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Devozione ovina: come abbinare un intero menu di pecora alla birra artigianale

“No, puzza!”, “Diciamo che non la preferisco, perché l’odore è troppo forte”, “Mi sa proprio di animale…” (sigh!): questi sono tra i commenti che più frequentemente capita di ascoltare quando si parla di carne di pecora. I ricercatori confermano una motivazione scientifica al vigore aromatico con cui queste carni si presentano – tra le componenti volatili dominanti c’è il cosiddetto sentore sheepmeat, appunto, legato ad acidi grassi e composti fenolici provenienti dalla fermentazione ruminale – ma possiamo affermare che dietro questa evidente rusticità si nasconde un animale dalle doti culinarie eccezionali. Non solo, perché la pecora è un animale dal valore culturale e gastronomico enorme, per cui ci è sembrato inevitabile dedicarle un intero menu a tema, provando ovviamente ad abbinarlo ad alcuni stili birrari tra quelli offerti dallo sconfinato patrimonio mondiale.

Cucina di pecora: storia e caratteristiche

Dai tempi delle prime civiltà organizzate, passando per i Romani – “pecunia” e “pecora” hanno la medesima radice, pecus, come a dire: gregge più grande, ricchezza più grande – fino al XIX secolo questo ovino è stato la vera pietra miliare di numerose comunità umane, per via della triplice attitudine (carne, latte e lana, con variabilità in base alla razza) e per via dell’adattabilità e della facilità di gestione. In Italia l’ampia fascia appenninica è stata letteralmente collegata tramite i tratturi della transumanza, mescolando, oltre i confini regionali, dialetti, abitudini, piatti. Attualmente, sul nostro pianeta sono censiti all’incirca un miliardo di capi, presenti in tutti i continenti.

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Quella di pecora è una “carne rossa”, dunque contiene proteine ad alto valore biologico ed è ricca in ferro, zinco e vitamina B12. Per quanto riguarda il grasso, l’abbondanza e la qualità dipendono dall’età e dalla modalità di allevamento, ma le quantità non sono molto differenti rispetto ad altri animali ritenuti culinariamente più nobili.

Antipasto: prosciutto di pecora sardo e muschiska

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L’incipit è con due salumi, di cui si contano produzioni piuttosto limitate, a diffusione regionale, in parte ravvivate dall’immigrazione islamica. Cominciamo dal prosciutto di pecora sardo: si produce utilizzando la coscia posteriore e dopo la concia, effettuata con sale, pepe, aglio, peperoncino e noce moscata, si effettua una breve stagionatura (3-6 mesi). A fine lavorazione, quando la coscia emana un forte odore di pecorino romano, conferito dal grasso presente, il peso è intorno ai 2 kg. Alcuni artigiani operano una leggera affumicatura con legno o foglie di mirto.

Il secondo salume della nostra proposta è la muschiska, tipica del Gargano (dove si trova anche di capra) e dei Monti Dauni, il cui nome deriva probabilmente dall’arabo mosammed, “duro”. Consiste in una piccola striscia di carne di colore rosso scuro che viene realizzata con i tagli più magri dell’animale, conditi con sale, aglio, peperoncino e semi di finocchietto, infine essiccata per una ventina di giorni: questo passaggio la rende rigida, più saporita e tenace al morso. Comoda da traportare e godibile da tenere in bocca, era il cibo perfetto durante la conduzione delle greggi.

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Per l’abbinamento procediamo con uno stile che, purtroppo, è oggi piuttosto raro: quello delle Dubbel Wit, che risultano gastronomicamente molto stimolanti. Parliamo di pietanze dal grande carattere, con aromi decisi e una significativa lunghezza gustolfattiva. La freschezza aromatica della birra galvanizza l’effetto delle percezioni, aggiungendo gli aromi speziati e floreali tipici dello stile e al contempo affrontando con il piglio opportuno la consistenza, la sapidità e la persistenza dei salumi. Nel caso del prosciutto è la parte grassa a dover essere domata, in quello della muschiska è il peperoncino l’elemento più spigoloso. La disinvoltura con cui entra, scorre e incontra il cibo è favorita dalla dorsale maltata, dalla sua forza nettante e dal decisivo supporto della taglia etilica, intorno al 7%.

