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L’Italia può davvero diventare il regno della birra artigianale?

open-baladin-romaNegli scorsi giorni molti birrifici e appassionati hanno rilanciato sui propri social network un articolo apparso sul sito Linkiesta e intitolato “Se l’Italia diventa il regno della birra artigianale”. Il pezzo offre una panoramica del nostro settore per un pubblico generalista, raccontando con numeri e interviste (a Teo Musso di Baladin e Filippo Terzaghi di Assobirra) il successo di un fenomeno che continua a crescere quotidianamente. E che noi ovviamente conosciamo bene: nessun passaggio ci dirà niente di nuovo, se non che la birra artigianale sta attirando l’interesse di un pubblico sempre più ampio e variegato. L’articolo mi ha però spinto a una riflessione da “esperto”, che vada oltre le ovvietà di un articolo mainstream. Qual è lo stato del settore in Italia? Cerchiamo di fare il punto attraverso alcuni concetti chiave.

Qualità

Se come me frequentate l’ambiente da un bel po’ di anni, non potrete non aver notato una decisa crescita del livello qualitativo delle birre italiane. Un tempo andare a un festival era come compiere una passeggiata in un campo minato: a parte pochi approdi sicuri, non era improbabile imbattersi in disastri brassicoli, anche firmati da birrifici considerati validi. Oggi questo accade con meno frequenza, segno che il settore è cresciuto non solo dal punto di vista quantitativo. Anche il numero dei birrifici degni di essere menzionati nell’Olimpo dei birrifici nazionali è aumentato considerevolmente: oggi a mio parere esistono almeno 50/60 aziende che si posizionano tra il buono e l’eccellente e che non sfigurerebbero se confrontate con altre straniere.

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Il confronto con l’estero è probabilmente il più interessante in questo senso, perché il gap con altre realtà si è ridotto tantissimo negli ultimi anni. Questo non significa che a mio parere possiamo pensare di competere con scuole come quella anglosassone, belga o tedesca: quando sento dire che i birrai italiani hanno superato i colleghi stranieri mi viene da sorridere e non posso non pensare che un po’ di umiltà farebbe bene a tutto il movimento. Tuttavia è indubbio che la crescita della birra italiana è stata impressionante, soprattutto per alcune tipologie per le quali possiamo considerarci maestri assoluti. Ma sto entrando nel campo del secondo concetto, che è quello della…

Creatività

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Ammettiamolo: spesso questo termine è stato usato in modo strumentale, camuffando da pregio ciò che a volte è semplice incapacità di seguire i dettami classici dell’arte brassicola. Oppure un modo per ottenere visibilità oltre i meriti intrinseci del prodotto. È vero che i nostri birrai sono spinti a sperimentare in mancanza dei paletti imposti dalle tradizioni, ma non necessariamente questo è un bene. Un birraio per essere definito creativo deve prima di tutto essere bravo: se non lo è, la sua fantasia produttiva sarà solo un modo di impiastricciare ulteriormente le ricette. Bearsi della propria presunta creatività e sostenerla quando si è incapaci di creare una birra base è fuorviante e pericoloso. E per anni in Italia abbiamo vissuto con questo equivoco.

Oggi che la moda degli ingredienti insoliti si è diradata, è emersa quella che è la vera creatività dei nostri birrai. Ci sono infatti alcune tipologie brassicole per le quali non temiamo confronti, soprattutto verso le storiche superpotenze europee. Prendiamo le birre legate al mondo del vino, prodotte con mosto o uva: è difficile trovare realtà capaci di garantire un livello medio elevato come il nostro. Discorso analogo per altre specialità, come gli affinamenti in legno – dove non saremo maestri assoluti, ma ce la caviamo bene – o l’impiego di frutta. Riguardo all’uso di ingredienti locali o particolari il panorama è talmente ampio e variegato (anche qualitativamente) che è difficile trarre un bilancio. È pacifico tuttavia che l’Italia può vantare in questo senso alcune perle brassicole invidiate in tutto il mondo.

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Solidità

Tutto questo fermento è sostenuto da basi solide? Il boom della birra artigianale poggia su fondamenta sicure o è destinato a scoppiare come una bolla di sapone? Forse è questo l’argomento più interessante per i mesi a venire. La situazione economica dell’Italia – attuale ma anche storica – non ci lascia certo ottimisti. Fare impresa è difficile, accedere al credito o a sovvenzioni statali lo è ancora di più. In molti casi chi si lancia in questo settore lo fa con progetti parziali e con investimenti limitati. Spesso la birra artigianale è vista come un sogno, da coltivare magari nel tempo libero. Ma che, incredibilmente, continua a tirare grazie a una domanda che quasi sempre supera l’offerta.

Quanti degli oltre 550 birrifici in Italia (con o senza impianto di proprietà) ha oggi un programma serio di crescita per il futuro? Vorrei poter rispondere “molti”, ma ho la sensazione che la realtà sia ben diversa. Basta vedere ad esempio la dimensione degli impianti diffusi sulla penisola, che spesso hanno capacità ridicole. Questa condizione richiede sforzi inimmaginabili o ulteriori investimenti (non previsti) e, nella peggiore delle ipotesi, espone l’azienda a problemi seri e concreti. Finora questo modello ha funzionato e tanti birrifici ormai consolidati sono partiti in modo a dir poco avventuroso. Ma un simile meccanismo è ancora valido nel 2013? Con la concorrenza che c’è in giro, con la saturazione di alcuni canali distributivi, chi parte allo sbando può avere un futuro? La risposta è forse nella disponibilità economica personale, anche se quella da sola non basta. O non basta più.

