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Birre collaborative: in calo nel mondo, in crescita in Italia

La Tainted Love di Toccalmatto ed Extraomnes

Nel mondo della birra esistono determinati argomenti che attirano spesso le opinioni degli appassionati. Sono temi che qualcuno a un certo punto decide di trattare e che in breve tempo creano un pubblico dibattito con i contributi di tanti partecipanti. La discussione alla fine scema, finché qualcun altro, a distanza di mesi, rispolvera l’argomento alimentando di nuovo il dibattito. In questa categoria di topic evergreen rientra perfettamente quello riguardante le birra collaborative, birre prodotte cioè da due o più birrai di comune accordo. Un trend controverso, nato in modo curioso (vi rimando all’articolo in cui parlai della Collaboration not Litigation) e che si è sviluppato rapidamente con evoluzioni molto particolari.

Il tema è stato riproposto in questi giorni da Andy Crouch – in realtà ha parlato anche dei cocktail alla birra, ma quella è un’altra storia… – e quindi ripreso e commentato da tanti altri appassionati. L’autore di BeerScribe.com afferma che le collaboration brew si concretizzano spesso in inutili accozzaglie di ingredienti e aromi diversi, che creano grezza complessità laddove non è richiesta. A suo parere simili birre non sono l’espressione della creatività dei birrai, che invece si manifesterebbe in modo più realistico quando esistono delle regole già tracciate da qualcun altro (ad esempio restando nei confini degli stili birrari tradizionali).

L’opinione di Crouch sarà sicuramente condivisa dai tanti che non amano le birre collaborative. I motivi sono diversi: sono spesso esperimenti nati sul momento, che vengono proposti al consumatore senza una precedente rifinitura della ricetta; talvolta rappresentano semplici operazioni commerciali con le quali i birrifici coinvolti tendono a mettersi in luce, facendo passare la birra in secondo piano; in certe occasioni sono un miscuglio di ingredienti diversi, proposti senza una reale coerenza brassicola – un esempio su tutti? L’Imperial Stout danese prodotta da sette diversi birrifici.

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L’eccezione a queste regole è rappresentata da tutte quelle birre collaborative che sono ampiamente apprezzabili, o perché di ottima fattura o perché nate da idee intriganti. La mia opinione personale, però, è che spesso le produzioni a più mani sono interessanti per i birrifici e molto meno per i consumatori. A parte rare eccezioni, personalmente tendo sempre a guardare con sospetto alle collaboration brew, soprattutto quando nascono da idee che fatico ad accettare – il fatto che la tanto idolatrata I Hardcore You (Brewdog + Mikkeller) sia un semplice blend di altre birre mi manda al manicomio 🙂 .

Che siate fan o detrattori delle birre collaborative, mi sembra che ci sia un dato di fatto abbastanza evidente: rispetto al passato direi che il trend si è decisamente ridimensionato. Fino a qualche tempo fa ricordo che ogni settimana venivano annunciate nuove collaborazioni, con protagonisti sempre più improbabili e ricette sempre più assurde. Oggi direi che tutti i birrifici si sono dati un calmata, anche perché l’interesse che c’era nell’ambiente per simili produzioni è calato sensibilmente. Sarei propenso a ritenere che i consumatori si siano leggermente stufati di questa moda e probabilmente molti di voi concorderanno col sottoscritto.

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L’aspetto curioso – o forse neanche troppo – è che invece in Italia stiamo assistendo alla nascita di birre collaborative sempre più clamorose. All’ultimo IBF Toccalmatto ed Extraomnes hanno presentato la loro Tainted Love, una “black saison” nata per celebrare l’incontro tra due birrai che, fino a poche settimane prima, se ne dicevano di tutti i colori su blog e forum birrari. L’altra collaborazione da urlo è quella annunciata al recente Vinitaly tra Teo Musso di Baladin e Agostino Arioli del Birrificio Italiano. Per chi non li conoscesse, sono stati due pionieri del movimento italiano – a proposito, oggi il Birrificio Italiano compie 16 anni, auguri!

Quello delle collaboration brew è in Italia una tendenza sicuramente in crescita, alimentata recentemente anche dalla Rye’ccomi (Amiata + Lervig), dall’Overdose (Opperbacco + Foglie d’Erba + Dada), dall’Amarcord Riserva Speciale e dall’AMA Bionda (Amarcord + Brooklyn), dall’Italian Pilsner (Birrificio Italiano + Thornbridge), dalla Super Arrogant (Baladin + Stone) e via dicendo. Le iniziative in tal senso non sembrano fermarsi, anzi, come abbiamo visto, tendono a virare sempre più sull’elemento a sorpresa o a effetto.

