lontano da un trofeo di caccia. Che ne pensate?
ciao, in che modo pensi sia stao svenduto? e quale sarebbe stato il prezzo giusto?
Ciao. L’ho scritto tra virgolette apposta. Da un punto di vista economico è stato tutt’altro che svenduto, visti i prezzi che girano per certe birre. Ma appunto, aver mercificato a tal punto un patrimonio brassicolo così importante e in alcuni casi aver speculato sul fenomeno, è qualcosa che secondo me non sarebbe mai dovuto accadere.