Chiarezza

Insieme all’argomento precedente questo al momento mi sembra uno dei principali talloni d’Achille del movimento. In questo incredibile ribollire di iniziative, progetti, idee e successi, mi sembra che il settore stia evolvendo in modo disordinato e caotico, senza un percorso preciso da intraprendere. Vedo poca chiarezza praticamente in ogni piega del nostro ambiente, a partire dalla definizione stessa di birra artigianale. Ma anche riguardo agli intenti generali, agli interlocutori cui rivolgersi, agli obiettivi comuni, alla definizione dei prezzi, ai metodi distributivi e via dicendo. Per trovare una soluzione a questa indeterminatezza si tende a cercare motivi di tipo imprenditoriale o commerciale. Ma la verità è che forse in pochi hanno le idee chiare prima di tutto su loro stessi, in quanto birrai, publican, distributori o altro. Imprenditori insomma. D’altro canto chi in passato ha imboccato una strada con convinzione, sicuro delle proprie scelte, oggi ha staccato tutti i suoi colleghi.

Ecco, in definitiva questo è secondo me lo stato del settore in Italia: un settore in crescita, qualitativamente ancorché quantitativamente, con alcuni lampi di talento puro. Un settore che ha tutte le carte in regola per non fermarsi più, ma che si sta sviluppando su basi minate da evidenti limiti. Considerazioni preoccupanti? Forse. Voi che ne pensate?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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71 Commenti

  1. Concordo in pieno! I birrifici italiani son spesso nati sull’onda dell’entusiasmo e della passione del birraio/homebrewer e quindi si sono focalizzati sull’aspetto produttivo. Man mano che il mercato ha risposto e sono aumentati i concorrenti si sono attivati per coprire le lacune dell’area Marketing&Comunication, ma solo pochissimi han capito (ancora agli inizi o di recente) che il punto fondamentale è avere un Business Model e un Business Plan che definiscano l’iniziativa e i suoi sviluppi, in termini coerenti e praticabili. Avere le idee chiare su dove arrivare, in quanto tempo e come. E’ fondamentale anche per trovare finanziamenti di vario tipo. A mio modestissimo parere il movimento per passare al livello successivo ha bisogno di competenze manageriali; soprattutto se si vuol mirare a conquistare il mercato straniero, via -a mio parere- fondamentale per far crescere e sviluppare il birrificio, che altrimenti rimarrà sempre piccolo (in riferimento alle dimensioni americane x esempio) con tutti i problemi connessi.

  2. la realtà brassicola nostrana ormai è in grado di competere con tutti i colossi birrai mondiali ( nonostante qualche esterofilo a tutti i costi neghi il contrario) tant’è che i grandi nomi dell’artigianale italiano vengono venduti ed apprezzati anche all’estero….però oltre alla crescita esponenziale della qualità dei prodotti ce n’è stata una ancora più evidente del numero dei produttori con molte realtà che dio solo sa come fanno ad andare avanti visto che producono non solo male ma spesso a costi esosi per rientrarci con le spese. Io non sono di quelli che vuole mettere i paletti alla gente perchè se hai un sogno e una convizione forte di certo non sono io farti cambiare idea e tanto ci penserà la selezione naturale del mercato a segarti se non sei competitivo, però una domanda mi sorge spontanea….ma cosa ti spinge in un momento sicuramente per niente roseo per l’economia nostrana a scegliere un investimento che non è economico e in un mercato che si sta saturando, specie quando ti improvvisi birraio dall’oggi al domani?

        • in piccola parte te lo concedo 🙂
          e ancora più romanticamente aggiungo che sono quelli che emergono e non chiudono bottega dopo un mese!

    • A me pare che i nomi nostrani apprezzati e venduti all’estero siano pochissimi. Mi vengono in mente su due piedi: Loverbeer, Panil, Baladin, Borgo, Toccalmatto, Ducato, Brewfist; altri non saprei.
      Sulla storia di competere con tutti i colossi birrai mondiali, ti rimando a un passaggio molto importante sottolineato da Turco: “un po’ di umiltà farebbe bene a tutto il movimento”. Esterofilo anche lui?

      • Quoto.
        Penso anche che, oltre ai “colossi” del craft americani e scandinavi, si stanno risvegliando anche inglesi e tedeschi. Con il tempo il mercato italiano si potrebbe ridimensionare. Non negando che ci sono nomi in italia che dal punto di vista qualitativo hanno da invidiare ad altri.
        Siamo partiti avvantaggianti in quanto liberi da qualsiasi vincolo, vero. Ma paradossalmente quello che fa viaggiare molti birrifici al momento non sono le “affinature in legno” ma le solite IPA, APA, etc etc

        • i fusti italiani costano spesso meno del craft estero, alla peggio uguale. ci sono fior di birrifici che fanno ottime birre. c’è un bel ventaglio di stili diversi, fatti bene, più varietà. hai la possibilità di bere birre fresche, che non si son fatte un mese di nave (refrigerata se ti va bene) e magari un paio di mesi a cuocere in qualche magazzino. alla gente piace bere italiano e tanti publican lavorarci. non vedo tutto questo rischio di ridimensionamento

          • Alla “gente” piace bere punk ipa (cit.).

            CMQ son d’accordo con te che il concetto di “local” in italia sta andando ben oltre le previsioni.

          • un fusto di Punk IPA costa come una AIPA di ottimo livello italiana, per quello nonostante sia peggio la vedi in giro parecchio (è il famoso programma marketing for quality)

            se costasse il 20% in più ne vedresti in giro molto meno, con buona pace della gggente che gli piace la Punk Ipa

            non so che previsioni avessi tu. per me il concetto local in Italia va esattamente come previsto

        • Sono d’accordo. La preponderanza IPA/APA è evidente e (ad es.) Loverbeer è un grandissimo marchio ma che per tipologie di birra rimane nella nicchia dei super-appassionati.
          Le dimensioni, legate al consumo, sono più condizionate da altri stili.
          Più che ridimensionamento parlerei di selezione naturale ad opera del mercato.
          Credo che alla fine rimarranno i birrifici specializzati (Panil, Lovebeer, ecc.), e birrifici a 360° (con una buona gamma di stili, qualità alta, capacità imprenditoriale elevata, mentalità moderna).
          Poi dipenderà anche dai volumi, vista la tassazione che c’è qui da noi….

