Prima delle recenti festività la mia attenzione fu catturata da un interessante articolo pubblicato sul blog Top Fermented, in cui l’autore ragionava sul concetto di Gateway Beer. Con questo termine ci si riferisce a un’ideale birra capace di proporsi come tramite tra il mondo delle lager industriali e quello, molto più esaltante, dei prodotti artigianali. Secondo questa tesi, nell’esperienza di ogni appassionato sarebbe presente una particolare “birra di passaggio”: dopo anni passati a bere solo birre industriali, improvvisamente ci saremmo imbattuti in una produzione insolita, che ci avrebbe aperto le porte dell’universo artigianale. E’ un percorso comune a quasi tutti gli appassionati, ma la domanda è questa: esiste davvero la Gateway Beer?
Sicuramente ci sarà stata una birra che ci ha fatto compiere il salto di qualità, ma il concetto in esame è un più complesso. Per “birra di passaggio” si intende infatti un prodotto che non sia a tutti gli effetti artigianale, ma che si differenzi comunque dalle solite lager commerciali, predisponendo il consumatore alla definitiva conversione. Un esempio che calza a pennello è quello della Guinness: è una birra indubbiamente industriale, ma è così particolare che chi la ama probabilmente in futuro diventerà un consumatore di prodotti artigianali. Non è un caso che per molti appassionati la Guinness è ancora un prodotto di tutto rispetto.
Gli esempi citati da Top Fermented sono diversi, tra cui la Blue Moon e la Samuel Adams Boston Lager. Nel primo caso siamo di fronte al brand di una multinazionale (Molson Coors), ideato proprio per catturare una nicchia più “esigente” tra i consumatori delle birre commerciali. La Samuel Adams è invece un marchio di Boston Beer Company e ha da tempo perso lo status di microbirrificio, sebbene vanti ancora una sorta di anima artigianale. In entrambi i casi stiamo parlando di prodotti con caratteristiche ben specifiche, che per questo motivo possono essere definiti “Gateway Beer”.
Ma tornando al quesito iniziale, esiste realmente questa “birra di passaggio”? O meglio, abbiamo bisogno veramente di compiere uno spostamento “intermedio” prima di passare definitivamente dalle lager industriali alle birre artigianali? Non secondo l’autore dell’articolo, e io non posso che essere d’accordo. Una delle mie prime birre artigianali fu una Doppelbock di Andechs… fu lei ad aprirmi le porte di questo fantastico mondo. La scura di Andechs non può essere certo considerata una Gateway Beer, visto che è lontana anni luce da qualsiasi birra industriale. Eppure mi è bastato un boccale della scura di Andechs per segnare per sempre la mia esperienza di consumatore di birra.
Ovviamente il mio non è un caso isolato. C’è gente che si è avvicinata a questo mondo assaggiando per la prima volta un’amarissima IPA, o una Tripel belga, o addirittura un Lambic. Entrare in contatto con la birra artigianale non richiede alcun tipo di preparazione: se sei predisposto a prodotti di questo tipo (per gusti personali e motivi culturali) allora prima o poi li apprezzerai, senza il bisogno di alcun “ausilio” intermedio.
Questo è il mio pensiero, voi cosa ne pensate? Anche voi siete passati direttamente ai prodotti artigianali oppure avete prima fatto un po’ di pratica con qualche “birra di passaggio”?
Probabilmente la dinamica con cui il consumatore si sposta dalle “lager industriali” alle birre di qualità è leggermente diversa.
Forse questa “gateway beer” non è da interpretare come una birre che gli appassionati dovrebbero proporre a chi beve aiechen per “predisporlo” ed avviarlo ad un altro genere ancora di birre molto più complesse.
Probabilmente è invece al contrario, una birra che uno incrocia nella sua vita di consumatore medio che, pur non essendo a tutti gli effetti un prodotto artigianale super rinomato, gli ha aperto gli occhi e fatto capire che le birre potevano essere molto diverse da quanto aveva bevuto fino a quel momento. Per un fatto di probabilità, in un pub che serve lager industriali questa gateway beer che il cliente ha potuto assaggiare non sarà stata una Lou Pepe del 2003, ma qualcosa di ben più diffuso e reperibile ( che a differenza di qualche anno fa imho oggi potrebbe essere rappresentato da una Chimay o una Chouffe, per dire ).
Non escludo la possibilità che come dici tu, ci siano consumatori “aperti di mente” che si siano innamorati di punto in bianco di qualche stile estremo o comunque molto vulnerabile dal punto di vista delle critiche dei neofiti.( ipa amarissime, lambic, porter tostatissime.. )
Personalmente non credo ci sia stata UNA birra ad avermi convertito, è stato un percorso più graduale 🙂 Tra le prime comunque, mi ricordo Kwak, Bonne Esperance, Affligem… dalle mie parti ci si limitava al Belgio insomma.