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Non so se siete amanti delle birre collaborative oppure le detestate. Concludo però con un semplice test: siete in grado di ricordarvi in un minuto almeno cinque birre di questo tipo (italiane o straniere) che non ho citato nell’articolo in questione? Rispondete con sincerità.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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19 Commenti

  1. Sicuro che stia calando il trend?

    Secondo me, siccome ne stanno nascendo molte in italia quelle estere passano un po’ inosservate. Anche perché a chi importa da noi della stone al te verde per dirne una? 😀

  2. A memoria solo 3, ma sono molto recenti:
    – le birre di Buskers (posso essere considerate collaborative???)
    – La Zia Ale
    – la prossima collaborazione tra Teo Musso, Leonardo Di Vincenzo e Sam Calagione..

    altro non mi viene…m al’ora non è la migliore per ragionare..

  3. In un minuto mi sono balzate alla mente sicuramente Birra Del Borgo + Dogfish Head – My Antonia e Brewfist + Beer Here – Caterpillar e poi un po’ di straniere a caso che non elenco perchè non le ho ben chiare in mente, non avendole assaggiate di persona. Ho assaggiato la Tainted Love ad IBF, mi è piaciuta, ma mi piacerebbe reperirla e berla con più calma. Beh, poi ci sono in generale quelle dei birrai itineranti, che hanno fatto delle collaboration una filosofia (Buskers, che mi incuriosiscono molto, Mikkeller e via dicendo.)

  4. Io non vedo un diminuire delle collaboration: in Italia sono in crescita verticale, in Scandinavia non sono calate (anzi), pure i belgi sono coinvolti nel fenomeno (cosa fino a pochissimo tempo fa impensabile).
    Forse il punto di vista di Crouch è molto (troppo?) legato alla realtà in cui vive e poco aggiornato su quanto succede altrove.

  5. Beh la Caterpillar (beer here), la Elliot Brew (struise/mikkeller), la Black Damnation (struise/de molen), la Ottomana, Divine Rebel (brew dog/mikkeller)….

  6. Il confine tra le collaboration e le birre dei gipsy si va facendo sempre più sottile.
    Mi sembrano più un cartellino da timbrare: se sei qualcuno, lo devi dimostrare anche attraverso una birra fatta con qualcun altro di quelli che contano.
    Al di là di questo, su tanti esperimenti sicuramente qualche bella birra viene pure fuori.

  7. Tanta per mettere altra carne al fuoco il 13 e 14 giugno faremo una birra con Brian Strumke di Stillwater, un grande amante come noi del lievito saison e del Belgio.
    Certi treni passano una volta sola.

  8. Con grande orgoglio comunico che la prossima settimana sarà in Toccalmatto il grande Christophe del Mi Orge Mi Houblon di Arlon a brassare con il sottoscritto la nuova Nomad 2012…….
    La prima Nomad ..la 2011 è stata prodotto in Cantillon con il grande Jean Van Roy….

    Poi abbiamo in serbo varie altre collaboration Brew….tra l’altro anche con il nostro grande vicino di casa e amico Giovanni Campari con il quale stiamo pensando a qualcosina di estremamente interessante………

  9. A me interessano sempre tanto le birre nuove, mi piace l’ idea di assaggiare prodotti diversi per cui ben vengano le C.B. Al di là dei commenti sulla bontà sulle birre in collaborazione che ovviamente spettano ai consumatori, da produttore aggiungo che per quanto ci riguarda, l’ esperienza fatta con Mike di Lervig per la Rye’ccomi, è stata assolutamente costruttiva e piacevole. Ci piacerebbe fare qualche altra cosa anche con altri colleghi italiani se vorranno.Noi non sappiamo se questa birra incontrerà i favori degli appassionati, me lo auguro, ma alla fine l’ essersi confrontati con Mike è stato per noi un grande momento di crescita, dato che nessuno è perfetto e non si nasce imparati…come si dice in toscana.
    Le motivazioni che spingono alle collaboration, sono svariate..ti faccio rabbrividire ancora, caro Andrea, dicendoti che io, mike e Ryan di Grassroots abbiamo visto nascere i nostri figli nel 2011 e volevamo fare una sorta di celebrazione…spero presto si aggiunga Ryan alla prossima birra, della quale abbiamo già studiato la ricetta da tempo.
    @Marco, Sui costi come leggevo prima., tra voli aerei e camion di Amarillo e Simcoe per la Rye’ccomi ti sarà giunta notizia che hanno chiuso con le esportazioni di questo luppolo in America!!(e anche la nostra banca i fidi..)Ahah 🙂

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