La panoramica di oggi sulle nuove birre italiane si apre con il birrificio Monpier de Gherdeina, che recentemente ha annunciato ben quattro produzioni inedite. La prima si chiama semplicemente Farmhouse Saison (7,9%) ed è realizzata lasciando riposare 18 mesi in botti di rovere la Piersech, una Saison rifermentata con miele di bosco che fa parte della gamma base dell’azienda. Le note speziate e mielose della Piersech si fondono con i sentori selvatici del Brett e di yogurt dei batteri lattici e nonostante l’acidità rimane una birra piuttosto delicata. La Red Flemish (6,6%) appartiene invece all’omonimo antico stile delle Fiandre e ne segue fedelmente il processo produttivo: è infatti il frutto di un blend tra diverse birre affinate in legno almeno un anno e mezzo e poi miscelate per esaltarne il carattere acetico, che accompagna i toni vinosi, di legno e vaniglia. Come tutte le Flemish Red Ale è un prodotto che può spiazzare al primo assaggio, ma che poi si lascia apprezzare per le sue numerosi sfaccettature aromatiche.
La terza novità di Monpier de Gherdeina si chiama Rumbleale (7,6%) ed è definita Sour Amber Ale. La base di partenza è la Odles, una classica Amber Ale di stampo anglosassone, che in questo caso è stata lasciata maturare 14 mesi in botti ex-Rum con l’aggiunta di spezie. Il risultato è un’evoluzione della birra da cui trae origine, in cui i classici richiami al biscotto e al caramello sono impreziositi da decise pennellate di vaniglia, cantina e cuoio. A livello gustativo invece emerge la nota acida, frutto dell’innesto spontaneo dei microrganismi presenti nelle botti. L’ultima inedita è stata infine battezzata Wild Lichtenhainer (4,7%) e si ispira all’antichissimo stile originario della Turingia, acido e affumicato allo stesso tempo. Realizzata in collaborazione con Albirrificio di Aosta, si contraddistingue per il ricorso a un’alta percentuale di frumento Rauch (50%) e per l’inoculo di lattobacilli.
Dalla Val Gardena spostiamoci in Umbria, dove anche Birra Perugia (sito web) ha finalmente deciso di affidarsi alle lattine come contenitore per le proprie creazioni (in questo caso mantenendo il vetro). Per lanciare la novità ha scelto di dedicare all’alluminio una linea apposita, denominata Can Project e composta da ricette ad hoc, particolarmente adatte alla lattina. Tra le prime tre birre della gamma compare una new entry assoluta, battezzata 4 a 3 (4,3%): agli amanti del calcio il nome suonerà particolarmente piacevole ed è perfetto per riassumere le peculiarità di una Pils che si muove tra la tradizione tedesca e la modernità tipica delle Italian Pils. Questa ambivalenza si ritrova anche nelle varietà di luppolo utilizzate (l’austero Tettnanger e il vivace Solero), che contribuiscono alla formazione di un ventaglio aromatico fragrante e appagante e che anticipa una straordinaria facilità di bevuta. Le altre due birre iniziali della linea Can Project sono la Cosmo Rosso e la DDC, entrambe mai confezionate in bottiglia (né in lattina ovviamente).
Nonostante le restrizioni ormai vigenti da un anno, i birrifici italiani continuano a sfornare birre collaborative. L’ultimo esempio arriva dalla Sardegna, dove il Birrificio di Cagliari ha recentemente annunciato la Portace N’artro Fico (5,2%), realizzata insieme al produttore marchigiano Babylon (sito web). La ricetta – alla stesura della quale ha partecipato attivamente Adriano Giulioni, recentemente uscito da Babylon – parte dalla base di una classica Bock chiara di stampo tedesco, aromatizzata però con un ingrediente tipico dell’isola: il Nero di Chia, pregiatissimo fico nero diffuso nell’area sud-occidentale della Sardegna. Per quanto riguarda il grist, invece, i malti utilizzati sono Pils, Vienna, Cara hell e Munich. Il nome è un’allusione alla presenza di un altro fico (in questo caso d’India) che contraddistingue una celebrata creazione del Birrificio di Cagliari. Di quale birra stiamo parlando?
Si conferma attivissimo sulle birre luppolate il birrificio Porta Bruciata, che un paio di settimane fa ha annunciato la sua nuovissima Controfiocco (6,2%). Il modello di riferimento è quello delle immancabili DDH IPA, cioè American IPA dal profilo aromatico molto intenso grazie al ricorso di una generosa luppolatura a freddo (DDH sta per double dry hopping). Le varietà impiegate sono Simcoe e Mosaic, mentre la fermentazione è ottenuta tramite lievito Vermont. Siamo quindi ancora nell’ambito delle IPA moderne che strizzano l’occhio alla East Coast degli Stati Uniti, ipotesi confermata dalla presenza di una percentuale di avena nella base fermentescibile, utilizzata per fornire morbidezza a livello tattile. Il nome della birra è un chiaro riferimento al mondo nautico e più in generale al mare, cui Porta Bruciata conferma di essere particolarmente legato.
Concludiamo la carrellata odierna con due novità provenienti dallo storico birrificio Bi-Du (sito web) ed entrambe prodotte con l’aggiunta di canapa sativa (ovviamente THC free). La Amber Weedu (6,5%) parte da una Amber Ale e risulta intensa e complessa, con toni erbacei, resinosi, fruttati (frutta rossa) e speziati (pepe rosa). Al palato risulta equilibrata, con un leggero amaro finale che ne amplifica la sensazione di freschezza e prepara la bocca per il sorso successivo. La Blonde Weedu (5%) gioca invece più sull’eleganza, con note di fiori, scorze di agrumi, miele millefiori e un erbaceo pungente. Facilissima da bere, di contraddistingue per pulizia, equilibrio e persistenza, nonché per un’aroma di canapa che chiude la bevuta.
Figu Morisca ! Come rendere strepitosa una blanche.
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Le ricette particolarmente adatte alla lattina, mancavano davvero.