Nel nostro viaggio tra le tipologie brassicole poco diffuse, poniamo oggi l’attenzione sulle Irish Red Ale, rappresentanti di uno stile che, nel nome, tradisce la provenienza geografica e usa (cosa più rara) un aggettivo qualificativo che si riferisce all’elemento cromatico. In tutti questi anni di attenzione alla fase visiva della degustazione, ci siamo resi conto che le birre che per decadi ci avevano raccontato come rosse sono, invece, ambrate. Esattamente il caso delle Irish Red Ale, il cui riferimento al colore probabilmente deriva dal fatto che possiedono nuance vagamente ramate: una caratteristica che ha finito per inquadrarne tinta e nome. Anche in questa occasione proporremo abbinamenti intriganti e non scontati.
Origini e caratteristiche delle Irish Red Ale
Quasi certamente nate come adattamento irlandese delle Bitter britanniche, dal punto di vista dell’analisi si presentano ambrate o ramate, con una discreta testa di schiuma e una carbonazione media, offrendo note di biscotto e sfumature zuccherine di caramello. In bocca sono delicate e maltate, facili da bere e poco impegnative, con una chiusura apprezzabilmente secca e arricchita dai gustosi ritorni delle tostature. La gradazione alcolica è intorno al 4,5%, ma le versioni export risultano lievemente più alcoliche. Il luppolo, come nella migliore tradizione dell’isola di Smeraldo, è ingrediente secondario, anche se molti giovani artigiani stanno reinterpretando lo stile con generosi dry hopping, spesso operati con esclusivo utilizzo di luppoli americani: scelta che appare poco sensata, poiché tende ad omologarle ad altri stili.
In abbinamento le scelte devono prevedere piatti non eccessivamente strutturati: la descrizione testé fatta, ci spinge a pensare che questo genere di portate surclasserebbero il liquido odoroso, rendendo vana la logica di valorizzazione reciproca, tipica del matrimonio cibo-birra.
Strudel salato
Cominciamo da un piatto di quelli che rappresentano dei veri e propri jolly in un pasto: strudel salato con primo sale di pecora, zucca, porro e noci, con pepe e laccatura di semi di girasole e papavero. La birra sarà in grado di tenere il punto e accompagnare, offrendo l’appoggio di tostature, caramellizzazioni e aromaticità “dolci” ed essendo in grado di chiudere il sorso con un tenue finale amarognolo.
Sfilacci di cavallo
Altra opzione di abbinamento, gli sfilacci di cavallo con olio a crudo. Gastronomicamente trascurata, nonostante i prezzi incoraggianti delle carni e le loro evidenti proprietà nutrizionali (magrezza, generose fonti di ferro e vitamine del gruppo B), la carne di cavallo può fornire una materia prima prodiga di possibilità. In questo caso parliamo di un salume la cui nascita è certificata a Padova, realizzato dalla parte più magra della coscia: viene salata, lasciata maturare per circa due settimane e poi messa ad asciugare (per un mese circa) all’interno di grandi camini, processo che gli conferisce la lieve nota affumicata. A questo punto, i pezzi anatomici vengono battuti, riducendoli a filamenti, come poi appaiono al momento del consumo. Che avviene come per un carpaccio, facendo risaltare le tendenze dolci e l’intensità, ben valorizzate da un filo di EVO.
Qui la birra ha una funzione valorizzante: incrociando i malti con la parte affumicata provoca un piacevole cortocircuito gustativo e riesce a detergere la bocca dalla leggera untuosità dell’olio a crudo. Il gaudio massimo dalla semplicità minima.
Minestra di fagioli
Proseguiamo il nostro menu con la minestra di fagioli del purgatorio con pepe di Sarawack presidio Slow Food. Un piatto che tende alla confidenza e all’intimità, le cui rotonde simmetrie vengono messe a soqquadro da questo straordinaria spezia: i profumi di brodo vegetale (che ne compone la base) e la poca conserva di pomodoro presente fanno da morbido sussidio per permettere al pepe di sprigionare pungenza e potenza aromatica. Coinvolgente. La birra dialoga benissimo con un piatto così: già idealmente sono due profili che funzionano, umili e lontani da necessità di protagonismo. A livello concreto i malti della birra, propone le suggestioni tostate e caramellate che vanno particolarmente in accordo con le note dolci della minestra e dei fagioli in particolare, lasciando spazio all’esuberante espressione aromatica del pepe, mediata dall’impatto con la birra.
Gunkan di palamita
Altra possibilità, il gunkan di palamita (simile al tonno, ma preferibile per motivi ecologici). Un amouse-bouche alla giapponese, un bocconcino a forma di barchetta (il termine giapponese significa “nave da battaglia”), frutto della “nastratura esterna” con alga Nori che avvolge la base di riso e i tocchetti di palamita speziata. Si serve accompagnata da una quantità letteralmente omeopatica di salsa di soia (o wasabi). Un piatto raffinato e giocato esclusivamente sulla qualità della materia prima: la birra è compagna apprezzata nel percorso di corteggiamento reciproco, offrendo le sue tendenze dolci a queste carni sode e saporite, già parzialmente riequilibrate dal lavoro di tamponamento del riso, ed essendo in grado di chiudere il sorso con dignità e soddisfazione.
Fragolino alla piastra
Ultima proposta, il fragolino alla piastra (pagellus erythrinus): pesce frequente nei mari delle nostre latitudini e valida (e più sostenibile) alternativa alle specie commercialmente più conosciute. Ha carni sode, rosate con venature argentee, gustose, ideali per questo tipo di cottura, completata semplicemente da un giro d’olio. Il lavoro della birra in questo caso sta semplicemente nella capacità di accompagnare, andando incontro alla delicatezza umami e ammorbidendo le carni, caratterizzate da discreta tenacia. Si forma una coppia che gode della semplicità dell’incontro e dell’armonizzazione tra sapidità e tendenze dolci, con un finale di bocca elegante e suggestivo.