Ciau 🙂
Limpido in mente come fosse ieri: 2l AmberShock a velocità vertiginosa + ricordino lasciato appena fuori dall’ingresso del B.I. – Da lì in poi s’è aperto un mondo…
ricordo che la guinness era arrivata dalle mie parti (in brianza) agli inizi degli anni 90! spesso veniva spinata malissimo!…comunque io (che cercavo sempre birre diverse) apprezzavo questo prodotto! …un po ‘di anni dopo in quel di colle brianza al peppo bar la guiness veniva spinata in maniera eccelente! e ricordo che si faceva la prova dello stuzzadenti ! se restava in piedi..nella schiuma cremosissima voleva dire spinatura ok! non e’ mai caduto!.comunque quel genere di birra rimase nel mio d.n.a..ora le artigianali italiane prefertite sono le scure in generale..dalla CONFINE BLACK MAMBA ECC- CIAOOO
Sono d’accordo con Luca. Per quel che mi riguarda tornano a galla nomi come Bonne Esperance, Lutece, Eku28, Urbock23. Perchè anche 25-30 anni fa era facile trovarle sugli scaffali dei supermercati insieme alla Peroni, etc. E sicuramente era già un altro bere, e si parlava solo di birre chiare o scure, semplici o forti.
Da allora è stato un susseguirsi di assaggi, passando per momenti più “vinosi” e meno birrari, con frequenti cambi di direzione.
Aiutati dal fatto di poter girare altri paesi europei ci si è avvicinati a prodotti birrari meno industriali. Poi si è iniziato a parlare di birrifici artigianali in Italia ed è cresciuta la passione e la smania di trovare le BIRRE artigianali e di qualità anche da noi.
Cosa che ora, secondo me, in parte è più facile. Complice il fatto di sentire parlare spesso di “Slow Food” e prodotti di qualità (discorso che non vale solo per la birra), grazie ad internet (allora esisteva solo BBS, chi se li ricorda?), grazie a locali più portati alla cultura birraria (speriamo che non ci sia un’inversione di rotta), la gente ha voglia di apprezzare/scoprire gusti nuovi e di qualità.
Sta di fatto che ognuno di noi ha nel cuore una BIRRA che non dimenticherà mai. Vuoi che gli ha fatto scoprire un nuovo modo di bere o che gli ricorda un momento particolare di sublime oblio… Viva la Gouden Carolus.
Ciao a tutti gli appassionati. Paolo
ricordo la mia amata orval..quando ne bevevo 7 a sera..dopo sentivo le campane della abbazia! hooooo
Per me fu una Duvel da 33 trovata nel super sotto casa. Non dico che da allora smisi completamente di ammazzarmi di Morettone da 66, ma la porta era sfondata, e in fondo si vedeva una luce fortissima sfavillare.
se devo pensare ad una gateway penso alla chimay pensare alla guiness come birra industriale che porta verso l’artigianale mi fà molta difficoltà
la mia prima birra non così diffusa è la Biere des Ours…un paio di anni fa (sono un marmocchio) e da allora le birer commerciali hanno perso ogni interesse e sono sempre alla ricerca dello stile, del gusto particolare e delle provenienze più strane, senza esagerare in quantità e cercando di abbondare in qualità…e fin’ora è stata una gran bella esperienza… 🙂
Per me è tutto iniziato cominciando a differenziare le birre industriali. Dalla semplice “media chiara” ho iniziato a chiedere specifiche birre, e dove ne trovavo di diverse le assaggiavo.
Poi una pizzeria della mia città aveva iniziato a servire le “Amarcord”,mi sembrava già di bere qualcosa di diverso (ma non certo immaginavo che stavo bevendo una “gateway beer”!) e sull’etichetta c’era scritto “birra artigianale”.
Ecco perchè poi, sono entrato in quel beershop, dove una Celebrator mi ha definitivamente e irrimediabilmente contagiato!!!!!!
@iaci
sì è vero… spesso la predisposizione per le birre artigianali è “dormiente” anche mentre ci si ingozza di lagerazze industriali! Anche io cercavo quelle che più mi piacevano, c’era una ricerca del gusto (vabbè, gusto…) che poi è esplosa quando ho compiuto il salto di qualità
Negli anni ottanta c’erano gli Iron Maiden e gli AC/DC e passavi direttamente da “sposerò Simon le Bon” a “Reign in Blood” degli Slayer…Nella birra qualche anno fa, l’esempio citato dal Presidente sulla Andechs Doppelbock calza a pennello, e ti apriva le porte magari verso la Pioneer di Mike Murphy.
