Poco più di un anno fa pubblicai un articolo in cui mi chiedevo se per la birra artigianale italiana non fosse cominciata una fase di maturità, caratterizzata dal compimento di un ulteriore salto di qualità per alcuni suoi protagonisti. Nello specifico tale avanzamento avrebbe coinciso con la realizzazione di progetti inediti e di impianti decisamente più grandi, capaci di introdurre le rispettive aziende in una nuova dimensione produttiva e di solidità imprenditoriale. Dopo circa un anno molti di questi progetti hanno trovato finalmente concretizzazione e l’impressione è che la scena birraria italiana sia destinata a cambiare notevolmente nei mesi a venire.
Per capire dove siamo diretti, ho avuto l’idea di intervistare alcuni birrifici italiani protagonisti di questa piccola rivoluzione. Sono tutti produttori decisamente consolidati, che in tempi recenti hanno ampliato i loro impianti produttivi raggiungendo dimensioni di tutto rispetto. A ognuno di loro ho posto le stesse domande: l’obiettivo è di confrontare le risposte per avere una visione più chiara della trasformazione in atto. Oggi partiamo con il Birrificio del Ducato, recentemente rinnovato grazie a un investimento considerevole e a un progetto a dir poco suggestivo. Alle mie domande ha ovviamente risposto Giovanni Campari, tra i fondatori dell’azienda e uno dei migliori birrai che abbiamo in Italia.
Quali sono le dimensioni e le caratteristiche del precedente impianto?
Al momento abbiamo due impianti, lo “storico” birrificio di Roncole Verdi (PR) che ha una sala cottura a 3 tini da 8 HL a cotta (ex Birrificio Italiano) e produce attualmente circa 2.400 hl/anno (questo birrificio verrà a breve convertito in una Sour Beer Brewery) e l’impianto di Fiorenzuola d’Arda (PC) con una sala cottura a 5 tini da 18 HL a cotta (ex Amarcord), in questo impianto produciamo tutte birre non rifermentate e l’anno scorso abbiamo fatto circa 2.600 hl.
Quali invece le dimensioni e le caratteristiche del nuovo impianto?
Il nuovo impianto è stato progettato da me insieme alla CFT di Parma, azienda già leader nel mondo del confezionamento birra per bottiglie e lattine, nonché primo produttore al mondo per impianti di trasformazione del pomodoro. Gli ingegneri della CFT (che hanno acquisito l’ex direttore tecnico di Velo, Elio Poloniato) si sono dimostrati estremamente flessibili per esaudire tutte le mie richieste, interpretandole con la loro lunga esperienza nel campo della automazione industriale e impiantistica alimentare.
Possiamo dire che quello che abbiamo realizzato è oggi la sala cottura con la capacità produttiva ed il livello di tecnologia più elevati nel mondo della birra artigianale in Italia. La sala cottura è ibrida: in teoria sarebbe una 60 HL a cotta, ma grazie alle modifiche che abbiamo apportato saremo in grado di raggiungere fino a 100 HL nelle birre più leggere. L’alto livello di automazione ci consentirà di poter eseguire fino ad un massimo di 6-8 cotte in 24 ore, che significa una produzione di mosto giornaliera molto alta (circa 450 HL). Forse non raggiungeremo mai questi volumi, poiché sarebbe necessaria una capacità in cantina che non abbiamo; però, visto che questa è la terza sala cottura che cambiamo in 8 anni, volevamo essere sicuri di non doverla cambiare mai più.
Il grosso vantaggio del nuovo impianto consiste nella totale automazione che si traduce in controllo di processo, riproducibilità e analisi dei dati. Solo così si può veramente fare ricerca e migliorare il processo – lo dico a ragion veduta perché dopo 8 anni e mezzo di cotte completamente manuali siamo conviti che questo ci permetterà di concentrarci più sul lavoro vero dell’arte birraria liberandoci da inutili pesi, discontinuità e stress dati dal lavoro manuale.
Quali sono le principali innovazioni tecnologiche del nuovo impianto?