      • si ma tu sei partito secoli dopo il belgio, la germania e il regno unito, comunque dopo il nord america e diciamo in contemporanea al mondo scandinavo eppure ha appianato il gap produttivo in termini di qualità che c’era fino ad appena 3-4 anni fa quando le birre artigianali italiane di qualità erano molto meno e tanti birrifici che ci fanno sognare le papille gustative avevano aperto da poco o magari erano ancora chiusi…..poi che il livello medio altrove è ancora mediamente più alto è un altro discorso perchè comunque parliamo di un paese novellino da quel punto di vista dove la moda dell’artigianale a tutti i costi ha fatto fiorire anche tanti produttori parecchio improvvisati, mentre altrove io di realtà improvvisate che spuntano come i funghi non ne vedo francamente ( il che non significa che non c’è chi lavora male all’estero). Però se andiamo a fare dei confronti stilistici birra vs birra a parte quegli stili che per varie ragioni sono ancora poco nostri una ottima IPA, saison o blanche locale non ha nulla da invidiare alle migliori rispettive dei paesi di provenienza

        • “Però se andiamo a fare dei confronti stilistici birra vs birra a parte quegli stili che per varie ragioni sono ancora poco nostri una ottima IPA, saison o blanche locale non ha nulla da invidiare alle migliori rispettive dei paesi di provenienza”

          Io ribadisco quanto detto sopra riguardo l’umiltà.
          Mi indichi una saison italiana capace di competere con De Blaugies? Una IPA italiana con Alpine? Cerchiamo di essere seri, dai.

          I passi in avanti sono stati fatti, anche grandi, e abbiamo dimostrato di saper fare buone birre, ma il movimento è ben lungi dal poter parlare di confronti con altre realtà.

          • Il mio pensiero ricade sempre sulla personalità di alcune birre, e in Italia abbiamo birrai che arrivano a vette straordinarie di gusto e di idee, con pochi eguali al mondo. Pochi, pochissimi…Dietro di loro una ventina di birrifici con meno idee ma con birre di ottimo gusto…Dietro di loro una mediocrità che ha pochi eguali all’estero, se non altro perchè la moda ha aperto porte a un numero infinito di presunti birrifici…Birre assolutamente dimenticabili (non parlo di birre da lavandinare) con zero creatività.
            C’è in Italia un background culturale nel mondo del gusto che altri paesi non anno, e gente come Riccardino o Valter Loverier sono assolutamente ai vertici del mondo birrario…E a parte i soliti nomi e mostri sacri europei o americani, non mi sembra che ci sia tutto sto gran livello all’estero…Credo che prendendo ogni nazione birrariamente “avanzata”, il livello delle cose straordinarie e delle mondezze assolute è in percentuale molto simile a quello italiano…Allo ZBF ti vai a cercare le novità col lanternino, sbavando per il nuovo pischello appena arrivato le cui birre non sono nemmeno avvicinabili a quelle di Extraomnes.

            Paesi nuovi in Europa? Spagna? Francia??? Grecia?? Per piacere…Cosa vi emoziona ultimamente? A parte ovviamente qualche ignaro (spesso per il birraio) esperimento alla Anchorage…Riparliamo dei danesi??? Svedesi??? Ma siete mai stati a un loro festival??? Noia.
            No, io mi diverto a bere italiano, e ritengo l’Italia veramente due passi avanti a molti paesi nel vecchio continente, pure di quelli che lentamente si stanno risvegliando, vorrei vedervi a trincare le nuove cagate della “Reinassance praghese” o le schifezze di bock tedesche ficcate in improbabili botti…Non si risveglia la tradizione, si sveglia la voglia di fare cagate che appartengono solo al mondo del rater incallito, e su quello tutto il mondo birraio attuale è su una via simile.

            L’eccellenza è una piccola, piccolissima percentuale. L’Italia ce l’ha, altri no. E quando finalmente verrà riconosciuta anche la “personalità” in alcune birre, la riconducibilità all’IDEA del birraio, allora ci si renderà conto della differenza di genio che c’è o c’è stata tra un Kris Herteleer e non faccio nomi…

            Ah, comunque sul prezzo della PunkIpa non concordo…a Roma ormai la svendono sui 3 euro e poco più al litro…E anche per me il concetto “local” in Italia è andato secondo previsione, anzi…Il mercato ora a Roma lo fanno Eataly e Porto Fluviale 😉

          • secondo me qualche nome lo trovi anche, ma sono singoli exploit. il punto è che di AIPA italiane migliori di una Duet bevuta seduto ad un bancone a Roma non dico ne trovi a mazzi, ma quasi. bevuta ad Alpine no

          • Non che non sia d’accordo, ma quali sono queste IPA migliori? Giusto per capire se intendiamo le stesse cose
            Non credo che la “freschezza” della birra abbia valore pieno se non supportato dalla bontà del prodotto di base ovviamente.
            Adesso la situazione è migliorata, ma fino a poco tempo fa le ipa d’oltreoceano “scariche” erano comunque migliori dei prodotti nostrani.

            Sul concetto specifico delle personalità dei birrai italiani continuo a non essere d’accordo. È qualcosa che vale per l’italia così come per l’estero.

          • Io la penso come Colonna….ci sono realtà come Extraomnes, Toccalmatto, Montegioco,Opperbacco et similia che creano prodotti che non hanno nulla da invidiare agli “originali”…..che cosa hanno da invidiare una wallonie o una tripel di extraomnes ai migliori rispettivi del belgio? o una zona cesarini o una bitter di toccalmatto rispetto alle sorellone inglesi e americane?

