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Tempo fuori di sesto, o di come nella birra si è perso il senso dell’attesa

“Le temps ne respecte pas ce qui se fait sans lui”, cioè il tempo non rispetta ciò che è fatto senza di lui. Molti di voi sapranno che questa citazione, tratta da L’Homme pressé di Paul Morand, è incisa su un’insegna all’interno del birrificio Cantillon di Bruxelles. È un monito che vale per la vita di tutti i giorni, ma che riveste un’importanza fondamentale per l’attività brassicola: non è un caso che si possa leggere passeggiando tra le botti del produttore che forse più di tutti al mondo è rimasto legato alle tradizioni del passato. Attendere, pazientare, aspettare… espressioni di cui perdiamo il significato ogni giorno che passa ma che non dovrebbero mai essere dimenticate, soprattutto quando si parla di birra artigianale. Senza scadere nella retorica nostalgica da vecchio osservatore, è chiaro che il mondo moderno ci sta costantemente allontanando da certi valori. “Tutto e subito” è il mantra che guida le nostre decisioni e che si sta diffondendo anche nel settore birrario, obbligandoci a ridefinire il modo di intendere la bevanda.

In un’intervista pubblicata ieri sul Morning Advertiser, Russell Bisset del birrificio inglese Northern Monk afferma che il loro interesse nei cask sta calando drasticamente. Per chi non lo sapesse i cask sono i contenitori tradizionali della birra anglosassone, piccole botticelle da cui la birra è spillata mediante la classica handpump. Era il modo in cui i publican somministravano le loro Real Ale in passato, dopo aver seguito la parte finale della maturazione della birra direttamente tra le mura delle loro cantine. Grazie all’azione di sensibilizzazione del Camra, questo metodo tradizionale è sopravvissuto all’avvento dei fusti in acciaio e della spillatura con gas, nonché ad altre forme di confezionamento come le lattine. È una soluzione che è tornata a essere parzialmente remunerativa grazie all’ascesa del movimento della craft beer, ma che ovviamente richiede da parte del pub lavoro extra, capacità specifiche e spazi dedicati.

Gli oneri non sono solo a carico della parte finale della filiera. Per Bisset il mercato dei cask nel Regno Unito non è semplice da gestire e poco redditizio. Complice l’incapacità del Camra di rinfrescare la sua immagine, è spesso percepito dai bevitori come un tipo di consumo legato alle generazioni più vecchie. Aspetti che contrastano con l’approccio comunicativo di Northern Monk, che è uno degli esponenti più importanti della new wave britannica. Produrre in cask significa investire tempo e risorse in una direzione ben precisa, sia da parte del produttore che del locale. Che risulta sempre assai lontana dalle aspettative dei consumatori più giovani.

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Al di là delle scelte di Northern Monk, è chiaro che l’idea di attesa sta diventando sempre più una chimera nel mondo della birra artigianale e per ritrovarla dobbiamo guardare a birrifici molto tradizionali. Per Cantillon e altri produttori di Lambic, ad esempio, la maturazione del prodotto dura mesi, persino anni. Non parliamo di edizioni speciali passate in legno, come può succedere per qualsiasi altra azienda che decide di cimentarsi con botti e barrique, ma del normale iter di produzione. Inoltre la cognizione temporale non è associata solo alla maturazione del Lambic, ma anche alla cotta: molti birrifici del Pajottenland brassano solo quando le temperature non superano una determinata soglia, limitando quindi le operazioni ai mesi più freddi. Qualcuno di voi forse ricorderà il grido di allarme di Jean Van Roy di Cantillon che parlò di un restringimento della finestra utile per la produzione a causa dell’innalzamento globale delle temperature.

Problemi che non devono meravigliare se pensiamo che, fino all’avvento della refrigerazione, la birra è sempre stata un prodotto stagionale. Oggi l’industria (e non solo) ci ha insegnato che la birra è un bene sempre disponibile e senza alcuna variazione significativa, ma appunto si tratta di una “conquista” relativamente recente. Retaggi di usanze passate sopravvivono attualmente in alcuni stili, come le tedesche Marzen, che venivano prodotte nell’ultimo periodo utile dell’anno. Decisamente meno nelle release stagionali dei moderni birrifici, che sono più trovate di marketing che il richiamo a esigenze produttive del passato.

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E le moderne tendenze del mondo della birra artigianale stanno amplificando il fenomeno. Il mito della freschezza, intesa come minimo lasso di tempo tra il confezionamento e la disponibilità per il cliente finale, sta diventando un’ossessione con evoluzioni aberranti, che si estendono anche a tipologie brassicole che non la richiederebbero. Il successo delle NE IPA sta elevando a carattere distintivo un aspetto, l’evidente torbidità, che è di base un difetto e che talvolta si associa alla fretta di passare alla fase di confezionamento. Gli stessi stili a bassa fermentazione sono poco diffusi nel mondo della birra artigianale e tra i vari motivi c’è la necessità di ricorrere a lunghe maturazioni a freddo. L’ammostamento per decozione, tradizionale per alcune tipologie, è adottato solo raramente perché molto più lungo da effettuare di quello per infusione.

Insomma, sembra proprio che nel nostro mondo non ci sia più spazio per l’attesa, a meno di non andare a cercare produttori che impiegano tecniche ancestrali. La velocità abbraccia ogni aspetto della nostra passione: c’è fretta nell’etichettare un birrificio come ottimo o deludente, senza aspettare un secondo assaggio; c’è isteria nel pretendere novità alla spina, senza soffermarsi su ciò che abbiamo appena bevuto; ci sono bicchieri sempre più piccoli, perché devono essere svuotati rapidamente; c’è impazienza nel bruciare le tappe, senza prendersi il tempo per viaggiare e studiare.

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Eppure fu proprio “aspettando” che epoche fai mi innamorai della birra artigianale. Mi riferisco all’attesa richiesta dalla spillatura perfetta del mio boccale, concetto con il quale entrai in contatto per la prima volta al Ma che siete. Era diverso da tutti gli altri locali: non ordinavi e ricevevi la tua birra quasi immediatamente, ma dovevi pazientare affinché il servizio fosse concluso nel migliore dei modi. Ricordo che era una delle peculiarità del pub trasteverino, oltre alla qualità dei prodotti disponibili (e delle sciarpe di calcio appese alle pareti!). Oggi è conosciuto per altro, perché è una meta imprescindibile per ogni appassionato, perché ha ampiamente contribuito a creare la scena italiana, perché ha una batteria di spine impressionante per numero e qualità e perché ospita chicche straordinarie in bottiglia. Ma l’attesa, l’attesa mentre vedevo la schiuma scendere lentamente nel mio boccale non ancora completamente riempito, quella è una suggestione legata al passato. Non perché il servizio sia cambiato, sia chiaro, ma semplicemente perché non fa più notizia. Oggi si guardano altre cose…

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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