Primo: sagne con sugo di pecora

Con il primo ce ne andiamo in Abruzzo: sagne (cioè fettuccine) con sugo di pecora e una spolverata di formaggio ovino stagionato. La salsa si fa con i tagli dello spezzatino proveniente da animali anziani o infortunati: un misto grasso/magro, dunque, e una cottura lunga necessaria per dare più sapore, ma anche per ridurre parzialmente la coriacità del morso.

L’abbinamento, eseguito con una Double IPA selezionata tra quelle più “classiche” – con malti ambrati, toni caramellati, un gioco costante tra tendenze dolci e vigoria luppolata, con un tocco vintage e senza fruttati strepitii esotici di sorta – è risultato letteralmente sorprendente per chi scrive: normalmente questa parte stilistica del mondo brassicolo non ha una grande attitudine per l’accostamento col cibo, ma con questo sugo di pecora riesce a esprime una brillante vivacità, smorzando la nota umami e gli spunti animali decisi, esprimendo accordo con la salsa di pomodoro e aggiungendo leggiadria alle sensazioni finali.

Secondo: cuz

Il “piatto forte” che proponiamo è peculiare e perfettamente localizzato: il cuz. Sostanzialmente, uno spezzatino in bianco realizzato con la carne della locale razza ovina: rappresenta uno dei piatti più antichi della tradizione lombarda, identificativo dei periodi di festività all’interno della comunità di Corteno Golgi (BS), in Val Camonica. La preparazione prevede che sul fondo del paiolo venga sistemata la parte lipidica del taglio, tritata in maniera ben minuta, e poi il resto della carne, assieme a salvia, acqua e aglio. Si cuoce a fuoco basso per circa quattro ore, dando una smossa ogni tanto. Normalmente si accompagna con polenta di mais o pane da cereali locali. La peculiarità del cuz è la conservazione: si pone in vasi di terracotta, coperto interamente con l’intingolo di risulta della cottura, grazie al quale riesce a conservarsi per qualche mese.

Per l’abbinamento a un piatto di questo tipo, abbiamo bisogno di una birra dal corpo discreto/buono, aromi che siano in grado di accogliere quelli provenienti dal piatto, di una gasatura generosa, nessun eccesso amaricante e una taglia etilica importante. Ecco perché abbiamo scelto una Bière de Garde ambrata. Altro stile con spiccata attitudine all’accostamento e anch’esso, purtroppo, non frequente da incontrare, si disimpegna con agio rispondendo ottimamente ai pungoli lanciati dal piatto.

Dessert: panna cotta con ricotta di pecora e frutti di bosco

Per quanto riguarda il dessert, presentiamo una panna cotta con ricotta di pecora e coulis ai frutti di bosco: la realizzazione della base è identica a quella classica, ma ricotta e panna vanno unite in proporzione di 3:2. L’aggiunta del latticino conferisce un’aromaticità più complessa e una consistenza più pastosa.

Per l’abbinamento proponiamo una Eisbock, potente Lager della tradizione bavarese, caratterizzata da morbidezze sinuose, gradazione normalmente intorno al 10% alc. e chiusura equilibrata. La soddisfazione di questo abbinamento è la capacità di completamento reciproco: le note lattiche del dessert sviluppano perfetta corrispondenza con le note di caramello e da reazione di Maillard; mentre la flessuosità maltata della birra sfida il sweet&sour della composta, rendendo più dinamico il sorso e creando un’appagante, prolifica asimmetria.

Roberto Muzi
Roberto Muzi
Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è sommelier, scrittore, divulgatore birro-gastronomico e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

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