A Roma gli appassionati di birra non hanno certo di che lamentarsi: la miriade di pub, beershop, birrerie e altre attività analoghe ha reso la città il fulcro della rivoluzione artigianale in atto in Italia. Eppure c’è un aspetto brassicolo che non ha seguito questa esplosione in atto nella Capitale e che può essere riassunto con un semplice nome: brewpub. Incredibilmente, infatti, fino a qualche mese fa non esisteva ancora un locale con produzione all’interno del GRA, a parte due casi che per un motivo o per l’altro non possono essere considerati brewpub a tutti gli effetti: l’Atlas Coelestis, che si può definire più un ristorante con birra realizzata in loco – non si può semplicemente bere – e la Birreria di Eataly, che chiaramente ha una natura molto particolare. Questa situazione è finalmente cambiata con la recente inaugurazione del Birstrò, di cui finalmente vi parlo su queste pagine.
Il Birstrò si trova nel cuore del quartiere Pigneto, zona di Roma che negli ultimi anni ha registrato l’apertura di diversi locali. Il brewpub è di dimensioni contenute e si sviluppa in una singola sala di forma quadrata, nella quale trovano posto i tavoli e le sedie. Tutto quindi è piuttosto raccolto, ma gli spazi sono sfruttati in modo ottimale: i tre lati del locale ospitano infatti il bancone (a destra), la cucina (in fondo) e l’impianto di produzione a vista (a sinistra). Gli interni sono arredati in modo semplice e non particolarmente coinvolgente, con pochi orpelli e le solite lavagne ormai elemento imprescindibile. A occhi meno esperti del sottoscritto, la presenza dell’impianto deve sicuramente fare la sua porca figura.
Come già accennato in un passato articolo, il nome del locale rivela la sua forte propensione verso l’aspetto gastronomico. Segno dei tempi che corrono: probabilmente pochi anni fa nessuno avrebbe pensato che il primo brewpub urbano della Capitale avrebbe avuto un’impronta del genere. La scelta del nome è forse azzardata, perché nel caso di luoghi di questo genere l’appellativo ha per forze di cose una doppia valenza: così “Birstrò” mi sembra più indicato, appunto, per un locale che per un marchio di birra. Parere che si riferisce a dettagli puramente commerciali e che quindi ha valenza davvero minima.
A ogni modo il nome è assolutamente giustificato dall’offerta gastronomica, con un menu non molto ampio, ma ben assortito e intrigante. Tra gli antipasti c’è persino un omaggio al ristorante stellato Colline Ciociare (l’ottima cipolla fondente), dove lo chef (fratello del birraio) ha lavorato in passato. Per il resto tra primi, secondi e dolci c’è davvero l’imbarazzo della scelta e il livello qualitativo si mantiene sempre su standard elevati, soprattutto per un locale di stampo birrario. Da questo punto di vista il Birstrò si inserisce quindi perfettamente nella nuova corrente di ristopub romani, con risultati anche migliori di nomi ben più blasonati.
Dietro al bancone si muove Claudio Angelilli, che è anche il birraio del Birstrò. Come detto l’impianto, uno Spadoni da 300 litri, è visibile e separato dal resto del locale da pareti trasparenti. Le dimensioni sono contenute, ma per il momento le cotte mensili non sono tantissime, segno che dunque le richieste del posto sono ampiamente soddisfatte. E anche in futuro è difficile che possano sorgere problemi di sottodimensionamento, dati gli spazi non immensi del locale. Insomma, la configurazione attuale dovrebbe permettere a Claudio di lavorare in tranquillità negli anni a venire.
Attualmente il Birstrò ha alla spina tre sue produzioni, alle quali nei mesi scorsi si è aggiunta temporaneamente una stagionale. Le ricette hanno chiaramente ancora bisogno di alcuni accorgimenti, ma il percorso intrapreso mi sembra promettente e molto interessante. In particolare non si può non notare una certa lontananza dalla moda del luppolo a go go: in tutte le birre si cerca di dare a questo ingrediente il giusto peso, senza forzarlo mai a essere protagonista unico della ricetta.
La Prima (5,5% alc.) è una Golden Ale con una nota dominante di crosta di pane e cereali e con un corpo leggero e funzionale alla bevuta. Meno luppolata di altre interpretazioni moderne, risulta tuttavia abbastanza secca. Rimane un po’ “grassa” (leggero diacetile), ma in generale è piuttosto piacevole. La Pigneta (7% alc.) è un’immancabile IPA, che comunque si mantiene su standard anglosassoni classicheggianti. Tradotto significa spazio alla parte maltata e luppolo in evidenza, ma in modo delicato. C’è un’impronta un po’ troppo decisa degli esteri (soprattutto a livello olfattivo), ma il risultato è sicuramente apprezzabile, anche perché offre qualcosa di diverso in una tipologia altamente inflazionata. La Trip-Hop (7,8% alc.) è invece una Tripel che gioca molto sui toni dolci, ma alla quale manca la secchezza tipica dello stile. Per ammissione dello stesso Claudio le prossime cotte ricercheranno una maggiore attenuazione, che sicuramente servirà a rendere più bilanciata ed elegante la birra. Come già accennato, comunque, l’indirizzo scelto per le ricette lascia ottimisti per le future evoluzioni dell’offerta brassicola del locale.
L’idea è che dunque il Birstrò sia al momento un indirizzo molto interessante per ogni appassionato, con la sensazione che in futuro possa crescere ulteriormente. Chi si aspetta il classico brewpub incentrato quasi esclusivamente sulla birra, si troverà di fronte a una realtà completamente diversa. Questa non è una birreria: non c’è gente che si accalca davanti al bancone, né ci sono orde di ragazzi che bevono fuori, davanti all’entrata. L’impressione è di entrare in un moderno bistrot, con il dettaglio – tutt’altro che trascurabile – di avere birra prodotta in loco. Che vi piaccia o meno, questo è il nuovo trend dei locali romani e la moda è arrivata a influenzare anche l’impostazione del primo brewpub della città. Ma al di là di simili considerazioni, è innegabile che il Birstrò sia un luogo da tenere in considerazione e seguire con attenzione, soprattutto per noi appassionati di birra artigianale.
Birstrò
Via Luigi Filippo De Magistris 64
00176 Roma
Tel. 0697600054
Un sentito in bocca al luppolo ai ragazzi che stanno facendo un ottimo lavoro da mesi e complimenti per l’accoglienza e l’umiltà.
il nome, scritto Beerstrò ma con la stessa pronuncia, esiste già dalle parti di Milano.
più in generale, inoltre, i nomi derivanti da giochi di parole con le parole birra/luppolo/beer hanno stancato perchè li usano tutti ormai. al prossimo locale consiglio nomi tipo “rutto libero” o “omo de panza”
Che tipo di impianto hanno?? Quanti Hl??
L’ho scritto nell’articolo
LOCALE MOLTO CARINO. COMPLIMENTI PER L’IDEA E LA SCOMMESSA INTRAPRESA. LUI E LEI SONO MOLTO CORDIALI GENTILI NEL RISPONDERE A QUALSIASI DOMANDA. UNICA NOTA NEGATIVA TROPPI UN POCHINO ALTI RISPETTO ALLA MEDIA DELLA ZONA (SIAMO AL PIGNETO E’ !!!!!!!)