Chi si cimenta nella produzione casalinga di birra, di solito parte dalla versione semplificata: il kit. Se le cose vanno bene, dopo poco passa alla tecnica all-grain che prevede l’utilizzo degli ingredienti base: malto, luppolo, acqua e lievito. Le guide a tema sul web sono innumerevoli, le informazioni talmente tante che inizialmente ci si sente spaesati. Ho pensato di passare in rassegna le varie fasi della produzione evidenziando quelli che secondo me sono i punti chiave. Senza alcuna pretesa di essere esaustivo, lancio alcuni flash sperando di indirizzare sulla buona strada chi è in procinto di fare il grande salto.
Ammostamento
L’ammostamento (mash in inglese) è quel passaggio della produzione in cui gli amidi dei cereali vengono convertiti in zuccheri, facilmente digeribili dal lievito. Gli enzimi che operano questa trasformazione agiscono a temperature ben precise, solitamente nel range 65/72°C. La temperatura a cui avviene la conversione influenzerà la tipologia di zuccheri prodotti, la fermentazione e il prodotto finito: è importante quindi mantenerla stabile per l’intera durata dell’ammostamento (mediamente un’ora). Come fare? Il metodo più semplice consiste nel mettere i grani in ammollo all’interno di un thermos (tipo quelli da picnic, a cui si può aggiungere un rubinetto), chiudere e lasciar andare l’ammostamento in autonomia. Questa tecnica viene definita “a infusione”: l’unico aspetto critico è indovinare la temperatura dell’acqua poiché non sarà possibile né raffreddare né scaldare la miscela una volta inseriti i malti (si può aggiungere un po’ d’acqua fredda o calda, ma il margine di errore è ristretto). In alternativa si lascia il pentolone sul fornello e si accende e spegne il gas in base alla necessità, girando la miscela: richiede un po’ più di attenzione ma è abbastanza efficace.
Ovviamente esistono diversi apparecchi che consentono di automatizzare questa fase (STC1000, PID, Arduino…) o sistemi completamente automatizzati (Speidel Braumeister, Grainfather, Easy, …) ma li prenderei in considerazione in uno step successivo: i primi per la complessità di messa in opera, i secondi per ragioni economiche (meglio capire prima se questo hobby fa davvero per noi).
Filtraggio
Dopo l’ammostamento, si procede al filtraggio, ovvero alla separazione delle trebbie esauste (i cereali ammostati) dal liquido (mosto). I sistemi di filtraggio sono molti, più o meno complessi. Alcuni prevedono il risciacquo delle trebbie tramite acqua calda, altri no. In ogni caso occorre costruire un filtro che blocchi le trebbie esauste e lasci passare solo il mosto da portare in bollitura. Il sistema più semplice in assoluto, che consiglio a chi si avvicina per la prima volta all’allgrain, è il BIAB (info). I malti sono contenuti in una sacca con maglia molto fine che semplicemente si rimuove al termine dell’ammostamento, come si fa con la bustina del te. Esistono tantissimi altri sistemi di filtraggio (bazooka, zapap, minibazooka) ma la sacca rimane uno dei più semplici. Usando la sacca si può fare la bollitura nella stessa pentola in cui si è fatto l’ammostamento poiché le trebbie esauste si estraggono insieme alla sacca e nella pentola rimane solo il mosto filtrato.
Bollitura
La fase in assoluto più semplice. Basta una pentola sufficientemente capiente e una buona fonte di calore. Fondamentale non esagerare con il litraggio se non si ha un fornello abbastanza potente: una bollitura flebile porta diversi problemi. Sul classico fornello di casa, in genere, si riescono a fare bollire senza problemi 15/20 litri di mosto. Qualcuno arriva anche oltre, dipende dal fornello. Consiglio un autosifone per trasferire il mosto dalla pentola al fermentatore: molto semplice da usare, evita problemi di filtri tappati dai luppoli e dai coaguli a fine bollitura e si possono usare pentole senza rubinetto.