Mulino automatico con stoccaggio dei malti base in silos, linea di confezionamento completa (dal depallettizzatore vetro alla incartonatrice delle bottiglie), sistema di controllo automatico della sala cottura gestito da un software supervisore, CIP automatico, locali concepiti e costruiti allo stato dell’arte per l’igiene e il benessere di chi ci lavora. Avremo anche un laboratorio interno di analisi chimiche e microbiologiche per il controllo qualità.
Qual è la capacità produttiva attuale e quella che avete pianificato di raggiungere nei prossimi anni?
Questo è difficile dirlo: l’anno scorso abbiamo fatto 5.000 hl, entro due anni vogliamo arrivare a 10.000 hl, poi si vedrà. Ora siamo sempre senza birre, ma il futuro non è scritto. Ritengo che la crescita debba sempre essere affrontata con calma e un passo alla volta per evitare scompensi di tipo qualitativo o altro, infatti la nostra politica è sempre stata quella dei piccoli passi.
Quali sono i vantaggi che potrete ottenere dal nuovo impianto (anche in termini di mercato)?
Attualmente esportiamo il 35% della produzione verso 18 paesi nel mondo, le richieste dei mercati esteri sono sempre di più ed il nuovo impianto ci permetterà di esaudirle. Allo stesso modo potremo finalmente fare più fusti, di cui siamo sempre senza (alcune birre come Machete e Viaemilia sono già vendute ancora prima di essere confezionate). Inoltre abbiamo tanti altri progetti in mente che non voglio ancora svelare.
Ci sono eventuali progetti paralleli che potrete portare avanti col nuovo assetto (es. birre acide, one shot, collaborazioni costanti, conto terzi, ecc.)?
Collaborazioni ne abbiamo fatte e ne faremo ancora tante. Nel prossimo futuro abbiamo in programma collabotion brew con Beavertown, Jopen, Brasserie de la Senne e altri.
Il conto terzi per ora non è una cosa che ci interessa poiché prima di tutto dobbiamo arrivare a soddisfare la domanda per le birre del Ducato, tuttavia non è una cosa che escludiamo a priori negli anni a venire.
Come ho già detto esiste un progetto imminente molto importante: la creazione della Sour Beer Brewery a Roncole dove abbiamo già una capacità di stoccaggio nel legno di oltre 700 hl (con botti di diverse dimensioni, dalle classiche barriques fino a grandi botti di 8.000 l) e diversi serbatoi di acciaio per un totale di 400 hl, ma pensiamo di aumentare ancora la cantina aggiungendo vasche di cemento, altri serbatoi e un sogno nel cassetto che si chiama coolship.
Queste dunque le straordinarie caratteristiche del nuovo Birrificio del Ducato, le cui “prove su strada” dovrebbero cominciare proprio in questi giorni. Alla base c’è un progetto veramente ambizioso, che permetterà all’azienda di compiere un eccezionale passo avanti in termini tecnologici e di ettolitri prodotti ogni anno. E, come vedremo nelle prossime puntate del nostro reportage, il Ducato non è l’unico birrificio italiano ad aver imboccato una strada del genere.
gran bella intervista! solo una domanda.. cosa è il coolship?
Vasche di raffreddamento, tipicamente usate per fermentazioni spontanee (ma non solo)
Il nome più giusto (e bello) resta “koelbak”.
Niente di più vero
Non mi avrebbe sorpreso né mi sarebbe dispiaciuto l’annuncio di una lattinatrice…
Bravi. Avere un impianto piu’ grande e industriale vuol dire fare piu’ birra e meglio, non vuol dire fare birra piu’ industriale e meno artigianale. Spero che non accada come al Birrificio Rurale che, quando ha annunciato di aver preso una imbottigilatrice isobarica (per non far rifermentare in bottiglia le birre e renderle così piu’ stabili), e’ stato crocifisso dai talebani delle birre artigianali.
Gran bella realtà il birrificio del Ducato, onore alla loro passione, impegno, e lavoro!!
Niente separatore centrifugo?