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Il declino della American Homebrewers Association: cosa sta accadendo all’homebrewing negli USA

La American Homebrewers Association, nota anche con la sigla AHA, è l’associazione di homebrewer più grande del mondo. Nacque nel lontano 1978 (io avevo un anno!) dall’idea di Charlie Papazian, uno dei miti della scena homebrewing americana. In realtà fu fondata anche da Charlie Matzen, ma Papazian è senza dubbio il personaggio più conosciuto tra i due, anche perché è autore del famosissimo libro “The Complete Joy Of Homebrewing” e del motto diventato ormai patrimonio universale della comunità degli homebrewer nel mondo: “Relax, don’t worry, have an homebrew!”. Matzen incontrò Papazian in una delle lezioni che quest’ultimo teneva raccontando le gioie delle produzioni casalinghe. Entrambi erano insegnanti a scuola, scattò la scintilla e tutto ebbe inizio.

Pochi anni dopo, nel 1981, Papazian lasciò il suo lavoro come insegnante e si dedicò a tempo pieno alla nuova organizzazione, che nel frattempo stava prendendo forma. Partiti con una semplice newsletter dove raccontavano storie e aneddoti divertenti sulla produzione casalinga di birra, Matzen e Papazian stavano pian piano piantando i pilastri della AHA e della sua storica rivista, Zymurgy magazine. La AHA è attualmente una divisione della Brewers Association, l’associazione americana nata nel 2005 che riunisce circa 5.400 birrifici. La Brewers Association è nata molto dopo la AHA, dall’unione di altre due associazioni che si occupavano di birrifici, una delle quali a suo tempo era presieduta dallo stesso Charlie Papazian, che oggi ha ben 75 anni.

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Papazian, come presidente della AHA, fu anche il fondatore del Great American Beer Festival (GABF), inizialmente dedicato sia a birre fatte in casa che a birre prodotte in birrificio e oggi incentrato solo sulle seconde. La competizione nazionale per gli homebrewer è gestita invece direttamente dalla AHA e si chiama National Homberew Competition (NBC).

La AHA è stata la prima associazione di homebrewer di cui ho fatto parte. Quando iniziai a fare birra in casa e a prendere consapevolezza della comunità di homebrewer, in Italia la scena era ancora legata al gruppo di Areabirra ma soprattutto ai forum online. Non ero particolarmente affascinato da questa modalità di interazione, cercavo qualcosa di più “impostato”. Mi guardai attorno, ovviamente tramite il web, e mi imbattei nella AHA di cui rimasi subito innamorato. A differenza di altre associazioni, si presentava con un look molto professionale e una rivista, Zymurgy, dai contenuti particolarmente evoluti, spesso tecnici, ben presentati e interessanti. C’era poi questo meeting annuale, la Homebrew Con (“Con” sta per Convention), un evento di aggregazione unico che non avevo mai visto né in Italia, né in altri paesi Europei.

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Il primo di questi eventi, che riuniva homebrewer da tutta l’America, si tenne nel 1980 con il nome di National Hombrew Conference. La Homebrew Con è per anni stata il fiore all’occhiello della AHA, un evento dalla durata di diversi giorni con seminari su tantissimi argomenti legati alla produzione casalinga di birra, tenuti sia da homebrewer che da professionisti, ma anche stand di fornitori e produttori, assaggi di birre fatte in casa, divertimento e possibilità di scambiarsi idee sull’homebrewing tra appassionati. Invidioso di questa grande associazione e del grande evento che è la Homebrew Con, di cui possono godere gli homebrewer americani, non mi sono reso conto che le cose non stavano andando benissimo negli ultimi anni. La AHA è arrivata a contare più di 46.000 tesserati nel 2017, per ridursi a “solo” 30.000 negli ultimi tempi.

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Il malcontento, che ho scoperto montava da diversi anni tra gli iscritti all’associazione, è esploso durante l’ultima HomebrewCon a San Diego, nel giugno del 2023. Durante la convention fu annunciato che dal 2024 l’evento sarebbe stato integrato nel Great American Beer Festival, manifestazione dedicata ai birrifici e non agli homebrewer. L’annuncio arrivò all’improvviso, lasciando i partecipanti a bocca aperta. Successivamente, fu specificato che non si sarebbe trattato di un vero e proprio evento nell’evento, ma di una sorta di stand per gli homebrewer all’interno del GABF. La delusione è stata forte, i tesseramenti sono crollati.