Raffreddamento
Acquistate una serpentina per il raffreddamento. Sconsiglio vivamente di raffreddare il mosto nella vasca da bagno o nel lavandino di casa: è estenuante, rischioso (il mosto si può infettare), noioso e faticoso. La serpentina è l’unico acquisto secondo me davvero obbligatorio per chi si lancia nell’allgrain. Si immerge nel mosto a 10 minuti dalla fine della bollitura per sanitizzarla, si collega al rubinetto della cucina e via: in una ventina di minuti il mosto si raffredda mentre voi vi dedicate alla pulizia della cucina, che nel frattempo sarà diventata un campo di battaglia.
Fermentazione
Il top sarebbe avere una camera di fermentazione a temperatura controllata, ma capisco che chi è alle prime cotte non se la sente di arrivare subito a tanto. Non c’è problema, si può fare buona birra anche senza. L’importante è scegliere bene lo stile e quindi il lievito. Secco, anzitutto: è più facile da usare. Che tolleri bene le temperatura di casa (20/25 gradi): US05, BRY97, M44. Quali stili? Senza essere eccessivamente rigorosi, con questi lieviti (abbastanza intercambiabili) potete produrre IPA, APA, Stout, Porter, Scotch Ale, Mild. Ovviamente, non vi mettete a fare birra in estate senza camera di fermentazione a temperatura controllata.
Imbottigliamento
Piuttosto semplice, non presenta particolari criticità. La tappatrice a colonna è un must (non pensate nemmeno per un momento di tappare le bottiglie con la tappatrice a due leve). Consiglio di sciogliere lo zucchero per la rifermentazione in un po’ di acqua, far bollire cinque minuti, raffreddare (anche solo fino a 40°C, tanto è poco rispetto al volume di birra) e aggiungere nel fermentatore prima di imbottigliare (mescolando lentamente). Dosare lo zucchero bottiglia per bottiglia porta via inutilmente tempo.
Maturazione
La maturazione è quel lasso di tempo che parte dall’imbottigliamento e arriva fino al momento in cui la birra è pronta. Il tempo necessario va dalle due settimane agli anni, in funzione della tipologia di birra. In genere, le birre sotto i 6 gradi alcolici sono pronte nell’arco di uno o due mesi, quelle più alcoliche richiedono un tempo maggiore. L’unico modo per sapere quando una birra è pronta è assaggiarla e valutarne lo stato di maturazione. La parabola è sempre la stessa: per un certo periodo di tempo la birra migliora, da un certo punto in poi si avvia sulla strada del decadimento. Il momento in cui si passa da una fase all’altra si può individuare solo tramite assaggi continui (magari inizialmente uno ogni settimana, poi uno al mese e così via). Quando la birra raggiunge il top, andrebbe tenuta in frigo per rallentare al massimo l’invecchiamento.
Questa, ovviamente, è la condizione ideale. Tenere le bottiglie a temperatura ambiente (20/25 gradi) è comunque un compromesso accettabile. Se le bottiglie in estate passano qualche settimana a 28 gradi per via del caldo estivo, la birra sarà bevibile lo stesso (certo non al top, ma nemmeno da buttare). I puristi diranno che questa è una bestemmia, ma io credo che sia meglio avere qualche birra non al top, piuttosto che smettere di fare birra o non farla per nulla perché non si ha una cantina. L’importante è che la fermentazione primaria (quella che avviene nel fermentatore) non vada oltre i 22 gradi, altrimenti è molto probabile che la birra finisca direttamente nel lavandino.
Dopo l’ammostamento e la filtrazione il liquido che si ottiene non è ancora mosto, ma estratto di malto, infatti, l’ammostamento è chiamato più propriamente fase d’estrazione. Solo dopo la bollitura e la luppolatura diventa mosto. Mentre per la maturazione andrebbe sempre adottata una temperatura inferiore a quella di fermentazione, per rallentare il processo, ottenendo così un prodotto migliore. Semplici precisazioni fatte su un’esposizione sostanzialmente corretta.