          • @Indastria

            lascia perdere Alex che fa viaggiare i fusti in limousine e poi ti vende il bicchiere a due spicci al 4:20 per mecenatismo, pensa a un canale di distribuzione normale, ai suoi tempi di smercio, ai suoi metodi di conservazione. io ho assaggiato AIPA americane in Italia TERRIFICANTI. spesso spente. raramente in forma. MAI all’apogeo. se Papazian, che saprà il fatto suo, ribadisce (leggiti l’intervista che gli feci) che una AIPA deve essere bevuta FRESCA, un motivo ci sarà. il 70% della bontà di una AIPA/APA sta nella sua freschezza (luppolata): una Pliny di 3 mesi comincia a fare cacare, non lo dico io, è scritto sull’etichetta

            nel mondo AIPA/IPA, Spaceman, Machete, Ducato IPA, Morning Glory, Foglie d’Erba (non ricordo i nomi), Zona Cesarini, qualcosa del Lambrate, sono meglio di qualsiasi prodotto USA non fresco. poi son sicuro ce ne sono altri, dico quelle che trovo e mi vengono in mente. fare una buona APA, credimi, è una cosa davvero semplice. farla eccezionale no. ma una buona APA è meglio di una APA eccezionale ma spenta

          • “nel mondo AIPA/IPA, Spaceman, Machete, Ducato IPA, Morning Glory, Foglie d’Erba (non ricordo i nomi), Zona Cesarini, qualcosa del Lambrate, sono meglio di qualsiasi prodotto USA non fresco.”

            cazzo, son d’accordo con SR.
            segnamocela. ^^

            purtroppo al di là delle sfumature d’opinione sul “local”, il discorso qualitativo secondo me pesa per meno del 50% sul mercato.
            E’ un “sad but true” da considerare.
            Soprattutto la stragrande maggioranza di chi scrive qui non schifa nessuno stile, pur avendo preferenze, suppongo.
            Il consumatore normale non è così.

            Sul discorso “creatività” ci sarebbe da capire quanto pesino le valutazioni da degustatore, perché molte birre possono essere esaltanti ma non molto “nuove”, ed altre sono massacrate per squilibri evidenti ma poi magari incontrano il gusto del consumatore (penso ad esempio a chi si beve delle birre ultradolci e poco amare, o chi come di recente si beve spremute di luppolo amarissime).
            In relazione a questo c’è anche da dire come la moda APA/IPA stia tenendo lontano tutta un’altra fetta di consumatori non-esperti.

        • @Colonna

          quoto. qua c’è anche la mania tutta italiana di mitizzare l’estero… ti bevi le birre che qualcuno ha selezionato all’estero per conto tuo scegliendo fra tutti poi vai a un festival italiano e fai il paragone… quanti poi sono stati a qualche festival estero a tastare con mano? gli USA hanno un livello qualitativo medio MOLTO elevato, ma quanti hanno provato gli outsider? fatti un giro a San Diego nei 5 o 6 locali top: perché i nomi che vedi girare sono sempre i soliti 7-8, nemmeno tutti local? eppure sono a SD e dintorni ci sono 40 birrifici… davvero qualcuno crede che che in USA non ci siano ciofeche? l’ultimo giro ho messo nel mirino Hangar B.C. per dire, bel sito, decinaia di dipendenti, sarano forti no? meno male che prima di andare in birrificio ho tastato un paio di bocce, diverse, in due luoghi differenti (beershop refrigerati): ammazza… ho desistito. ho preso anche tante altre bocce (sempre da beershop refrigerati) e ho lavandinato parecchio, ahimé. sarà il birrificio che è scarso o, per tornare a quanto dicevo ad Indastria, qualche ora di caldo in auto? beh, avevano problemi (e ripeto, usciva da un beershop refrigerato, conservate alla grande, han preso qualche ora di caldo)

          vogliam parlare del Belgio? tolto qualche mostro sacro c’è da mettersi le mani nei capelli a volte… e UK? ma qualcuno è mai stato al GBBF? girano di quelle uova marce… se sai scegliere, in Italia bevi alla stragrande, altro che palle…

          • purtroppo fa parte dell’italico carattere o celebrare eccessivamente a priori qualsiasi cosa fatta da noi oppure dire pesta e corna sempre a priori per forzata esterofilia….non siamo un popolo che brilla per obiettività

          • Il problema è che la gente si fa prendere facilmente per il culo. L’esperienza sul campo, in questo caso anche andare a parlare, conoscere direttamente i birrai e assaggiare la birra alle origini, è fondamentale…la pappa pronta purtroppo porta a questo.

            Io continuo a dire che c’è un picco, chiamamole eccellenze…L’Italia ne ha, lo ripeto, altri assolutamente no. E ripeto fino alla noia, i suddetti “risvegli” di nazioni tradizionalmente avanti, sono mossi soltanto da birre e birrai che i loro non mettono nulla, e riproucono fino alla noia la stessa IPA, APA o simile in cerca di un successo commerciale…Sotto la schiuma niente…

            Assolutamente non sono concorde nell’affermare che birre americane anche scariche siano meglio di IPA italiane…Per cortesia, ma che minchia ve bevete??? Shaun Hill (che non è un coglione qualsiasi) ha mandato indietro 5 bottiglie amricane consecutive all’Oliver Twist di Stoccolma (che non è un locale qualsiasi, ma è un’eccellenza), quando amdammo insieme al noiosissimo festival di Stoccolma nel 2007 (dio benedica Narke), da allora niente è cambiato…I tempi di trasporto sono quelli.
            basti pensare alla Pioneer di Mike Murphy distrutta da un petainer e presentata al pubblico due mesi dopo l’infustamento, chi era con me al Macche quando arraffammo due fusti di straforo appena prodotti sa la differenza (ed era fatta a Roma!), e come la sa chi era presente al Pizzaport takeover di Alex, con birre trasportate via aerea…Ergo, come affermazione nun se po’ sentì…ma tant’è…

          • La situazione delle birre italiane di qualche hanno fa non era certo quella di adesso. Il paragone sarà stato pure un’iperbole azzardata ma tant’è…

            Che poi stiamo parlando sempre di birre luppolate, dove la freschezza assume una impportanza vitale. Su altri stili la forbice si allarga (anche di molto) o stringe a seconda dei casi.

            Proprio situazioni come quelle create da alex dimostrano possibilità e differenze.
            E un birrificio corrispettivo per qualità e stili di pizza port (ultima bevuta, per me l’eccezionale order in the port al craft di londra) domando, in italia c’è?

