Anche se con la rivoluzione artigianale praticamente non esiste stile che non abbia avuto tentativi di imitazione, repliche o interpretazioni, le Schwarz rappresentano una tipologia dalle teutoniche origini che non capita di bere di frequente. Originarie della Turingia, come molti degli stili regionali tedeschi, ha realmente rischiato di scomparire dalle mappe brassicole sotto l’attacco dell’omologazione industriale birraria. Nel corso degli anni ’90 l’unico birrificio rimasto a produrla, Bad Kostritz, venne acquisito da un grande produttore tedesco: la fortuna fu che invece di “razionalizzare la gestione” – la ricetta aziendale più frequente, in queste situazioni, con il risultato di banalizzare lo stile – iniziò a vendere la specialità in tutta la Germania, facendola così conoscere a un pubblico più ampio e stimolandone (inconsapevolmente) apprezzamenti e voglia di produrla.
Le Schwarz sono basse fermentazioni scure e limpide, che suggeriscono note di caffè moka, terrose, pane di segale ed eventuali sfumature erbacee del luppolo. Completano il quadro delle sue peculiarità, la carbonazione viva, l’apprezzabile secchezza, la lievissima acidità tipica dei malti scuri, l’equilibrio tra la tendenza maltata e le assertive sfumature amare, la gradazione alcolica intorno al 5%. Per godere della migliore resa organolettica, in sala cotte i malti scuri del grist dovrebbero essere sottoposti al cold steeping, una lunga infusione dei chicchi in acqua fredda la cui risulta verrà aggiunta in bollitura, colorando il mosto. In questo modo le tostature verranno avvertite in maniera sottile, bilanciate dalla lieve dolcezza maltata.
Le Schwarz, dunque, sono uno stile peculiare e dall’insospettabile interesse: e allora perché attraggono così pochi bevitori? Un po’ la “colpa” è del colore (la parte dei bevitori meno edotta “teme” le birre dai colori scuri); un po’ è dei birrai che, nel tentativo di nobilitare alcuni stili meno noti, si esibiscono in ricette discutibili (ricorso a frutti esotici, speziature spericolate e “aggiunte” varie), che troppo spesso snaturano lo stile e/o non fanno guadagnare in bontà; infine – amerete sentirlo dire – un po’ anche del riscaldamento globale che allunga le stagioni calde (le temperature più alte, storicamente, ma inspiegabilmente, ne scoraggiano il consumo). Noi, per dimostrarne l’attitudine all’abbinamento l’abbiamo valorizzata a modo nostro, sperimentandola con qualche accostamento culinario.
Jambalaya
Partiamo dalla Jambalaya, piatto identitario della città di New Orleans, figlio dell’affascinante mescolanza della cucina cajun – come vennero chiamate le comunità francesi del Canada trasferite forzatamente dagli inglesi nel XVIII secolo nella città dove sfocia il grande Mississipi. Mostra un’evidente somiglianza con la paella, prevedendo crostacei, chorizo e verdure mescolati (ma non troppo) al riso, con la caratterizzante aggiunta speziata che dona prismatici risvolti aromatici e una piccantezza di media entità.
La Schwarz fa una bella figura: come tutte le “scure” ama i crostacei e la morbidezza dei malti funziona particolarmente bene con la generosità dell’umami e il carattere speziato, accompagnando il morso con persuasione. La presenza del riso aiuta a tamponare l’opulenza e l’untuosità del piatto, compito per il quale si avvale del supporto di una lieve acidità e della carbonazione.
Weißwurst
Altra possibilità, il Weißwurst: i wurstel bianchi della tradizione bavarese, prodotti con carne di vitello e maiale sminuzzata e generalmente insaporita con prezzemolo, limone e cipolla (e/o altre spezie), accostati al brezel e alla senape dolce (senf) e da gustare tradizionalmente a colazione. La leggenda narra che sia nato nel 1857 nella locanda di Sepp Moser, oste di Marienplatz, utilizzando un budello di maiale al posto di quello di pecora, ma esistono anche ricostruzioni storiche alternative. La colazione con la Schwarz è la partenza speciale in una giornata normale: la salsiccia bavarese mette in vetrina umami, sapidità, tendenza dolce e aromaticità variegata ma non eccessivamente intensa, la birra la sa accompagnare, ripulire, completare con il suo “complesso caffettoso”.
Tagliatelle con regaje di pollo
Terza proposta, tagliatelle con regaje di pollo, efficace espressione dialettale con cui a Roma si intendono le interiora del pollo (o di altri volatili commestibili). Parola che, come ci ricorda il dizionario Treccani, probabilmente viene dal latino regalia “da re, degni di un re” e assume il senso di “bocconi da re”. Curioso, visto che parliamo di una delle espressioni più umili della cucina romana. Ma sul fatto che siano buonissimi, sono davvero pochi dubbi.
I piatti di quinto quarto hanno sempre una tendenza al noir, vanno accompagnati con birre sintonizzate su questo genere di atmosfere: la Schwarz fa un lavoro intrigante, si accorda con la salsa lasciando spazio alle precipue note aromatiche, conduce le percezioni umami e aggiunge un tocco tostato che aiuta a chiudere il ricordo del boccone, dando il passo convinto per uno nuovo. Se si vuole colorare la salsa, che si scelga l’aggiunta di una manciata di pomodorini confit e non di copiose quantità di salsa: eventualità che sbilancerebbe l’abbinamento compromettendone l’esito.
Gelato di fior di latte di bufala
Chiudiamo la lista dei suggerimenti con un dessert semplicissimo: gelato di fior di latte di bufala senza zuccheri aggiunti (cui se volete potete aggiungere “polvere” di granella di nocciola): accogliente, ancestrale, materno. In generale, i latticini vanno d’accordo con birre che contano nella ricetta malti tostati: questa coppia non fa eccezione. Dunque, se gradite questo genere di incontri aromatici, avete trovato una delle vostre coppie gastronomiche perfette. In grado di far godere il dessert senza eccessi glicemici e lasciando una splendida, elegantissima sensazione “cappuccino”.