Grazie per le precisazioni, Giuseppe. Chiaramente la mia esposizione, in questo contesto, semplifica volutamente molti aspetti del processo. Sulla maturazione è assolutamente corretto quello che scrivi; però, come ho scritto, non bisogna farsi spaventare se non si dispone di una camera o di una cantina a temperatura controllata da impegnare per tutto il (lungo) periodo della maturazione: la birra non maturerà in maniera ottimale (il caldo accelera la maturazione e a volte attiva delle razioni chimiche non volute), ma curando bene la fase precedente (la fermentazione) si avrà comunque un prodotto di buona qualità.
Ciao!
Sono in procinto anche io di passare alla tecnica all-grain (pratico E+G da circa 2 anni) e penso proprio di cominciare usando per la fase di mash il metodo ad infusione “no sparge”, utilizzando la classica ghiacciaia da campeggio.
Per la bollitura che dimensioni della pentola mi consigli al fine di arrivare ad un quantitativo di mosto nel fermentatore di circa 23 litri?
Ho letto che consigli di utilizzare un sifone per il trasferimento del mosto dalla pentola di bollitura al fermentatore, ma non rischia di intasarsi con i residui di luppolo in pellet? Per questo avevo pensato di acquistare una pentola con filtro bazooka e relativo rubinetto, ma se posso evitare (visti anche i costi) lo faccio ben’ volentieri!
Grazie e complimenti per i tuoi articoli.
Ciao Tommy. Dunque, per prima cosa ti consiglio di produrre meno di 23 litri, almeno le prime volte. Molti si “fissano” su questo standard che può portare diversi problemi in fase di mash e bollitura. Se vuoi produrre 23 litri, tra perdite ed evaporazione ne dovrai far bollire tra i 25 e i 28 e ti servirà una pentola abbastanza grande (diciamo da 33 litri). Ti consiglio invece di puntare, almeno per le prime volte, a produrre 12/15 litri in modo da poter utilizzare una pentola più piccola (magari anche una non di enorme qualità e poco costosa) per tararti e vedere se il fornello tiene la bollitura. La differenza tra sifone e rubinetto è semplice: il rubinetto, come lo apri, tira a se’ tutti i residui che si sono depositati sul fondo della pentola, tendendo a creare un tappo. Il sifone invece pesca dall’alto (lo fai scendere man mano che la pentola si svuota) quindi eviti di risucchiare violentemente i pellet e creare il tappo. Male che va il tappo si crea alla fine, quando rimane in pentola poco mosto che puoi anche lasciare lì.
Artico interessante e scritto in maniera semplice ma efficace
Aggiungo solo che il mosto si chiama proprio “mosto ” dal momento in cui inizia la filtrazione.
La stessa tecnicamente si suddivide in filtrazione del primo mosto e in 1 o 2 o più “lavaggi delle trebbie ” al fine di recuperare più estratto possibile per arricchire il nostro mosto : )
La stessa fase che precede la filtrazione ovvero l’ammostamento indica cosa stiamo andando a produrre ovvero, del mosto zuccherino a x gradi Plato o saccarometrici come meglio piace chiamarli.
A sostegno di quanto sopra puo’ essere interessante leggere i seguenti testi di tecnologia birraria che pur con il passare degli anni sono sempre attuali.
Il catechismo del Birraio pratico di Karl Lense del 1956
Teoria e pratica della preparazione del malto e della fabbricazione della birra di Pietro Wuhrer del 1948 edizioni Hoepli
e ultimo in quanto a data di pubblicazione ma non certo ultimo quanto a contenuti è :
Il manuale del Birraio pratico di August Gresser del 2010
è interessante notare come sia nel libro del 1948 che in quello del 2010 la terminologia tecnica usata sia praticamente la stessa, era mosto nel 1948 e lo è ora nel 2016 : ) speriamo solo che non sia sempre lo stesso mosto !!!
Buona birra a tutti
Ciao Luciano, hai fatto proprio una selezione di libri per principianti! 😉 W il mosto.