Poi vennero i Cradle of Filth e arrivavi a godere con i Naglfar, nella birra ora sono le violente IPA che ti aprono la strada verso i nonni morti in barile alcolizzato…L’importante è stupire…Ora se ti beccano a bere una Zehendner Keller rischi di essere additato come un malato nostalgico incompetente con le toppe dei Megadeth sul giubbotto…
Non credo nella Guinness come “birra di passaggio”, ci sono “fenomeni paralleli” che bevono da anni solo Guinness e la celebrano come immortale reliquia, guai a fargli bere altro! Lei Presidente credo ne conosca molti…
@colonna
Sì hai ragione, non esistono “birre di passaggio” ma i gusti e le predisposizioni di chi beve. Una Guinness può rappresentare tanto una porta verso altri sapori, quanto il punto di approdo, la massima espressione, dei propri gusti birrari.
Ah io la Beckator la bevo sempre volentieri, credo che la prossima volta che passo mi presenterò col mio fidato Chiodo 😉
be colonna per gli iron maiden è abbastanza facile direi deep purple-rainbow-iron maiden-halloween-testament-metallica-slayer-napalm death e infine nonno mort.. ehm terrorizer !XD
Sono passato anche io attraverso Guinness, Chimay e belghe varie, ma la mia vera epifania birraria è stata la Ghisa al Lambrate.
birra ti do ‘ragione….la ghisa! mitica ghisa!…quando vado a lambrate oltre a berla..se c’e la porto a casa e non arrivano al giorno dopo! wowwwww
Dunque, a inizio anni ’90 mi imbattei nella Forst Sixtus, in un pub nella mia cittadina..ricordo ancora i menù in finto legno antico con le varie birre e le descrizioni (c’erano anche dei tentativi-suggerimenti di abbinamento. la Sixtus l’abbinavano ad un wurstel particolarmente dorato-affumicato).
Negli anni ’90 cominciai con le Guinness, in alcuni pub della Capitale, ma soprattutto durante quella specie di fiera organizzata dall’Ente Turistico Irlandese, che si teneva dalle parti di Piramide, d’estate. Infine, la “virata” verso le rifermentate in bottiglia con la Bonne Esperance, tra il ’99 ed il 2001….con la conseguente “caduta” nel vortice dell’homebrewing!! :-)))
ciao
Tony
Comunque al di là delle collocazioni geografiche e le tendenze del luogo (Roma è un caso simpaticamente patologico), le belghe in generale sono delle ottime “apripista”. Una Triple belga può aprire la mente a un “target” di carlsbergiani maggiore, scrivo anche di bevitrici femminili che di birra spesso non ne vogliono nemmeno sentir parlare…Con una Triple karmeliet in genere il successo è assicurato, con un buon effetto “Caronte”.
Tanto per dire si ricorderà, Presidente, lo schema al Bierkeller (correva l’anno 2004), in cui identificavamo una XXBitter come “passaggio” per chi era fissato con la Guinness (forse lo stesso principio vincente delle AIPIEI odierne? meno male che la “regola” del mercato penalizza l'”amaro”), in genere era un assaggio vincente, per poi portare suddetti palati su qualcosa di più complesso aprendo la strada per le “acide”…Erano bei tempi!
In conclusione credo che il passaggio fra grossi nomi e una buona artigianale sia il 99% delle volte assolutamente vincente e fidelizzante, cioè il buoncapitato non tornerà indietro a bere ainechen…
Il paragone di Colonna calza a pennello!
Io ho iniziato con le più alcoliche, tipo Boucanier e Du Demon.
@ Pistillone: che senso ha la tua lista?! I Terrorizer, con Pete “Commando” Sandoval hanno inventato il grindcore! Tutto fuorchè gli ultimi gruppi fuffa degli ultimi anni, idolatrati dagli “emo” col facepainting..
@ale erano solo vari passaggi dalla musica piu orecchiabile a quella più estrema 🙂 qualcosa di simpatico tutto qui :):)
Se è vero il concetto di “gateway beer” nel mio caso è stata la Leffe Vieille cuvèe (bottiglia bianco latte) che anche ora a distanza di anni e dopo aver conosciuto tante birre artigianali e trappiste rimane un ottima birra anche se industriale
Saluti a tutti
Forse è stata proprio la guinness la mia birra di passaggio,
ma ragazzi che guinness…..
Tutto comincio con la vacanza studio a dublino 4 anni fa.
