Dopo aver dato uno sguardo al ritorno che un marchio di successo può generare (Beer Marketing Awards), parliamo ora di come un marchio lo si crea. Ho avuto il grande piacere di seguire da vicino la nuova avventura di Marco Valeriani e dei suoi partner, lavorando con la mia agenzia alla creazione della brand identity di Hammer. Vorrei quindi raccontarvi il processo creativo che porta alla nascita di un marchio attraverso un esempio tangibile e recente come questo.
In cosa consiste questo “processo creativo”? A me piace definirlo come la traduzione visiva di una storia. Dietro la maggior parte delle realtà imprenditoriali, più o meno artigianali, ci sono storie fatte di dedizione, entusiasmo e coraggio che meritano di essere raccontate, anche visivamente. Soprattutto in un mondo come quello odierno in cui il potere delle immagini assume sempre maggiore importanza.
Un’immagine o un elemento grafico sono in grado di amplificare il contenuto di un messaggio rendendolo più immediato, memorabile e quindi efficace. Basta pensare a come noi o i nostri “contatti” usiamo sempre più frequentemente (se non esclusivamente) immagini per accompagnare i nostri post sui social media. Sono convinta che lo “storytelling visivo” parte dall’immagine di marca. Proprio questa convinzione mi ha fatto appassionare al mondo del graphic design e spinto a fondare ByVolume.
Ma qual è il primo passo nella creazione di un marchio? Tutto parte dal naming, nel caso di Hammer già definito dal cliente. Ogni nome porta con sé significati, riferimenti e valori che devono essere coerenti con la filosofia dell’azienda e altrettanto coerentemente devono essere espressi dall’immagine di marca. Il primo importante step è stato quindi approfondire le ragioni del nome “Hammer”.
Le origini di questa scelta affondano nel mondo del lavoro manuale e artigiano: un martello che con forza e precisione modella materiali per creare oggetti. Abbiamo scavato nella storia dei fondatori per meglio capire questo interessante concetto. Hammer nasce dalla passione di Fausto Brigati per la birra artigianale. Dopo aver avuto la fortuna di conoscere Marco in un pub e avergli presentato il progetto che da tempo aveva in mente, Fausto ha coinvolto in questa avventura anche suo fratello e suo padre (Roberto e Angelo Brigati) e il birrificio Hammer è diventato realtà. Ma il background professionale di Fausto inizia in un settore ben diverso, quello delle molle.
L’utilizzo di metalli e leghe diverse è alla base della lavorazione delle molle così come lo è la componente umana e artigiana, seppure oggi molto supportata dalla tecnologia. Con il resto del team ByVolume ci siamo quindi focalizzati su tre aspetti di questa storia: l’importanza data alla manualità del lavoro, i metalli caratterizzanti le molle e il martello scelto come simbolo di artigianalità. Per trasmettere questi concetti in un’unica immagine, anziché re-iterare visivamente il martello già espresso dal nome, abbiamo voluto dare predominanza al font, alle forme e ai “materiali” con cui il logo è realizzato.
Ci siamo ispirati al marchio a fuoco (fire branding), ancora oggi utilizzato come simbolo e garanzia di qualità per alcuni prodotti alimentari. La marchiatura a fuoco avviene tramite un “branding iron”: uno strumento di ferro alla cui sommità vi è il marchio che si vuole imprimere e che in passato veniva modellato battendo il ferro a martello. Il logo Hammer è proprio l’estremità del branding iron, battuto a martello, che Valeriani e i Brigati sono pronti a imprimere su tutte le loro birre.
Una volta definito il logo siamo passati al packaging: primario (etichette e bolli) e secondario (cartoni). Sulle etichette il lavoro difficile è stato quello iniziale, di impostazione del layout e scelta dei contenuti da includere: cosa dover inserire (diciture legali) e cosa voler inserire (informazioni accessorie). Anche questo processo è iniziato con un brief da parte del cliente. Come non smetterò mai di ripetere la qualità del brief ricevuto determina in maniera decisiva il successo di un progetto.
L’idea alla base delle etichette è stata la volontà di Hammer di dare informazioni chiare al consumatore. Diciture in etichetta limitate quindi a quelle di legge e arricchite solo da pochi elementi che aiutano il consumatore a conoscere, conservare e consumare il prodotto. Stile molto pulito, minimal; fondo bianco e diciture in doppia lingua in ottica di export; enfasi sull’indicazione dello stile; poche informazioni ma chiare. Fra queste, in particolare, vi è la “tabella di prodotto” che con tre informazioni chiave – colore, carattere e forza della birra – e relativi cursori, guida in un colpo d’occhio il consumatore nell’identificazione della tipologia di prodotto.
Una volta definito il layout, siamo passati alla scelta dei colori: per ogni birra abbiamo definito un colore pantone di riferimento e creato quindi, a monte, una cartella colori per tutte le birre della famiglia Hammer. Crediamo molto nella visione di insieme che una famiglia di prodotti deve avere. Definiti layout e colori, siamo infine passati allo sviluppo delle singole etichette e alla loro declinazione sui bolli spina.
Similmente alla creazione del logo, il lavoro sulle etichette è iniziato dai nomi delle birre, scelti anche in questo caso dal cliente. La “traduzione grafica” è stata ancora una volta il frutto di una nostra ricerca delle motivazioni e nostra interpretazione visiva delle stesse. Per Westfalia per esempio – nome della regione tedesca ma anche dell’iconico camioncino – abbiamo voluto rappresentare il senso di libertà, contatto con la natura e possibilità di viaggiare di cui quel camioncino è diventato un simbolo.
Come ultimissimo, ma non meno importante step, abbiamo supportato il cliente nel contatto con gli stampatori, per tutti gli aspetti tecnici di grafica e stampa, e con il fotografo (Daniele Grizzi), per la realizzazione degli scatti di bottiglie e bicchieri.
Così nasce quindi un marchio, dalle storie delle persone che vi sono dietro; dalla volontà di raccontare il proprio punto di vista; dal desiderio non solo di fare, ma anche di comunicare qualità.
E per non dimenticare che questo articolo fa parte di una rubrica “fuori stile”, in quanto mira a scardinare l’errata convinzione secondo cui il marketing è un male per la qualità del prodotto, chiudo con una citazione del graphic designer americano Paul Rand, proprio sulla relazione fra la qualità del logo e quella del prodotto che esso rappresenta.
Should a logo be self-explanatory? It is only by association with a product, a service, a business, or a corporation that a logo takes on any real meaning. It derives its meaning and usefulness from the quality of that which it symbolizes. If a company is second rate, the logo will eventually be perceived as second rate.