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Riferimenti illustri: quando i nomi delle birre non lasciano spazio a dubbi

Uno degli aspetti più interessanti del mondo della birra è che consente spesso un approccio informale, fuori dalle regole e talvolta provocatorio. È questa impostazione, ad esempio, che da sempre caratterizza un marchio come Brewdog, capace di diventare il colosso che oggi tutti conosciamo grazie a una comunicazione aggressiva e spregiudicata. Ma senza riferirsi necessariamente a casi eclatanti e a strategie così ben strutturate, la birra artigianale permette di giocare anche solo con elementi minimi, come i nomi e le etichette. Basta limitarsi ai microbirrifici italiani per trovare decine di creazioni con richiami a personaggi importanti, film, gruppi musicali o altri prodotti dell’industria culturale. Una soluzione che, se ben studiata, genera interesse e divertimento nel consumatore finale, che magari trova elementi di affinità con quel produttore. I richiami quasi sempre sono vaghi e accennati, ma esistono alcune birre in Italia che già nel nome lasciano pochi margini di interpretazione. E che per questo motivo si posizionano in un territorio di confine. Vediamo qualche caso illustre.

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Uno dei primi casi che personalmente ricordo è quello del Birrificio del Ducato e risale al periodo in cui l’azienda emiliana era ancora indipendente. Se non sbaglio eravamo alla fine degli anni 2000 quando il produttore lanciò la sua Campari Bitter, battezzata così per un gioco di parole tra il nome del birraio (Giovanni Campari) e lo stile della birra, per l’appunto una Bitter. Trovata geniale e simpatica, che però comportava giusto qualche migliaia di problemi in termini di copyright. Non a caso il gioco durò poco e il Birrificio del Ducato decise che tutto sommato non conveniva suicidarsi per il nome di una birra. Da quel che riporta Una birra al giorno, già a luglio del 2011 la Campari Bitter era scomparsa dal mercato. Chissà oggi che ne penserebbe Duvel – l’industria belga che attualmente controlla il birrificio – di un’idea del genere.

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Idea simile a quella che perseguì qualche anno dopo il birrificio White Dog, ma in questo caso mi affido totalmente alla mia memoria – e al supporto di qualche amico – perché incredibilmente non si trovano informazioni in rete. Per chi non lo sapesse White Dog è un produttore della provincia di Modena, fondato e gestito da Stephen Dawson, birraio inglese di Brighton trasferitosi in Italia. La sua gamma è quasi totalmente incentrata sui classici stili anglosassoni, eppure anni fa se ne uscì improvvisamente con una birra alle ciliege che battezzò con un gioco di parole. A questo punto forse ci sarete arrivati: stiamo parlando della Dawson’s Kriek, una birra prodotta in quantità limitatissime la cui esistenza si esaurì nell’arco di una stagione. Giusto il tempo di evitare l’ira di qualche mega produttore televisivo americano.

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Tuttavia più facilmente il gioco di parole non incorpora il nome del birraio, bensì le caratteristiche della birra. E qui gli esempi sono molteplici e diversi tra loro, ma quasi sempre presentano un filo conduttore: riferirsi cioè a un personaggio famoso. Prendete la Bread Peat di Antica Contea (sito web): quale donna non vorrebbe assaggiarla? Come prevedibile si tratta di una birra dal profilo torbato grazie all’uso di malto speciale, innestato sulla base di un’alta fermentazione di colore ambrato. Una sorta di “pane liquido torbato”, come il nome suggerisce, anche se il primo collegamento che salta in mente è ovviamente con Hollywood e l’industria cinematografica.

Per restare nei confini della televisione nostrana, ormai più di cinque anni fa il birrificio Badalà (sito web) e il Diorama di Firenze (sito web) si unirono in una collaborazione da cui scaturì la Amara Maionchi, definita “Angry IPA” per suo carattere deciso e perentorio, un po’ come quello della famosa produttrice discografica. La birra ebbe un ottimo riscontro di pubblico, tanto che nel 2018 il birrificio e il locale decisero di cambiarne leggermente la ricetta per restare al passo coi tempi – in praticano mantennero gli stessi ingredienti, variandone le percentuali.

C’è infine un birrificio italiano che ha addirittura adottato questo approccio come propria linea di comunicazione per alcune sue birre: parliamo di Railroad Brewing, azienda operante a Seregno (MB) dal 2013. Tra le sue creazioni si segnalano Beerlusconi (una Pils), Gerry Scottish (una Scottish Ale, ma priva di riso), L’Apa Elkann (un “stupefacente” American Pale Ale), Ripa Pavone (presumibilmente un’India Pale Ale) e Apa Francesco (un’altra American Pale Ale) tutte accompagnate dall’immagine del rispettivo vip. Una scelta che segue il successo ottenuto da alcune creazioni della stessa azienda nate in collaborazione con altrettanti (ex) protagonisti del mondo del calcio (Marco Negri, i gemelli Filippini, Bruno Pizzul), ma è evidente che nei casi illustrati Railroad si muove in un campo leggermente diverso.

Avete altre birre italiane da aggiungere a questo elenco?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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8 Commenti

  1. Bellazzi: Fresh prince of Bellazzi, Red Hot Hops chilli peppers, orange is the new black

    Bad attitude:Kurt, Dude

    Brewfist: Czech norris

  2. Hello Speck (Hello! Spank – cartone animato giapponese trasmesso in Italia a fine anni 80-inizio 90) del birrificio La Fucina.

  3. Ma l’utilizzo delle immagini dei “vip” è permesso? Non si viola qualche legge?
    Lo chiedo solo per curiosità, senza polemica.

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