Allora di birre non sapevo un’ acca (figuratevi che siamo andati in un brewpub e per chiedere una birra scura ho sfoderato i peggiori vocaboli di inglese che io ricordi, black, dark e mi pare anche uno shadow…..)
però posso dire che in 2 settimane ho realizzato una mappa dei migliori spillatori di guinness, ero diventato un astuto osservatore, bastava dare un’occhiata ai gesti del publican per capire che guinness avrei bevuto.
PS:un paio di settimane fa sono entrato in un negozietto di birre e casualmente ho pronunciato la parola guinness, apriti cielo, mi si infervora il negoziante dicendo che quella è una birra industriale…..oddio, caccia alle streghe, e dire che ho una gran voglia di tornare a dublino a berne 2 o 3 pinte…….
Io ho iniziato negli Stati Uniti, Denver, dove ho vissuto un anno. Le apripista per me sono stati grandi bevute di Newcastle e Blue Moon. Ma e’ vero che bisogna avere curiosita’, gusto e passione, come appunto per la musica, come si e’ detto.
Beh come apripista io ho trovato la Chimay al supermercato, ma ricordo anche qualche industriale come la Peroni Gran Riserva che ci paiceva di più, molto di più della Bud e delle altre robe straniere presenti al supermercato. Io poi mi ci sono avvicinato per caso, dato che mio fratello faceva la “collezione” di bottiglie le prendeva sempre diverse, poi una volta assaggiata la Chiamy e la Orval prendevano sempre quella e la collezione si è un po arenata…Poi le weisse al super, e le guinness nei pub e poi il salto grazie a tanti amici di Roma.
@ Colonna OT: io gli AC/DC ancora ho la spilla di High Voltage attaccata al giacchetto e ho preso i biglietti per Udine a Maggio 2010 e Parigi a Giugno ( con capata a Poperinge)…semo diventati vecchi o c’avemo sempre avuto buon gusto?
Oddio, anche per me la Guinness ha avuto un ruolo rilevante (specie quella bevuta in loco nel 1994; opps si capiscem che sono vecchietto ormai…).
Diciamo che il realtà la svolta è stata quando Alberto mi ha proposto di inziare a fare birra in casa (nel lontano 1996). Da allora è stato un susseguirsi di scoperte.
Se proprio devo indicarne una: la per me inimitabile Celebrator di Aynger.
Lutece, Chimay, Budweiser, Guiness, le Ales inglesi, la pale Ale di Sierra Nevada, dopo la quale, addio birre industriali……
il mio “gateway” è stata la chimay rossa. Ricordo ancora la scintilla che si accese quando sentii sapori che mai mi sarei aspettato da una birra. Era un periodo in cui andavo a tennent’s super come se piovesse 😀 Poi è stato facile arrivare da lì alle rocheforte e via dicendo fino alle birre con il nonnomortodentro.
PErsonalmente non penso esista una birra di passaggio. L’esempio che si faceva della guinness lo trovo calzante. O uno è curioso e disposto a conoscere o devi avere l’occasione di bere qualcosa di diverso, che ti colpisca. Può essere tanto una weizen quanto una IS.
Grandissimi i parganoni musicali
la mia gateway beer è stata… un libro!
Anni e anni di nebbia brassicola, dove la birra chiara era quella normale ma io che ero figo bevevo la hoegaarden perchè “a me piacciono le weiss”. E ho detto tutto.
Poi mi regalano un libro che parla della birra, delle artigianali e di come farla in casa.
Nel libro si dice che nella tal birra si può sentire quel profumo/aroma/sapore ecc. Nell’altra invece il colore è ambrato, al naso sentori di … e in bocca è evidente invece quell’altra cosa. Da lì a sperimentare quanto di meno “commerciale” si trovava nei vari supermarket il passo è stato breve. Anche perchè quello che diceva il libro alla fine era tutto vero: si sente davvero la banana nelle weisse. Perchè la wit è un’altra cosa, adesso lo so 🙂
Morale: cultura e diffusione del prodotto valgono almeno quanto una buona gateway beer, visto che la curiosità debitamente stimolata fa venire sete…
Hai perfettamente ragione! E considera che per molti la Hoegaarden è una perfetta gateway beer 😉
[…] Era cerchiato in rosso nel mio elenco di cose-da-fare-a-Edimburgo-così-lo-meno-agli-amici, il pub della Brewdog. Non potevo esimermi. Sono birre che in linea di massima mi piacciono, con fisiologiche oscillazioni fra il godimento e la saturazione a seconda degli umori beverini. Inoltre ne riconosco il valore in termini di innovazione comunicativa, di idee e di capacità di creare un’onda intorno a uno stile che oggi magari può cominciare a stancare (confermo che assaggiare tutte le loro spine è impossibile, a meno di non trasformarsi in un’infiorescenza di luppolo), ma a cui sono comunque grato ché le Ipa sono state le mie gateway beer. […]