            Se poi ci dobbiamo regolare su cosa si può vendere o proprorre al pubblico, allora son d’accordo su fare solo spine italiane come fanno quasi tutti ormai. Non c’è niente di male…

          • Indastria, le stesse birre portate a Roma qualche mese prima non erano nemmeno lontane parenti…da qui il discorso della freschezza del prodotto. Se poi mi fai l’esempio di una Imperial Stout ovviemente il discorso camvbia…Ma PizzaPort rappresenterebbe quella eccezione che anche SR sta cercando di fatte capì, probabilmente non hai birre su quei generi di pari livello in Italia, ma altrettanto abbiamo birre su altri generi o stili che primeggiano alla grande…E poi mi dici se nel continente europeo c’è qualcosa che regge al confronto da te fatto, sempre senza tirare fuori gente che brassa da De Proef o qualche americano sparso qua e là…

          • @Indastria

            io direi che dopo un lustro da cui se ne parla, si può anche iniziare magari a chiamare le cose col loro nome… finalmente… Pizza Port QUALE? ce ne sono CINQUE, ognuno col suo bell’impiantino e il suo birraio! ve ne siete accorti o devono passare altri cinque anni? parli di PP Carlsbad? beh, non mi risulta che sia famoso per le basse fermentazioni e gli stili belgi, visto che parli di ecletticità

            oppure stai parlando di Port Brewing / Lost Abbey, leggi Tomme Arthur? fuoriclasse, non c’è dubbio, ma non mi pare sia poi famoso per le sue basse fermentazioni… che son buone eh, ma non pigli l’aereo per andarle a bere, piuttosto pigli il treno e vai di Magut, Tipopils, ViaEmilia. e sul Belgio? è bravo eh… ma sei proprio sicuro che sia quel mostro di cui si dice? le sue Belgian Dark sono profonde e molto complesse, ma la mano è americana, la bevibilità di una Rochefort o (vabbè vinco facile) una WV te la scordi. quelle più leggere? se scavo nei miei ricordi trovo birre tecnicamente esemplari, buone, ma con una nota fenolica che esce un po’ troppo per i miei gusti

            sicuro che uno come Giovanni Campari sia tanto più indietro (essendo partito 15 anni dopo peraltro)? o che Nicola Perra sia tanto inferiore? o che Lambrate, che non eccelle sul Belgio, non superi molti americani sulla Germania e gli ibridi UK/USA?

            per non parlare di chi si specializza senza sentire il bisogno, anche commerciale, di fare qualsiasi cosa

            sempre che, per te, eclettismo non voglia solo dire fare 12,000 etichette e anche birre in botte. in quel caso, a me è capitata una Angel Share invecchiata totalmente a puttane per il lattico, lavandinata. e ho letto, leggendo solo in Italia, di altri che han beccato la stessa fregatura. e parliamo di uno che ha un parco di 800 barrique con cui blendare, non 2 come l’italiano medio. però poi dai, sono solo gli italiani che fanno merdate, queste le paghi 15 USD la mezza e va tutto bene. poi magari stappi l’Ultima Luna del Ducato e nel genere la trovi una birra dalla classe e dalla finezza gustativa devastante, però gli altri son sempre più bravi, posto che è Tomme è BRAVISSIMO. e che sicuramente avrebbe più considerazione di te degli italiani bravi, essendo appunto americano, non italiota

            poi, fra quelli che conosco, uno veramente impressionante è The Bruery. al netto di qualche esperimento inutile, fa un lavoro stupendo sulle botti, fa del Belgio veramente di grande livello, ma SOPRATTUTTO, ed è lì che sono rimasto scioccato, fa una American Lager (non fa AIPA per scelta ma deve concedersi al mercato) che mi ha lasciato basito per la bontà e la beverinità. è li che vedi il manico

          • Alla fine son pure d’accordo con SR e Colonna.
            Nessuno nega che tipo un loverbeer all’estero non ce l’hanno (e adesso viene pure emulato), ma appunto, son casi specifici.
            Da qui a dire che il movimento Italiano è superiore per le sue eccellenze ce ne passa IMO.

            P.S.
            intendevo proprio pizza port.

          • Indastria, sembra che mi stai prendendo per il culo… Pizza Port QUALE? ce ne sono 5 attualmente… NON SONO TUTTI LA STESSA COSA… ognuno fa le sue birre, anche se c’è un know how e un azionista comune… e nessuno, ahimé, brilla né per le sue birre di bassa fermentazione e i prodotti belgi… visto che mi parlavi di completezza… sempre che per te completezza non sia fare APA, IPA e IS… Pizza Port (tutti) sono esattamente l’opposto di quello che dici: dei manici assurdi specialisti in alcuni stili specifici, non certo in tutto lo scibile birrario

            io non ho letto nessuno dire che il movimento birrario è superiore o ha eccellenze superiori ad altri… a parte la pochezza di questa patetica gara… io ho letto che in Italia ci sono eccellenze assolute, peraltro molto originali e innovative, fuori dal coro, e mi pare un dato di fatto questo

          • ma che minchia c’entra il prezzo col discorso che stiamo facendo… non è così difficile distinguere argomenti diversi…

    • per tanti può essere un: vivere una vita pensando “e se ci avessi provato?” oppure dire ho provato e ho fallito… rimpianto contro rimorso..
      e comunque siamo ancora nella fase di provarci e in cui pochi “falliscono”.
      sarà interessante studiare il fenomeno alla sua terza generazione perchè ormai è di questo che si parla.
      oggi tutti i birrifici sono i figli dell’idea del Baladin, Birra del Borgo e tanti altri primi nelle loro regioni. cosa accadrà quando i loro figli falliranno e venderanno a gente che ci proverà entrando prendendo impianti di seconda/terza mano? io sono curioso di vedere quella generazione.
      di birrai che cercano di aprire sulle ceneri di qualcun altro. convinti di aver qualcosa in più di chi non ce l’ha fatta..