Cosa stia davvero succedendo è difficile da dire. Ho trovato molto interessanti questa puntata di Brulosophy, dove Marshall Schott – che apprezzo molto per la schiettezza e la sincerità, anche se a volte può risultare un po’ pieno di sé – ha cercato di raccontare il suo punto di vista sulle criticità che stanno portando al tracollo di questa gloriosa associazione. Alla prima puntata ne è seguita un’altra, dove Marshall ha letto e commentato alcune email che gli sono arrivate dagli ascoltatori del podcast sul tema. Lo scontento è grande, la AHA sembra essersi incamminata su una via impervia senza possibilità di ritorno.

Questa intervista, rilasciata da Julia Herz, attuale direttore esecutivo dell’associazione, non ha stemperato gli animi. Purtroppo, nel rispondere alle domande, Julia Herz si è tenuta molto sul vago senza commentare la crisi che sta smuovendo nel cuore la AHA. Risposte molto istituzionali, ma dalla tonalità della voce – e dai frequenti colpi di tosse – si può intuire un certo disagio nel rispondere alle domande.

Le origini del declino

Che l’homebrewing non sia di particolare interesse per le nuove generazioni è piuttosto evidente, anche qui in Italia. Ho provato ad approfondire l’argomento in un articolo di qualche tempo fa (link). È alquanto evidente che per le nuove generazioni questo hobby, ma anche l’alcol e la birra in generale, abbiano decisamente meno attrattiva rispetto a quanto ne hanno avuto per la mia generazione. Basta guardarsi attorno nelle – poche – occasioni in cui ci si riesce a ritrovare tra homebrewer: l’età media è piuttosto alta, spesso ci scherziamo su evidenziando come siamo sempre gli stessi vecchi bacucchi che si raccontano le stesse robe da nerd.

Anche in America, dopo lo slancio del Covid, che ha obbligato le gente a chiudersi in casa generando un picco momentaneo di interesse per tutto quello che si poteva fare in casa da soli – tra cui la birra – il declino è stato costante. Ma non è solo questo. Le associazioni, in quanto tali, dovrebbero dare in cambio qualcosa rispetto alla quota che chiedono agli associati. Questo “ritorno” si può manifestare in diversi modi: sconti, concorsi, articoli di approfondimento, seminari, conferenze. Se iniziano a venire meno gli elementi di interesse, i punti di valore, è chiaro che le persone, per quanto la quota di iscrizione possa essere bassa, iniziano a chiedersi che senso abbia continuare a pagarla. E quindi finisce che anche chi è ancora interessato all’hobby smette di pagare, e gli associati si riducono. Non solo a causa di una riduzione generale dell’interesse per l’homebrewing, ma per una mancanza di attrattiva da parte dell’associazione stessa. Stando a quanto raccontato nel podcast di Brulosophy da Marshall, ma anche da diversi ascoltatori, il valore aggiunto dell’essere associati alla AHA si è ridotto notevolmente negli ultimi anni.

Da lettore della rivista Zymurgy, sempre e comunque una spanna superiore a qualsiasi altra rivista dedicata agli homebrewer in Italia (che tra l’altro non esiste), ho notato una significativa difficoltà a trovare spunti interessanti negli ultimi numeri. Da un lato è sicuramente vero che nel frattempo ho acquisito molta esperienza e conoscenza e quindi fatico a trovare argomenti con un livello di approfondimento che possa stimolare la mia curiosità, ma è anche vero che i temi trattati sulla rivista spesso esulano ormai dalla produzione casalinga di birra per spaziare in ambiti che non mi interessano particolarmente come i fermentati in cucina, o temi piuttosto generici di scarso interesse. Mi sembra che anche le pagine dedicate alla pubblicità siano aumentate con gli anni, il che è comprensibile, ma rende ancor più faticosa la lettura.

Il problema più grosso sembra però essere la Homebrew Con, la convention ideata da Charlie Papazian che la AHA organizza ogni anno in una città diversa degli Stati Uniti. Negli anni non ha saputo rinnovarsi, anzi: a detta di molti, è andata decisamente peggiorando fino alla quasi debacle dell’ultima edizione di San Diego dello scorso anno, ritenuta da molti assai noiosa e poco stimolante. Anche in questo caso è stato evidente il moltiplicarsi dei seminari tenuti dagli sponsor a discapito di quelli organizzati dagli homebrewer, che invece dovrebbero essere il vero fulcro di questa manifestazione. Da quello che ho capito, si sono ridotte – se non proprio annullate – le occasioni per la socializzazione e per l’assaggio di birre fatta in casa da altri homebrewer. Anche questo è un aspetto fondamentale di un incontro del genere.

