In passato ho espresso più volte la mia soddisfazione qualora riesca a scoprire referenze di birrifici statunitensi poco conosciuti, se non localmente o nello stato di appartenenza, con un hype basso o molto moderato, che si rivelino degni di considerazione. Qui, invece, ci occuperemo di due realtà che in maniera diversa stanno facendo parlare di sé, e delle quali alcune referenze hanno acquisito fama e ricercatezza al di fuori del loro stato di appartenenza, l’Illinois, che negli ultimi quattro anni ha visto nascere diversi attori molto interessanti. In particolare, Keeping Together, che produce le sue birre presso il birrificio Half Acre a Chicago, e Phase Three, di base a Lake Zurich, distante circa 45 minuti di auto dalla prima città dello stato, tenendo come punto di riferimento la taproom del predetto Half Acre.
Keeping Together – Architect of Harmony
Avery Swanson, dopo quattro anni presso Jester King di cui tre come head brewer, ha lasciato nel 2018 il suo impiego e nel 2019 ha fondato Keeping Together, di cui la prima birra fu oggetto di release nel dicembre dello stesso anno. Keeping Together ha una linea basata pressoché interamente su birre di stampo belga, principalmente con l’impiego di lieviti Saison, con particolare attenzione alle fermentazioni miste. Ciò posto, mi paiono degne di attenzione le ragioni che hanno portato Avery a lasciare una posizione così prestigiosa e importante per fondare Keeping Together. Il nome scelto, appare tutto fuorché casuale: Avery auspica con forza una maggior focalizzazione sulla birra e soprattutto una maggiore accortezza ai bisogni della comunità, o meglio, una particolare attenzione all’impatto della birra sulla qualità della vita delle persone.
In sostanza, Avery spiega che:
Tutti sono così occupati a rivendicare il proprio punto di vista che le persone hanno smesso di ascoltarsi reciprocamente. La mia missione è incoraggiare le persone a impegnarsi a vicenda, a braccia aperte.
La sua posizione è altrettanto ferma riguardo alla circolazione delle proprie birre. “That’s not the reason we make beer”, chiosa, specificando che vorrebbe che la gente parlasse di cosa ha nel bicchiere, piuttosto che tradare o compravendere i suoi prodotti senza averli mai assaggiati. Invece di vedere file interminabili alle release, vorrebbe avvicinare le sue birre alle persone, nel modo più semplice e immediato possibile, ad esempio in festival dove ci sono tante proposte interessanti e bevibili, senza chilometriche spiegazioni o indicazioni per ogni referenza, che possano essere gradite dalle persone così che possano farsi le proprie idee e discuterne ascoltandosi l’un l’altra, senza alcun preconcetto. Una filosofia piuttosto lontana dalla mentalità, dal mood operativo della grande maggioranza dei birrifici statunitensi, non c’è che dire.
Dal punto di vista squisitamente brassicolo, abbiamo già sottolineato come l’uso del lievito Saison sia molto comune nelle birre di Keeping Together, e pertanto, insieme ad Andrea Turco e grazie alla grande ospitalità de Il Treppio, abbiamo assaggiato la Architect of Harmony (6%). Si tratta di una Farmhouse a fermentazione mista, rifermentata con miele di acacia e luppolata e dry hopping di Chinook. La birra si presenta di color biondo carico, con una schiuma a grana fine, pannosa e sufficientemente persistente e rivela al naso note di melone, pesca e frutta tropicale. La carbonazione è abbastanza vivace, l’ingresso in bocca rivela note di fiori bianchi, pepe nero e fieno, un leggero sentore di crosta di pane. Il corpo è medio, l’acidità molto tenue, mentre nel finale domina una nota rustica e leggermente amara, che ben interagisce con una lieve componente floreale e di vaniglia resa dal miele di acacia. Birra soddisfacente, molto pulita ed equilibrata, non particolarmente complessa, che mi piacerebbe personalmente provare in versione oak aged, qualora Avery Swanson decidesse in futuro di procedere in tal senso.
Phase Three – Eunoia n.4
Come suggerito dal nome del birrificio, Shaun, Evan e Britany hanno affrontato un articolato processo prima di arrivare all’apertura di Phase Three Brewing e all’inaugurazione della relativa taproom, sempre a Lake Zurich. Gli esordi furono in un brewpub-ristorante a Schaumburg, dove i tre si conobbero e dove Shaun cominciò a produrre birra presso un impianto professionale, mentre Britany disegnava le etichette e Evan si occupava della gestione del brewpub. In seguito, Shaun entrò a far parte del brewing team di More Brewing e venne in breve seguito da Britany e Evan, rispettivamente impiegati come graphic designer per le etichette e general manager. Un paio di anni più tardi, i tre decisero di mettersi in proprio, cominciando come beer firm presso un birrificio di Lake Zurich che mise a loro disposizione due tank da usare una giornata ogni tre settimane. Solo nove mesi dopo, Shaun, Evan e Britany avevano un team di dieci persone e decisero di subentrare nella locazione del birrificio, passando quindi da due tank in affitto al controllo totale dell’odierna struttura, che conta uno spazio di oltre 20.000 mq, laboratorio analisi, impianto di osmosi inversa, centrifuga, imbottigliatrice in contropressione e una taproom di circa 3.000 mq, munita di spazio all’aperto nel quale le birre di Phase Three possono essere accompagnate da snack, sandwich, wraps e insalate.
Phase Three presenta una linea abbastanza varia, incentrata su birre luppolate, Sour con frutta, basse fermentazioni, Stout, Porter e Barleywine. Sul punto, Imperial Stout e Barleywine rappresentano gli stili di punta, con alcune referenze che godono di un hype decisamente elevato, come ad esempio la serie di Imperial Stout Eunoia. È proprio un’appartenente a questa linea che ho avuto il piacere di assaggiare insieme ad Andrea Turco, nella fattispecie la Eunoia n.4 (15%), Imperial Stout affinata in botti di Old Fitzgerald wheated bourbon (Heaven Hill), che presenta nel mash frumento in luogo della segale, con sciroppo d’acero e vaniglia. Si presenta oleosa, senza un filo di schiuma, al naso pervengono sentori di cioccolato fondente, uno sbuffo di vaniglia e di sciroppo d’acero; appena la birra si scalda, la vaniglia emerge con maggior forza, seguita da note di spezie da forno e noci. La carbonazione è adeguata e non si hanno difficoltà nell’affrontare un secondo sorso. Nell’ingresso in bocca si staglia il cioccolato fondente, con percepibili note di caramello, vaniglia, uno sbuffo di menta piperita, e note speziate. Il corpo è ampio, ma la birra rimane setosa, morbida, senza alcun accenno di profili “roasted”, e non potrebbe che essere così viste le adjuncts utilizzate. Lo sciroppo d’acero si palesa in maniera più decisa nel finale, a braccetto con cioccolato, caramello e vaniglia, oltre a lievi note di noce moscata e chiodi di garofano. Birra vivamente soddisfacente, potente ma al contempo molto equilibrata e non eccessivamente dolce, come potrebbe far pensare la costruzione. Si gioca piuttosto su un’armonica interazione e sull’equilibrio delle varie componenti, il tutto con un tenore alcolico molto ben nascosto.