Dove eravamo rimasti? Ah già, qui è dove cerco di rendere chiara e godibile una lettura che non ha le sembianze del rotocalco gossipparo (mettere le mani avanti dovrebbe diventare una specialità olimpica). Quindi dopo aver incontrato il sistema gustativo, è ora la volta di affrontare quello somatosensoriale: applausi per le consistenze corpose, calde e avvolgenti di un Barley Wine, le croccantezze libidinose di un fritto di paranza, la carbonazione sostenuta di una Oud Gueuze… quello che in gergo (erroneamente) chiamiamo tatto. Sto per chiudere il cerchio dell’esperienza multisensoriale per eccellenza (l’assaggio), o meglio degli aspetti fisiologici che lo riguardano. Ci siamo infatti concentrati su questo, cioè sul catalogare gli stimoli sensoriali in funzione dell’organo di senso con cui interagiscono, perché in fondo è ciò che ci è più utile per interpretare e descrivere la complessità sensoriale spremuta in una pinta. Tuttavia manca all’appello una parte altrettanto importante, quella che mette in luce alcuni aspetti attinenti alla psicologia dell’assaggio e al luogo dove tutto acquista compiutezza: il cervello. Vi anticipo sin d’ora che per affrontare questo argomento ospiteremo il contributo di Thimus, italianissima realtà che si occupa (semplifico) di neuroscienze applicate.
Ma stavamo parlando di tatto sistema somatosensoriale, di quella intemperante e cedevole matassa di recettori, terminazioni nervose libere e sistemi misti che gli studi di aristoteliana fattura avevano relegato a senso minore. Abbiamo dovuto attendere gli inizi del ‘900 perché all’approccio filosofico si aggiungesse quello scientifico e al tatto fosse data l’importanza che merita. Letteralmente avvolti, fuori e dentro, solo grazie a lui possiamo percepire porzioni di realtà di primaria importanza (però moderatevi, anzi astenetevi, che poi c’è quel problema con le diottrie). C’è chi lo definisce il senso totale, dell’armonia e della conoscenza, porta d’accesso a quel mondo di sensazioni capaci di generare benessere come nessun altro mezzo riesce a fare. Il più intimo degli organi di senso, quello che “ci fa sentire dentro”.
Cosa percepiamo e con quali telescopi?
In estrema sintesi, il sistema somatosensoriale comprende la sensibilità tattile, la termica, la dolorifica, la profonda o propriorecettiva (riguardante la postura, l’orientamento nello spazio, forza del movimento) e la sensibilità viscerale. È quindi improprio chiamarlo tatto, i recettori del tatto sono appunto solo una parte dell’insieme. Recettori che, come dicevo qualche riga più in su, ci avvolgono, fuori e dentro. Sono la porta d’ingresso a una moltitudine di stimoli, quelli che ci consentono di percepire la pressione sull’epidermide ad esempio (meccanorecettori), di definire un oggetto sotto il profilo della forma e reologia (deformazione dei materiali, plastico, gommoso, ecc.), della qualità delle superfici, della collocazione nello spazio, di percepire le variazioni di temperatura (termocettori) e provare dolore (nocirecettori). Sono in particolare quelli presenti nella cavità orale (ma anche gola, esofago) e mucosa delle cavità nasali ad interessarci ovviamente.
Proprio qui ha sede anche il fondamentale sistema sensitivo costituito da un insieme di terminazioni nervose libere: il nervo Trigemino, che con le sue tre branche fornisce la sensibilità alla faccia e alle mucose oro-nasali, il nervo Facciale che si unisce ad un ramo del trigemino per innervare i due terzi anteriori della lingua, il nervo Glosso Faringeo che interessa la parte posteriore della lingua e il nervo Vago che trasmette quanto percepito dall’esofago e dalla regione oro faringea fino ai polmoni. Il pungente (dell’acido acetico, ammoniaca, acido cloridrico, soda caustica), l’adorata CO2, il piccante, il balsamico (di sostanze come il mentolo) e la sensazione bruciante e pseudo calorica dell’alcol vanno a stimolare proprio questi fili scoperti (che veicolano anche informazioni riguardanti calore e dolore). Non sono sapori e nemmeno odori dunque.
