Magari non ci riflettiamo spesso, ma in tutte le tradizioni culinarie esistono centinaia di piatti che non nascono per essere vegetariani (spesso quando sono stati creati questo concetto nemmeno esisteva), ma “inconsapevolmente”, per così dire, lo sono: pensiamo alle ricette delle pizze della tradizione napoletana, alla pasta pomodoro e basilico, alla parmigiana di melanzane. Del resto, nella storia umana, le carni sono sempre state un lusso, poiché per mangiarne o si doveva sacrificare un animale di proprietà oppure lo si doveva rincorrere nel bosco o pescare (con primitivi arnesi o affrontando le onde del mare): attività rischiose, che richiedevano molto tempo e che non si potevano condurre a cuor leggero in una società povera e contadina. Infatti, i più importanti storici dell’alimentazione sono concordi nell’indicare un apporto calorico proveniente da ingredienti vegetali che va dal 70 al 100% del totale assunto dai ceti bassi fino al XIX secolo.
Oggi il tema del consumo di carni, limitato e di maggiore qualità, è ancora più attuale: la nostra dieta ha un impatto ecologico e sanitario rilevante, perché gli allevamenti sono tra i principali produttori di CO₂ e perché il benessere animale è strettamente legato alla qualità delle carni che ci arrivano nel piatto. E allora, ecco qualche spunto “alternativo”, che come sempre proviamo ad accompagnare con la nostra bevanda preferita.
Insalata di ovoli
Cominciamo con una raffinata insalata di ovoli. L’Amanita cesarea è un fungo nobile e buonissimo, che va cercato e colto da professionisti. Una volta che ce l’abbiamo tra le mani, va pulito, affettato e salato: nel giro di pochi minuti tirerà fuori l’acqua e sarà pronto per essere condito con un filo di extravergine, pepe e qualche sottilissima scaglia di Parmigiano. Non ha bisogno di particolari condimenti, perché è già buonissimo così e perché, avendo un sapore molto delicato, rischia di esserne sopraffatto.
Non vantando particolari consistenze e giocando totalmente sulle fragranze, in abbinamento gradisce birre serbevoli e profumate. Ecco perché consigliamo una classicissima Golden Ale: esile, dalla bassa gradazione alcolica e in grado di aggiungere l’eleganza aromatica dei luppoli inglesi, celebrerà un matrimonio improntato sull’etereità delle percezioni.
Cacio e pepe
Passiamo ai primi con una delle paste più iconiche di Roma: rigatoni cacio e pepe. È certo che parliamo di una ricetta economica, gustosa e veloce nella preparazione, con due soli ingredienti (ma attenzione: le paste semplici sono sempre le più difficili da fare buone). Rimane però aperto il dibattito tra gli alfieri delle paste lunghe e quelli dei formati corti. La tradizione popolare delle origini dice spaghetti (in alcuni casi anche tonnarelli), poiché quella lunga era la tipologia di pasta più semplice da realizzare senza macchinari, ma oggi è più consueto trovare nei piatti i formati corti (più gestibili in cottura e migliori per il condimento).
I due ingredienti sono fortemente marcanti e bisogna stare attenti nella scelta: perché di pepe ne esistono diverse varietà, mentre il pecorino ha numerose variabili, di cui la principale è certamente la stagionatura. Per questo proponiamo due opzioni di abbinamento, che prendono in considerazione l’effetto tampone che ha la componente cerealicola della pasta: una Kölsch, se vogliamo corteggiare il condimento e lasciare maggiore spazio all’aromaticità del pepe; una Märzen se invece vogliamo maggiore equilibrio e intensità nell’affrontare sia la spezia che la componente lattica e stagionata del cacio, con le note tostato-caramellate che giocheranno con la peposità e i profumi ovini.
Vignarola
La vignarola, come accenna il nome, era il tipico pranzo primaverile dei vignaioli (del Lazio). La ricetta è molto articolata e prevede: piselli e fave freschi, lattuga, cipollotti, carciofi, limone, extravergine di oliva e menta romana, coadiuvati da un brodo vegetale fatto con gli scarti di queste verdure. Nutriente, fresca e invitante, può essere mangiata come una grande insalata “rinforzata” dal pane oppure come condimento per paste o risi. La ricetta tradizionale prevede anche il guanciale, ma oggi è di frequente servita senza.
Per l’abbinamento possiamo lavorare su due fronti: da una parte la neutralità, la freschezza, la carbonazione e l’appoggio sui malti di una Keller Helles, brava ad accompagnare, viste le sue caratteristiche aromatiche e gustative, e a lasciare il palato nettato e con una primaverile sensazione di freschezza; dall’altra parte, per gli amanti dello stile, si può optare per una Weizen, che vista la sua consistenza proteica è in grado di fornire un formidabile “effetto pane”, aggiungendo le sue aromaticità tipiche.
Maccu di San Giuseppe
Il maccu di San Giuseppe è un saporitissimo minestrone, tipico soprattutto del siracusano, che prevede la presenza di una lunga lista di ingredienti, come fave secche, ceci, lenticchie, fagioli, piselli, borragine, finocchio selvatico, pomodori secchi, cipolle, e una certa pazienza per ammollo, assemblaggio e cottura, al termine della quale si aggiungono dei quadratini di pane soffritti. Il termine dialettale, utilizzato in tutto il sud Italia per indicare la purea di fave, allude all’ammaccare, cioè al ridurre in poltiglia, e si ricollega al pantagruelico (ante litteram) Maccus, personaggio delle farse atellane dell’antica Roma. Il piatto veniva tipicamente preparato per il 19 Marzo, festa di San Giuseppe, ma oggi si cucina tutto l’anno.
In abbinamento proponiamo una Saison in “stile Dupont” (cioè solo con i quattro ingredienti di base, senza aggiunte né “fermentazioni integrative”): una birra dotata di personalità e secchezza, capace di nettare la parte untuosa, accompagnando, con precise pennellate maltate, la consistenza granulosa dei legumi tritati e gli aromi delle verdure presenti, e decisa nell’ultimare il sorso con una leggera chiusura amara (di cui non bisogna aver timore, poiché è vero che parliamo di verdure ma ne abbiamo diverse a tendenze dolce). In retro-olfattiva il ritorno dei toni floreali, di frutta bianca e mentolati rappresenterà una piacevolissima e delicata chiosa.
Torta di carote
Completiamo il menu con la torta di carote. Composta da uova, zucchero, miele, burro, carote, mandorle e spremuta d’arancia, viene servita fredda ed è un grande classico soprattutto nei Paesi nord europei.
Essendo un “dolce non troppo dolce” e non avendo una base aromatico-gustativa invadente, l’abbinamento ideale (e anche territoriale) è una Farmhouse Ale prodotta con lievito Kveik, una di quelle interpretazioni birrarie recuperate dalla tradizione contadina scandinava (e dintorni), che per la sua modalità di lavorazione tende sempre a generare birre con poca carbonazione e a conservare una leggera dolcezza residua, perfetta per scortare una torta con aromaticità e dolcezza misurate.