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Intervista a Mike Murphy

Mike MurphyCon questo post debuttano le interviste di Cronache di Birra. L’idea è di proporle con frequenza costante e di intervistare personalità importanti per il movimento birrario nazionale e internazionale. Ringrazio caldamente l’amico Mike Murphy che, offrendosi di rispondere ai miei quesiti, ha di fatto inaugurato questa rubrica.

All’inizio degli anni 2000 la giovane scena romana della birra artigianale fu sconvolta dalle birre di un americano trasferitosi da poco in Italia: Mike Murphy. In poco tempo Mike divenne famoso in tutto l’ambiente nazionale grazie alle sue produzioni innovative, che traevano origine direttamente dalla tradizione birraria del suo paese. Lo Starbess, il locale per il quale realizzava le sue birre, divenne il primo brewpub “urbano” della capitale, nonché meta di pellegrinaggi di tanti appassionati provenienti da ogni dove. Molti tuttora ricordano vividamente la sua splendida Pioneer, mentre ancora oggi qualcuno conserva in cantina una o due bottiglie del suo barley wine, il Maelstorm (assolutamente fantastico). Ora Mike lavora in Danimarca presso il birrificio GourmetBryggeriet, un’azienda di dimensioni rilevanti, persino quotata in borsa. Tuttavia ogni tanto torna a farci visita in Italia, dove – come vedremo – ha lasciato un pezzo di cuore…

Com’è possibile che un americano di Philadelphia si ritrovi, ad un certo punto della sua vita, a produrre birra a Roma?

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Nove americani su dieci ti diranno che originariamente sono andati a vivere all’estero per amore… Beh per me è stato un po’ per questo e un po’ per la curiosità di vivere in un altro paese. Arrivai a Roma nel 1999 come studente di architettura e mi innamorai subito della città. Incontrai una donna che gestiva un pub e, poiché ero un homebrewer e mi mancava la birra degli USA, spontaneamente decisi di creare un piccolo birrificio per sostenere il locale (alla massima capacità). In questo modo scoprii il nascente mondo della birra artigianale italiana, che da allora si è lentamente evoluto… Sarei ancora entusiasta di tornare a Roma e riprendere a birrificare lì… La sento come una parte di me.

Cosa ti è rimasto della tua permanenza in Italia? Si è rivelata preziosa a livello professionale?

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Ho sviluppato maggiore passione e voglia di produrre birre più intriganti, tuttavia ero appena all’inizio: solo entrando in contatto con i prodotti del resto d’Europa ho imparato rapidamente come far emergere nelle mie birre quelle caratteristiche che più mi piacciono, sebbene sappiamo che continuo a produrre stili tipicamente americani. Dal punto di vista professionale, devo dire che in Italia ho avuto modo di crescere molto: mi sono confrontato con molti birrai blasonati e professionisti del settore, ho acquistato la nomea di un americano che birrifica a Roma. Che tu ci creda o no ho incontrato tanta gente che aveva sentito parlare di me e del mio piccolo birrificio. Questo dimostra quanto è piccolo il mondo della birra artigianale…

Qual’è la cosa che apprezzi maggiormente e quella che meno ti piace della scena birraria italiana?

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Senza dubbio l’aspetto migliore è la gente che fa parte del movimento: gli italiani mostrano un calore che non si trova in molti altri paesi. Questo fa il paio con la loro voglia di provare cose nuove, il che rende l’esperienza di birraio qualcosa di speciale e unico. Cosa non mi piace… beh alcuni anni fa ti avrei detto che il 70% dei microbirrifici stavano producendo pessima birra, ma ora le cose sono cambiate e immagino che questo problema sia superato. Così credo proprio che il peggior aspetto della scena birraria italiana sia Kuaska come giudice al World Beer Cup ;-).

Dopo la tua esperienza romana ti sei trasferito in Danimarca, dove tuttora lavori presso la GourmetBryggeriet. Si tratta di una realtà molto grande. Quali sono le differenze tra un piccolo brewpub e un’azienda come la GB?

La differenza maggiore, al di là delle dimensioni, è nella filosofia della produzione di birra: io sono l’unico qui nella GourmetBryggeriet con un background da birraio artigianale. Ho la fortuna di ideare le ricette, quindi posso dare un tocco di “artigianale” alle birre. Qui sembra che il denaro sia l’unico criterio dominante, ma faccio del mio meglio affinché possa identificarmi con i prodotti che realizzo… forse proprio per questo motivo non sono mai stato troppo attivo all’interno della scena danese. Inutile dire che i danesi non sono simpatici quanto gli italiani!

Ovviamente conosci molto bene i movimenti birrari di Italia, Danimarca e USA. Secondo te quali sono le peculiarità di ognuno e le differenze principali?

Ho potuto vedere i tre movimenti durante il loro massimo sviluppo, e sono molto simili nella natura. E’ risaputo che le birre provenienti dagli USA sono molto evolute ed è sempre interessante vedere cosa verrà dopo. Anche l’Italia si sta evolvendo e sembra che stia cercando di arrivare a uno stile proprio e unico, centrato sull’alta qualità del prodotto. In Danimarca, che attualmente è un po’ indietro rispetto all’Italia, si cercano di copiare gli stili degli altri paesi, ma la cosa buona è che amano il luppolo, la birra è profondamente legata alla loro cultura, tanto che non è raro trovare gente che voglia provare qualcosa di diverso dalla solita lager.

Il tuo motto è “Voglio fare io la birra. Come piace me”. Dunque la domanda è: che tipo di birra ti piace?

Mi piace ciò che mi piace al momento. In genere si tratta di American pale ale con tonnellate di luppolo aromatico, a volte di stout. Oggi mi piacerebbe produrre una pilsner molto luppolata, magari attraverso dry-hopping, e con un inusuale retrogusto molto amaro.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Resterai un “EXPAT brewer” o tornerai prima o poi negli USA?

E chi lo sa, io no di certo. Non penso che tornerò negli USA per fare il birraio lì, ma non posso dirlo con certezza. Mi piacerebbe tornare in Italia, lavorare con gli amici più stretti e vedere quanto può crescere la birra artigianale in Italia. Sono sicuro che finora è stata grattata solo la superficie e ci sono ancora enormi margini di crescita nell’immediato futuro.

In ultima istanza ricordo che Mike cura un blog personale, in cui racconta la sua attività di “birraio espatriato”. Vi consiglio caldamente di leggerlo.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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