Se seguite regolarmente i canali social di Cronache di Birra, saprete che negli scorsi giorni ho partecipato a un viaggio stampa in Slovenia, organizzato da Best Press Story e incentrato sulla birra artigianale locale. Il movimento craft sloveno è un fenomeno che sta emergendo in tempi recenti: i produttori sono in tutto una cinquantina, dislocati su un territorio poco più grande del Veneto e operanti in un mercato dominato dai marchi Lasko e Union, entrambi sotto il controllo di Heineken. Proprio per questa ragione, a fronte di un consumo pro capite di birra non indifferente – secondo i dati del 2012 sono 80,1 litri a testa, che pongono la Slovenia non distante dalla top 10 mondiale – i microbirrifici sono costretti a differenziarsi con prodotti molto diversi dalle Lager industriali, cercando nel frattempo di educare i consumatori a non considerare la birra in maniera “scontata”. Ma su questi aspetti tornerò più avanti, intanto cominciamo con la cronaca del viaggio…
La nostra prima tappa non è stata un birrificio, bensì la fabbrica Skrlj (sito web) che realizza macchinari produttivi per diversi mercati: enologico, brassicolo, farmaucetico e alimentare. A parte l’interesse nel visitare uno stabilimento del genere, è stato illuminante scoprire che il fatturato proveniente dal settore birrario è cresciuto esponenzialmente negli ultimissimi anni. L’ascesa è stata tale da spingere Skrlj a proporre, accanto agli storici fermentatori, alcuni modelli di sale cottura che poi abbiamo visto all’opera in un paio dei birrifici visitati successivamente.
Il primo vero impatto con la realtà brassicola slovena è arrivata con il birrificio Carniola (sito web), che porta l’antico nome latino della regione in cui ha sede, Kranjska. Sorge nel bel mezzo del nulla, ma questo non impedisce a tanti avventori di frequentare la tap room, molto intima e familiare. L’impianto è davvero piccolo e occupa solo una parte dello spazio a disposizione: parliamo di appena 400 ettolitri annui, nonostante il birrificio abbia aperto nel 2013 – all’epoca gli altri produttori artigianali sloveni si contavano sulle dita di una mano. Il dettaglio curioso è che Rok Rutar, il birraio, partì anni prima come homebrewer e poi cominciò a vendere la sua birra dopo la conversione del suo garage in birrificio. Sì, avete letto bene: il suo garage. Qualcosa di assolutamente impensabile in Italia.
Carniola produce 8 birre, di cui 4 fisse e 4 stagionali. Sono tutte ispirate a stili di stampo americano, denotando un orientamento che poi – in maniera prevedibile, ma fino a un certo punto – avremmo riscontrato in tutti gli altri birrifici. Da Carniola abbiamo bevuto ESB (ispirata originariamente all’omonimo stile inglese e poi diventata un’APA), Hop Head (IPA abbastanza classica, con luppoli sloveni in amaro e Hull Melon in aroma), Red District (AIPA single hop di Simcoe) e Stout (brassata con fave di cacao macinate e aggiunte in ammostamento). Il livello generale è interessante, ma ben lontano dalla perfezione. Il primo contatto con la scena brassicola slovena si è dunque accompagnata all’idea di un fenomeno giovane e ancora pionieristico, simile a quello italiano di tanti anni fa.
Dopo un pranzo presso l’ottimo ristorante Vila Podvin, l’idea è stata confermata con la visita a Hopsbrew (pagina Facebook), birrificio aperto in Slovenia circa un anno fa da una coppia di ragazzi russi. La curiosità è che possedevano un birrificio in Russia già dal 2014, con il medesimo nome; poi la scelta di trasferirsi nel piccolo paese della ex Jugoslavia e proseguire lì il loro percorso. Anche in questo caso l’impianto è piuttosto ridotto (600 hl annui), ma questo non impedisce all’azienda di produrre ben 18 birre, di cui 8 fisse. Il nome conferma ciò che ho spiegato prima, perché tutte le creazioni sono ispirate agli stili più modaioli, quelli tipici della cultura brassicola americana.
La Pale Ale, ad esempio, è una APA con Citra, Centennial e Amarillo, profumatissima e abbastanza pulita al gusto. La Ipa è brassata con 5 tipologie di luppolo (soprattutto americani), mentre la Porter prevede varietà slovene, tedesche e statunitensi. Abbiamo provato anche la 1st Anniversary, realizzata lo scorso dicembre per il primo compleanno del birrificio: una Black Ipa molto buona e bilanciata, con i malti scuri tenuti perfettamente in controllo. In un movimento così indirizzato verso la new wave birraria internazionale non mancano le collaboration brew: la Lactose Tolerant è stata prodotta insieme a Mali Grad con l’aggiunta di lattosio e bacche di vaniglia. Hopsbrew mi ha destato una buona impressione: pur non raggiungendo vette incredibili, le birre sono ampiamente corrette e fanno dell’equilibrio la loro cifra stilistica, pur non rinunciando a mostrare un certo carattere.
Il terzo incontro è stato con una beer firm: Maister Brewery (sito web), chiamata così dalla figura del Generale Rudolf Maister. Partita un paio di anni fa, è oggi probabilmente la più importante contract brewery tra le 10-15 operanti in Slovenia, tanto che produce la bellezza di 1.000 hl annui. In mancanza di un impianto di proprietà, la gamma dell’azienda è necessariamente ridotta a poche etichette: la Vega Pale è un APA con solo luppolo Mosaic, la Noordung una Porter brassata con vaniglia, cacao, buccia d’arancia e Amarillo, la General Maister una Ipa con 4 luppoli, tutti americani. C’è da menzionare anche la Rusjan, una variazione della General Maister nella luppolatura, nata in un momento di difficoltà nel reperimento di determinate varietà, che è stata chiamata in modo diverso per non confondere i clienti.
Maister Brewery punta ad aprire il suo birrificio nel giro di pochi mesi, ma intanto ha iniziato a farsi conoscere anche attraverso alcune scelte di marketing innovative, almeno per quanto riguarda lo “statico” mercato sloveno: pensiamo alle bottiglie, proposte nel solo formato da 33 cl e in alcuni casi dalle forme relativamente ricercate, oppure all’idea di stampare tre etichette diverse per la Porter, senza alcuna variazione di contenuto tra l’una e l’altra. Le birre soffrono un po’ i limiti intrinseci delle beer firm, ma la visione dell’azienda mi sembra chiara, anche nei modelli di riferimento – è stato citato un certo Mikkeller. Ultima curiosità: è l’unico birrificio mai incontrato che usa come logo non il cono del luppolo, ma la foglia della pianta.
Si conclude qui la prima parte del mio resoconto sul viaggio in Slovenia. Nei prossimi giorni completerò il racconto e scopriremo se gli elementi caratteristici incontrati con i primi tre produttori sono stati confermati anche dalle successive visite.