  3. Addirittura 60 birrifici fra il buono e l’eccellente? Io sinceramente facendo una rapida conta mentale fatico a superare i 30. Sarebbe molto interessante conoscere questa tua “lista dei buoni” 🙂

      • io concordo con andrea….ne abbiamo tranquillamente una sessantina di birrifici che lavorano bene, e ormai quasi nessuna regione non ne ha uno

  4. Ma direi che comunque escluso quel 15% di veramente eccellenti il resto si è ricavato un giro solo locale e così rimarrà con qualità discrete una birretta certo meglio di qualche bionda industriale che per ristoranti e “ignoranti” illuminati, spesso di provincia, va più che bene, anzi..e un po’ si ricollega al concetto di un post passato tuo sul legame tra HB entusiasti e appassionati che spesso non sono collimanti..Cheers

    • Che poi il concetto di “drink local” non sarebbe nemmeno male, io sarei felice di avere birre dei birrifici della provincia, se solo le vendessero a prezzi umani; invece sotto i 7€/lt ci vanno davvero pochini, perfino acquistando direttamente in birrificio, ed anche ben piu’ di un cartone alla volta.
      Vorrei bere birra durante il pasto, magari bottiglie da 0.66, ogni giorno senza stare a centellinarla perché ogni singolo sorso mi costa un euro.
      Capisco fare birre speciali e costose, ma mi vuoi vendere una pils, venendomi anche a dire che la birra va bevuta e non degustata, a 12€/lt?

    • perchè è impossibile fare stime ufficiali….sappiamo che siamo tanti ma per fare la statistiche servono dati certi….con beerfirm,microbirrifici e brewpub puoi farlo: ci sono le carte che ne provano l’esistenza. con chi si fa la birra allegramente con il bidoncino come fai?

  5. Sono tanti gli spunti che il tuo articolo offre Andrea, mi vorrei soffermare su uno che mi sta particolarmente a cuore che è quello della distribuzione e della vendita diretta.
    Sto sperimentando la possibilità di vendere attraverso mercatini, del circuito Slow Food o simili, con l’indubbio vantaggio di poter offrire al consumatore un prezzo competitivo e realizzare margini superiori a quelli che si realizzano tramite agente o distributore. Queste forme di vendita non sono ancora molto diffuse, il ricavato totale è basso, ma hanno a mio avviso enorme potenzialità, oltre ai vantaggi su descritti c’è anche un rapporto diretto fra consumatore e produttore, con tutti ivalori che associamo a questo.
    Altro punto è la possibilità di potersi consorziare per creare catene distributive e uscire adl circuito dei 4 o 5 grossi gruppi du distribuzione, anche questa operazione darebbe marginalità superiore e garantirebbe prezzi al consumatore più bassi.

    In definitiva c’è tanto bisogno di associazionismo per dar forza e strutturare questi argomenti.

  6. Solidità è l’aspetto per me più importante, anche se questo termine non rende forse l’idea. Ad ogni modo, il risultato di un mercato in eccessiva espansione determina un sovraccarico di attori che, necessariamente, il mercato stesso tenderà a escludere per eccesso di offerta. Ok la passione per bere, fare e far provare birra, ma quando c’è di mezzo “l’impresa” è bene considerare un sacco di aspetti preventivamente. Non è un discorso materialistico, in quanto abbiamo eccellenti esempi (italiani) che coniugano ambo le cose. Ma il discorso è che, soprattutto in questo periodo storico, indipendentemente dalla bontà dell’idea, non si può “lanciarsi all’arrembaggio”.

  7. siamo sempre lì, ci sono tantissimi produttori che fanno le cose in modo approssimativo e la birra italiana costa troppo.

  8. Purtroppo i costi elevati dei microbirrifici italiani sono ovviamente dovuti alle piccoli produzioni che fanno. è chiaro che a confronto con un birrificio industriale le spese si dimezzano perlomeno. A riguardo è sempre illuminante l’articolo di Andrea dove parla della visita a Stella Artois http://www.cronachedibirra.it/viaggi/7704/visita-a-stella-artois-o-di-come-le-multinazionali-concepiscono-la-birra/

    A partire dalla quantità di birra prodotta, fino ad arrivare agli ingredienti utilizzati e al processo di produzione, è tutto ammortizzato.
    Questi fanno una cotta che gli dura una vita, è acqua sporca senza scadenze.

    I nostri birrifici devono stare attenti al processo di produzione, basta sottovalutare la sanificazione dell’impianto e buttano centinaia di euro che non vedranno rientrare.
    Per non parlare delle birre “non in forma”: molti clienti vogliono l’assaggio, basta poco, un sentore non al meglio perchè il cliente devii su un’altra birra.

    Ma d’altra parte, noi publican, non ci sentiamo di rimandare fusti indietro(c’è anche questa possibilità, di farsi rimborsare) ogni qualvolta la birra non è in forma, cerchiamo di aiutare il birrificio anche in questo.

    Quello che voglio dire è che voler bere bene ha dei costi, avere una birra fresca è sempre in forma non è facile e non è economico, soprattutto per micromicrobirrifici alle prime armi.
    Inoltre, se Stella Artois usa il mais e ti da le 33 a 80 cent al supermercato, ci sta 🙂

    Purtroppo io credo che la birra artigianale rimarrà sempre ristretta in un settore di nicchia, sicuramente crescerà molto di più ma pensare a qualcosa di rivoluzionario è tosta, anche perchè ho paura che qualche birrificio crescendo a livello europeo o mondiale, per affrontare le elevate richieste, inizi a fare scelte a discapito della produzione meramente artigianale.
    Ed ecco lì che il vero intenditore e amante di artigianale andrà a preferire il nuovo piccolo birrificio che però ripresentera costi elevati.

    Comunque spero di sbagliarmi 🙂

    • Sono abbastanza d’accordo con le conclusioni.
      Il mercato ha un suo limite e quel limite risiede nell’elitarismo insito che qualsiasi passione comporta.
      Io non sono un ultra-snob del palato, anzi, probabilmente bevo cose che qui nemmeno vorrebbero vedere. Ma per i miei amici bevitori medi, sono un cagacazzo.
      Ed è tutto qui il discorso.

  9. Non ho capito se qualche commento sulla condanna dell’esterofilia e sulla qualità della produzione italiana fosse riferito al mio ragionamento…In caso vorrei precisare che non ho mai parlato di problemi sulla qualità del prodotto/competenze dei birrai e non ho mai detto di preferire le birre straniere.
    Il mio ragionamento voleva spiegare e sostenere i concetti espressi da Andrea nella parte “solidità” e “chiarezza” del post, tutto qua.

