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Nella riduzione delle accise la grande sconfitta della birra artigianale italiana

La scorsa settimana si è consumata quella che, secondo me, è una delle pagine più tristi per la birra artigianale italiana e una sconfitta senza precedenti per tutto il comparto. Mi riferisco alla notizia riguardante la riduzione delle accise, di cui ha dato notizia la deputata pentastellata Chiara Gagnarli sul suo profilo Twitter. Potremmo definirla una beffa colossale: in barba a tutti gli emendamenti presentati – figli di un lungo confronto politico con associazioni e produttori – il legislatore ha deciso di approvare una riformulazione delle accise che prevede uno “sconto” di appena 2 centesimi di euro per ogni ettolitro di birra. Una novità che per la maggior parte (anzi, per la totalità) dei birrifici artigianali si traduce in una variazione minima, praticamente trascurabile se non apparisse quasi offensiva. Un risultato patetico, che però dovrebbe spingere l’intero movimento a riflettere sulle scelte compiute fino a oggi.

Per capire la gravità della vicenda occorre ripercorrere le tappe che ci hanno portato a quanto avvenuto giovedì scorso. Prima però è d’obbligo una premessa: se la riforma delle accise avesse seguito gli esiti auspicati dai protagonisti del settore, poco e niente sarebbe cambiato per i consumatori finali. La birra artigianale non avrebbe vissuto alcuna svolta storica: semplicemente i produttori avrebbero risparmiato alcune risorse economiche, magari per investire nel mercato (ma è tutto da dimostrare). In pratica, il prezzo finale della birra artigianale non sarebbe calato. Al di là delle ripercussioni dirette, tuttavia, una nuova disciplina delle accise sarebbe apparsa più giusta, tanto da un punto di vista etico, quanto legislativo – in quest’ultimo caso sarebbe stata coerente con la direttiva europea in materia.

Dell’iniquità della disciplina delle accise per i microbirrifici italiani si parla da anni e, se non vado errato, l’argomento fu portato all’attenzione del mondo istituzionale nel maggio del 2009 da Unionbirrai, sebbene già dal 2005 ci fosse un canale di comunicazione aperto tra Agenzia delle Dogane e Assobirra. Il tema divenne praticamente di dominio pubblico nel 2013, quando, a fronte di un sanguinoso aumento delle accise, la stessa Assobirra lanciò una campagna di sensibilizzazione per chiedere una riduzione delle imposte di produzione, inglobando anche i punti di vista dei piccoli produttori – nel frattempo alcuni microbirrifici avevano aderito all’associazione degli industriali.

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La politica rimase sorda agli appelli di Assobirra, ma nel frattempo prese piede la proposta di Unionbirrai: ignorare gli aumenti tout court, ma riformulare la disciplina delle accise tenendo presente le grandi differenze che esistono tra multinazionali brassicole e microbirrifici. Eh sì, perché in Italia perdura (e continuerà a farlo chissà quanto ancora) una regolamentazione identica per tutte le aziende, senza distinzione di tipologie di impianti o di ettolitri prodotti annualmente. Una logica poco etica e soprattutto in contrasto con la direttiva europea in materia.

E così arriviamo all’inizio del 2016, quando l’idea di una nuova disciplina a “scaglioni” prese piede tanto da provocare alcuni effetti importanti. Su tutti la controversa definizione di birrificio (e birra) artigianale, propedeutica per formulare una futura differenziazione delle accise in base alle caratteristiche del produttore. Al di là dei contenuti della definizione, ciò che risultò difficile da digerire fu una regolamentazione “politica” del concetto di birra artigianale, sul quale a quel punto il movimento italiano perdeva ogni controllo – per capirci negli Stati Uniti la definizione di “craft beer” è stabilita da un’associazione di categoria (la Brewers Association) e non dal legislatore, con tutti i vantaggi che ne conseguono.

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Il compromesso avrebbe avuto senso solo nell’ottica della suddetta riformulazione della disciplina delle accise. Dopo una serie di timidi tentativi, l’occasione propizia sembrava essere giunta qualche settimana fa, grazie alla presentazione di una serie di emendamenti alla Legge di Bilancio per il 2017. Portavoce dell’istanza fu la già citata Chiara Gagnarli (appoggiata però anche dal PD) che contribuì a proporre una ridefinizione delle accise “a scaglioni” e uno spostamento del sistema di accertamento “a valle” del processo produttivo. L’obiettivo sembrava davvero alla portata e avrebbe rappresentato la realizzazione di un percorso iniziato molti anni fa.