Qualcosa di simile l’ho vissuto in prima persona nella BrewCon di Londra, organizzata non da una associazione ma da un singolo: Simon Pipola. Evento che si tiene ogni anno a Londra con seminari, stand di produttori di attrezzatura e ingredienti, incontri tra homebrewer. Ci andai per la prima volta l’anno prima del Covid, nel 2019: fu un evento bellissimo. Organizzato nello spazio molto grande del birrificio Beavertown (all’epoca già acquistato in parte da Heineken), aveva in calendario moltissimi interventi con tanti homebrewer che raccontavano le loro esperienze. Lo spazio per gli stand era ampio e l’esposizione molto interessante. Poi c’era la club night, il fulcro dell’evento, una serata in cui gli homebrewer portavano le proprie birre – spesso con veri e propri piccoli impianti di spillatura – e si assaggiava di tutto, scambiandosi pareri, opinioni, chiacchiere. La ricordo come una serata bellissima. Sono tornato alla BrewCon di Londra lo scorso marzo, trovando più o meno tutti gli elementi di cui gli homebrewer americani si lamentano della convention americana: molti meno stand, meno seminari (di cui la maggior parte tenuti da sponsor o birrai professionisti), meno partecipazione e praticamente zero scambio di birre. Ho il forte presentimento che quest’anno la BrewCon non verrà organizzata a Londra, similmente a quanto accaduto per la convention americana. Potrei sbagliarmi. Lo spero, perché la prima volta in cui ci sono stato l’ho trovato un evento bellissimo e stimolante.

Intendiamoci: è chiaro che organizzare un evento del genere è complicatissimo, tant’è che iniziative del genere sono molto rare. Ce ne sono in America, a Londra, uno in Germania (molto bello, organizzato in un castello), forse ne organizzavano uno nei paesi scandinavi ma non ne ho più sentito parlare. Servono soldi, sponsor, volontari, ma soprattutto permessi legali perché c’è di mezzo l’alcol e l’assaggio di produzioni casalinghe. La logistica è complicata, soprattutto se si organizzano seminari e incontri. Non dico che sia facile, non lo è affatto. Anche perché il pubblico target è sempre relativamente piccolo, trattandosi di una nicchia piuttosto ristretta.

Il futuro della AHA e delle associazioni per homebrewer

Julia Herz, nel suo discorso, è stata piuttosto criptica. Ha risposto in maniera elusiva alle domande dell’intervistatore sul futuro della AHA e della convention. Quello che sembra aver dato più fastidio agli homebrewer americani – ha dato fastidio anche a me, ascoltando l’intervista – è stato l’atteggiamento di Julia Herz che per tutta l’intevista ha ignorato il cosiddetto “elefante nella stanza”. Non una parola sui seri problemi che affliggono l’associazione, solo vaghi riferimenti al futuro.

Il risultato è che quest’anno la Homebrew Con non si farà. Si chiamerà qualcosa come AHA HQ (American Homebrewer Association Head Quarter) e si terrà all’interno del GABF a ottobre. Non ci saranno seminari dedicati agli homebrewer, non ci saranno incontri né scambio di birre. Insomma, sarà probabilmente uno stand all’interno di una manifestazione per birrifici. Una cosa piuttosto insensata, trattata e comunicata come se si trattasse di un grande evento. Questo ha fatto infuriare molti homebrewer in America.

Dal mio canto sono ancora associato alla AHA, ho rinnovato lo scorso anno per i prossimi tre anni. All fine con l’abbonamento ho accesso a tutti i numeri di Zymurgy degli ultimi anni in formato elettronico e a tutti i seminari delle precedenti convention. Entrambe fonti quasi inesauribili di contenuti che mi sono utilissimi per approfondire e imparare. Di contenuti nuovi, però, ce ne sono ben pochi. Il valore che mi torna indietro, alla fine dei conti, viene dal passato e non dal presente. Non so quanto potrà avere senso continuare a rinnovare l’iscrizione nei prossimi anni, per un costo di circa 40 dollari annuali. Del resto non c’è molto altro di simile in giro.

Il futuro per questo tipo di associazioni è cupo. Attirare le nuove generazioni non è facile, soprattutto se si continuano a fare sempre le cose nello stesso modo. Servirebbe una scossa, un cambio generazionale anche nei direttivi di queste associazioni, per riflettere meglio la contemporaneità dell’homebrewing e uscire da mentalità superate, arrugginite e molto spesso autoreferenziali. Ci vuole coraggio e spirito di innovazione, che mi pare manchi anche in America. Come diceva qualcuno: follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.

Francesco Antonelli
Francesco Antonellihttp://www.brewingbad.com/
Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. È giudice certificato BJCP (Beer Judge Certification Program).

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1 commento

  1. Associato per tanti anni ho smesso di pagare la quota da un paio di anni…il valore aggiunto per me Italiano era la rivista zymurgy che però dopo qualche anno spesso diventava ripetitiva e priva di spunti nuovi (stessa cosa e sorte anche brew your own)
    Concordo che il valore sia più nel “passato” che nel futuro

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