  10. L’articolo parla di 455 birrifici (corretti in 568 da microbirrifici.org) per un 2% del mercato che vale un giro di affari di 60 milioni di Euro. Facendo due conti, fa 105.000 euro a birrificio (media del pollo) con due/tre soci a birrificio e le tasse, accise etc da pagare… vedete voi se questo è il regno della birra artigianale e come si fa a mettere da parte per investire…

  11. per non parlare dei locali o dei distributori che si spacciano per artigianali…molta gente che si sta avvicinando all’artigianale, in quest’ultimo periodo è bombardata da articoli e da publican che spacciano ogni cosa per artigianale, la gente è confusa e a volte al banco sembra volerti insegnare a te publican, quello che spilli dicendo cose senza senso, oppure consiglia all amico che ne sa meno di lui, e li siamo costretti ad intervenire.
    Ci arrivano birre da provare, pastorizzate o distributori che propongono le “loro birre artigianali”… poi vedi locali con avvisi sulla loro selezione artigianale, assolutamente commerciale…
    Più che chiedersi che strada stiamo seguendo, sarebbe utile mettersi d’accordo sulla strada da seguire, essere un faro per chi è confuso e vuole sapere e approfondire, tutelare i clienti…
    Chissà se sarebbe utile distinguere i locali che partecipano al movimento birraio italiano, magari stilare una lista regione per regione, un adesivo per locali e beershop…
    Forse è una stupidaggine, ma quando vedi, come mi è appena successo, locali che mischiano artigianale e non, ti balza l’idea .
    Ciaoo

    • a rischio di sembrare monotono e ripetitivo…quando si parte da produttori che consapevolmente mischiano le carte e vanno a battere ancora sul “doppio malto” affibbiandolo in ogni scheda prodotto cosa si fa?
      si boicotta a tutti i livelli….

      • E’ il consumatore che chiede doppio malto.
        Quella cosa ha fatto breccia. Come fanno breccia mille altre cose fuorvianti.
        Ma tu non avrai mai la forza per contrapporti a chi riesce a far breccia.
        Vedrai che se viene la moda delle Radler, tutti i publican dovranno tenere una Radler…. e non ti chiederanno Radler, ma birra col limone.

        • ma quale breccia, andiamo su…stiamo parlando di un triste “costume” del medioevo birrario italiano…se tu produttore sei ancora cosi’ patetico da provare a cavalcarlo hai smascherato da solo la tua poca serietà…
          e qualcosa puoi farla eccome, lo boicotti…altrimenti non parliamo più di cultura e stop.

          • Totalmente d’accordo. Ma Drachen ha una visione tutta sua del mondo brassicolo. Per lui contano soltanto le mode del momento e il marketing. E neanche si scandalizza se la definizione “doppio malto” continua a imperversare. Cosa vuoi che sia?

          • Ma quale “costume da medioevo birraio”…..
            “Doppio Malto” è una CATEGORIA COMMERCIALE prevista dalla legislazione italiana tuttora in vigore.
            Non ci vedo nulla di sconvolgente a vederla utilizzata da birrifici o publican, in particolar modo se il termine è utilizzato in contesti e manifestazioni che si rivolgono al grande pubblico.
            Se si vuole diffondere il consumo di bira artigianale, si deve “parlare” ad un pubblico vasto, e utilizzare dei termini che il pubblico comprende.

          • Alex sappiamo tutti benissimo il significato della dicitura
            il tuo ragionamento nemmeno merita risposta, cavalcare l’ignoranza incentivandola è francamente incommentabile

          • Il problema non è la dicitura, né il mercato brassicolo, ma la lingua italiana.
            L’arte di travisare dev’essere un effetto collaterale del lievito?
            1) Il produttore non dovrebbe ovviamente cavalcare il malcostume della dicitura “doppio malto”. Mi pare ovvio.

            2) Il consumatore, ziosantissimabenedettatroia, non è consapevole.
            Ti chiederà doppio malto e tu (che sei bravo) gli spiegherai che è solo una definizione di legge, e cercherai di indirizzarlo su una birra, spiegandogli altri parametri di riferimento.
            Nel frattempo PERO’ l’industria (e non solo) continua a fuorviare.
            Cosa puoi farci? Attualmente poco.
            Non hai “armi” abbastanza potenti, e spesso le usi pure male. E’ una constatazione che non mi rallegra, ma prendo atto di un fatto, così com’è.
            La separazione industriale e artigianale è netta per certi aspetti, ma diventa labile dal punto di vista comunicativo perché l’industria (e la GDO?) ha tutto l’interesse a mischiare le carte.
            E voi dovete sempre partire dal presupposto che il consumatore medio NON NE SA NULLA.

            3) La mia “visione del mondo brassicolo” è diversa dalla mia “visione del mercato brassicolo”. Perché se parlo della seconda, mi viene rinfacciata la prima?
            Cioè capisco l’atteggiamento medio: arriva Tizio, ha certe idee, ci metto una bella etichetta al collo così mi risulta gestibile secondo i miei preconcetti da espertone.
            Ovviamente poi l’etichetta è scazzata come Doppio Malto su una Mild.
            Neanche tra i Notai c’è un tale baronato…. ^^

            Sottovalutare aspetti determinanti per il successo di una realtà brassicola per me è e resta deleterio per la scena: bisogna saper vendere.
            Per me non è tanto scandaloso augurarsi di vedere bravi mastri birrai che sanno vendere invece di lasciare tutto il mercato in mano all’industria. E per saper vendere, bisogna saper comunicare ai babbei.