Giovedì invece è arrivata la doccia fredda, con un’irrisoria riduzione generale delle accise che è stata accolta da tutti i produttori artigianali come una vera e propria beffa. Parlare di sconfitta per il nostro comparto è quasi un eufemismo: siamo al cospetto di una colossale presa in giro, che ridimensiona clamorosamente tutto il lavoro compiuto dalla associazioni di categoria in questi anni. Anzi, ridimensiona solo quello di Unionbirrai, perché nel frattempo Assobirra può tirare un sospiro di sollievo: se infatti la riduzione per le grandi aziende brassicole è importante solo in termini assoluti (circa 400.000 euro annui complessivi), la mancata ridefinizione a scaglioni scongiura una differenziazione nel tipo di birrifici, che immaginiamo sarebbe stata poco gradita dalle multinazionali del settore.

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In futuro ci saranno altre occasioni per proporre modifiche legislative come quelle appena tentate e alla fine – daje e daje – non è escluso che vengano accolte. E a ben vedere le speranze non sono del tutto svanite, se il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta si è esposto affermando che a breve è in programma un nuovo intervento (forse già in seconda lettura al Senato) sul fronte dei produttori medi e piccoli. Ma ha anche aggiunto che la novità rappresenta un segnale per tutto il settore, e di fronte a certe affermazioni nutrire speranza per il futuro è un esercizio davvero complicato.

Ma al di là delle ultime considerazioni, il punto è un altro. Quanto accaduto giovedì scorso è interpretabile come una resa finale dei conti, come il bilancio di anni di lotte dell’intero comparto. E la scelta della politica ha smascherato la terribile fragilità delle istanze del nostro movimento, tenute in così poca considerazione da essere sbeffeggiate con una risibile riduzione delle accise. In questi anni Unionbirrai ha investito gran parte delle (poche) risorse disponibili per raggiungere questo obiettivo, fallendo miseramente (almeno finora) nonostante il grande sforzo profuso. Oggi è impossibile non domandarsi quanto sia stato corretto battere questa strada con tale decisione, sebbene fosse sorretta anche da questioni etiche molto giuste. Insomma, improvvisamente sembra che anni di sforzi economici e personali siano andati totalmente in fumo.

Quanto accaduto giovedì scorso però è anche il pretesto per una riflessione sull’intero movimento e su come è evoluto negli ultimi anni. Un’evoluzione che non ha disdegnato il compromesso, paradossalmente proprio quando il comparto avrebbe dovuto prendere le distanze da una certa concezione di birra. Un’evoluzione che non è stata capace di aggregarsi davvero intorno a un ente di rappresentanza, per responsabilità che sicuramente sono da ambo le parti. Vediamo che succederà con la formulazione finale della Legge di Bilancio. Intanto ciò a cui abbiamo assistito è qualcosa di profondamente sconfortante.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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9 Commenti

  1. Come volevasi dimostrare. Una riduzione ridicola delle accise favorisce di fatto l’industria, sia perché coi loro volumi il tutto si moltiplica, sia perché l’industria ha l’obbiettivo di ridurre il più possibile i prezzi, anche a scapito delle qualità naturalmente. Mentre per chi vende la birra carissima, l’accisa è un falso problema. Sarebbe stato invece auspicabile una normativa diversa, per la quantificazione dell’accisa per i micro birrifici, visto l’inutile e pesante burocrazia ed i costi che questa comporta, ma per questo servirebbe un’associazione di categoria forte, che ad oggi non c’è.

  2. Dopo anni di aumenti delle accise, siamo di fronte ad un’inversione di tendenza, anche se piccola, è pur sempre qualcosa. Io di questi tempi non butterei via nulla.

    • Si Fabio sembrano i dati di crescita del governo: + 0,3%. Va bene vedere il bicchiere mezzo pieno, ma di questo passo cambierà sostanzialmente qualcosa nel 2083.

  3. Interessante la tabella sotto, che indica il “costo” dell’operazione per lo Stato: 4.800.000 (una bazzecola sul bilancio dello stato) equamente spalmati su tutta la produzione brassicola italiana, industriale e non. Il riconoscimento degli scaglioni, invece, avrebbe fruttato di più chi produceva di meno, quindi sarebbe andato in larga misura ai microbirrifici. Credo sia bastata una telefonata di Assobirra a far cambiare il processo di “scontisca” che era stato costruito con fatica in anni di lavoro da Unionbirrai. Niente avviene per caso, qui la mancanza cronica dei soldi non c’entra, si potevano benissimo applicare gli scaglioni, ma non si è voluto (politcamente) fare.

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