Anche la ben nota astringenza va inserita tra le sensazioni tattili. Ciò che avvertiamo a livello della mucosa del cavo orale (quindi lingua, palato, gengive e labbra) che ci lascia asciutti e felpati è dovuto alla combinazione, coagulazione e precipitazione delle proteine dell’epitelio e/o delle proteine salivari in presenza di sostanze polifenoliche (acidi tannici). La mediazione della saliva è quindi determinante. Questi composti si legano alle proteine producendo l’inizio di un processo di cuoificazione. Le proteine precipitano, la saliva si fa acquosa e perde il suo potere lubrificante. Non solo, i dotti salivari subiscono una contrazione e nel cavo orale affluisce meno saliva. La sensazione di secchezza e ruvidità non si manifesta immediatamente ma lascia solitamente un lungo ricordo di sé, che aumenta con i successivi sorsi (berne un’alta per sistemare le cose non aiuta insomma). I tempi di latenza e l’intensità di percezione dipendono ovviamente dalla natura della bevanda/alimento e dalla sua interazione con altre sostanze presenti nell’alimento stesso (pH, eventuale presenza di alcool, polisaccaridi), ma anche dalla composizione e dalla quantità di saliva durante l’assaggio. E pensate un po’, non tutte le salive sono identiche, non tutti abbiamo lo stesso concetto di astringente. Ma nemmeno di dolce, amaro, piccante, acetico e vattelapesca. Casomai non avessi chiarito a sufficienza il concetto di soggettività di giudizio lo ripeto, tanto per stare tranquilli.
(Altri) sensi chimici
Capitolo a parte invece per quelle sensazioni che non sono proprie del sistema somatosensoriale. Appartengono ai cosiddetti sensi chimici (come gusto e olfatto) ma non sono propriamente sapori e nemmeno odori. Potremmo definirle sensazioni chimiche comuni e riguardano gli stimoli sensoriali in cui sono coinvolti i chemocettori presenti sulle mucose del cavo orale e del naso, stimolati da agenti chimici. Il tanto temuto metallico (il mazzo di chiavi ciucciato, il ferroso, ecc.) che voi ben conoscete va a stimolare proprio questo tipo di recettori. I chemorecettori sono alla base di sensi quali gusto e olfatto, alcune fonti annoverano il metallico tra i sapori. Noi sappiamo che per percepire il metallico spesso ci basta annusare una birra. Quindi ecco, senza complicarci troppo la vita su “chi senta cosa” direi che ci basta andare per esclusione. I neuroni olfattivi non percepiscono sapori così come i bottoni gustativi non percepiscono odori. Tutto il resto appartiene ad altri mondi (dovrebbe, ecco).
Tutto chiaro? Differenti recettori (tipo quelli tattili), terminazioni nervose libere (trigemino, glosso Faringeo, ecc) e/o sistemi misti, si attivano e avvicendano con le diverse stimolazioni che il nostro cervello processa restituendoci il percetto nella sua complessità. Sì, è complicato. È molto più semplice impugnare la pinta e goderci il suo contenuto. La parte difficile rimane sempre la descrizione, in quel caso servono allenamento e validi aiuti. Alcuni doveste trovarli qui, fossero anche solo spunti per approfondire certe tematiche. Sono convinta che la base di una buona formazione all’assaggio passi necessariamente attraverso una maggiore consapevolezza di come sono progettati i nostri sistemi sensoriali e mi rattrista vedere che spesso i percorsi di cultura e degustazione della qualunque non prestano la giusta attenzione a questi temi.
Proprio mentre pensavo agli strumenti che si usano solitamente per impratichirsi nella descrizione, mi sono imbattuta in questo (agevolo diapositiva).
Se ne trovano versioni simili in rete, ma mi sembrava calzante per salutarvi con una domanda. Alla luce delle cose che ci siamo detti, la trovate organizzata a dovere? Perché a me sembra un tantino confusa, e la confusione non è il mentore ideale.