          • ieri stavo in un bar da battaglia che vende artigianale e osservavo personaggi improbabili avvicinarsi al banco e chiedere non una doppiomalto, e manco una Pils, ma chiamando la birra per nome

            ci sono fior di birrai in Italia, tipicamente i più apprezzati, dai quali non ho mai sentito una sola volta pronunciare la parola doppiomalto, eppure c’è sempre la fila ai festival

            certo, uno poi deve amare anche il proprio lavoro e non solo il cassetto ed aver voglia di spiccicare 3 parole agli inevitabili buzzurri che ti ritrovi alla sagra della porchetta di terdobbiate

            cercare di insegnare un nuovo linguaggio per un prodotto nuovo è fare il proprio lavoro, magari esprimendosi a gesti qualche volta. usare un linguaggio vecchio per proporre un prodotto nuovo è un tirare a campare scavandosi la fossa in prospettiva futura, oltre che triste

  12. ah, poi a san lorenzo ce un paninaro/beershop gestito da un ragazzo del bangladesh che vende “artigianale”, assurdo!Come saprete loro non bevono alcolici…
    Ci sono distributori che vendono a chiunque… qui a Roma per fortuna c’è chi seleziona i locali, a volte anche con eccessiva attenzione, ma quando succedono queste cose ti rendi conto dell’utilità del lavoro e dell’ideale portato avanti.

    Poi, un esempio emblematico di depistamento è la poretti 4 luppoli… ne vogliamo parlare!? 🙂

    • Scusa che c’entra la nazionalità di una persona con la sua religione o col suo essere più o meno “praticante”?

      Oggi il mio capo in ufficio mi ha detto che ieri ha bevuto una birra buonissima, ai 4 luppoli… 🙂

      • sì, mi sono spiegato male, scusate, non c’entra assolutamente niente!

        Volevo sottolineare il fatto che essendo mussulmano e non potendo bere alcolici, vende birra e non l ha mai provata, di conseguenza non sa niente del prodotto che vende, di cosa sia una birra ecc. cosa che secondo me va fuori dall’etica del publican…

        • Intendo questo:
          1) Sei sicuro che sia musulmano? Il fatto che venga dal Bangladesh non significa che lo sia
          2) Anche se lo fosse, non per questo è detto che sia “praticante”. Tu vai a messa tutte le domeniche?

    • Che esagerazione! Ho bevuto buone cose a Barcellona (Guineu, Fort, Dougall’s, Naparbier…) ma da qui a considerarla la nuova frontiera ce ne passa

      • A Barcellona èpieno zeppo di birrifici che fino a pochi anni fa non esistevano neanche! E ho bevuto birre più fresche e anche migliori delle nostre!

        • Madonna sempre a sminuire i risultati e i prodotti italiani! Una volta che andiamo bene, che si fa un buon lavoro supportatela st’Italia!
          All’estero sempre votoni ed elogi, qui invece, non siamo mai all’altezza…

          Ma già chi esordisce con dei confronti del tipo: all’estero sono meglio dell’Italia o vicecersa, sbaglia proprio approccio.
          Non è una gara, nessuno fa meglio degli altri, soprattutto se i giudici di queste dispute sono i palati diversi da persona a persona; qui si parla di prodotti all’altezza o meno, di creatività, di bravura dei nostri mastribirrai…

          E credo proprio che nessuno possa negare che in Italia non si stiano producendo ottime birre.

          POi che vuol dire birra più fresca scusa? 🙂 ogni birrificio appena infusta la manda ai locali, a volte possono capitare cotte più vecchie, ma non si tratta di meriti..

        • Strano però che al Ale&Hop quando sono arrivato i ragazzi erano appena tornati da Alessandria con un carico di Montegioco, Pasturana ed altre birre italiane.

          Birrifici a Barcellona? Del posto conosco solo Fort. Mi sono perso qualcosa o intendevi locali invece di birrifici? Sotto quel punto di vista sono d’accordo con te, anche se abitando a Roma non sono rimasto poi così troppo stupito dai 5 locali degni di nota che hanno 🙂

          • Intendevo birrifici della catalogna. Tra l’altro hanno prezzi democratici, lì una 33cl costa 3 euro, mica 5!

  13. Oggi le denominazioni di vendita, le caratteristiche analitiche e la stessa definizione legale di birra in Italia vanno ripensate. Non è un lavoro semplice ma va portato avanti con trasparenza.

  14. Ma quale ignoranza.
    Doppio malto è un termine legale/commerciale, con un significato tecnico, che viene compreso da decine di migliaia di consumatori.
    Qualifica UNA delle caratteristiche della birra, il che non significa che sia sufficiente a descrivere una birra (come non sarebbe sufficiente usare solo il colore, o solo l’aroma, o solo il gusto, etc)
    Semmai l’errore è utilizzare SOLO la parola “doppio malto” pensando di dire tutto su una birra.
    Non sono un grande fan della dicitura “doppio malto”, ma non mi scandalizzo se qualcuno (birrificio o publican) la utilizza, a patto che vengano usati anche altri descrittori/caratteristiche.

    Mi spingo un pò oltre.
    Se un cosa del genere fosse capitata in ultro paese, chessò USA, avrebbero colto l’oppurtinità per fare marketing, presentandolo magari come denominazione “tradizionale” o “storica”, e adesso noi staremmo bevendo allegramente delle “double malt” sentendoci molto fighi.

    • Alex utilizzare una classificazione fiscale per spiegare una birra è SEMPRE un errore, non va fatto, non è un descrittore, punto.
      E’ peggio di “na chiara” che quantomeno un riferimento visivo (certo superficiale) lo può avere.
      Nessuna decina di migliaia di consumatori comprende quest’etichetta, non sa cosa significa(mosto e Plato??ma andiamo và) la scimmiotta soltanto a papagallo grazie a marketing industriale becero, “publican” ignoranti e anche grazie a produttori che di onestà intellettuale ne hanno poca.
      Si fa tanto per spiegare che il punto di partenza deve essere altro e poi i produttori la sbandierano come STILE…

    • “Se un cosa del genere fosse capitata in ultro paese, chessò USA, avrebbero colto l’oppurtinità per fare marketing, presentandolo magari come denominazione “tradizionale” o “storica”, e adesso noi staremmo bevendo allegramente delle “double malt” sentendoci molto fighi”.
      Questa frase è stata partorita da una mente perversa!!!

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