In questi anni ci siamo abituati a vedere diversi birrifici craft americani passare sotto il controllo delle multinazionali, tanto da esserci presto assuefatti a notizie del genere. Questa crescente indifferenza però è stata spazzata via da quanto accaduto venerdì mattina (in Italia), quando è stato annunciato l’accordo tra il gigante giapponese Sapporo e il produttore californiano Stone. Nonostante le gravi difficoltà economiche del birrificio di Greg Koch, l’operazione ha destato grande clamore rappresentando per alcuni osservatori la fine di un’epoca. Stone ha infatti contribuito in maniera decisiva alla rivoluzione della birra artigianale negli USA, emergendo come una delle aziende brassicole più iconiche della storia del movimento internazionale. Dopo aver cresciuto intere generazioni di bevitori con le sue birre estreme, era diventato uno degli ultimi baluardi dell’idea di indipendenza nel segmento craft. Proprio per questa ragione l’accordo ha un peso simbolico eccezionale e dice molte cose su come sta evolvendo la birra artigianale negli Stati Uniti.
La fine della narrazione dell’indipendenza
Nell’aprile del 2016 Greg Koch fu in Italia per presentare il nuovo birrificio europeo di Stone, aperto in una location fantasmagorica nella periferia di Berlino. Una delle due tappe del suo tour italiano si tenne presso il Bir&fud di Roma ed ebbi la fortuna di essere tra i relatori di una serata che, con il senno di poi, risulta incredibilmente intrecciata con la stretta attualità . Koch avrebbe dovuto limitarsi a raccontare la sua nuova creatura, ma qualche giorno prima il movimento italiano della birra artigianale era stato sconvolto da una notizia storica: la cessione di Birra del Borgo alla multinazionale AB-Inbev. La vicenda dunque fornì il pretesto al fondatore di Stone per tornare su un tema per lui molto caro: la rivendicazione d’indipendenza da qualsiasi colosso del settore brassicolo. Erano gli anni dello shopping selvaggio dell’industria nel comparto craft americano ed europeo e Koch si era elevato a paladino della resistenza alle manovre delle multinazionali. Durante l’evento fu proiettata una video intervista al birraio californiano nel quale spiegava la sua visione di birra artigianale e di gestione del business, respingendo qualsiasi visione improntata alla semplice monetizzazione dell’azienda. L’intervista si chiudeva così:
Il mio ideale è restare coerente con i miei valori e con i valori che abbiamo costruito come birrificio insieme a tutte le persone che lavorano qui. E il mio ideale è più importante di qualsiasi assegno. Punto.
Sei anni dopo invece eccoci qui, con un accordo da 165 milioni di dollari e la cessione completa a Sapporo. Si potrebbe obiettare che all’epoca Koch si riferisse agli accordi con le multinazionali come unica strada per crescere nel mercato, mentre oggi è stato costretto a vendere per i pesanti debiti di Stone Brewing. Osservazione sensata, ma che di fronte alle nette prese di posizione del passato appare come un minuscolo dettaglio in una vicenda intrisa di incoerenza e ipocrisia. E questo sebbene il destino dell’azienda fosse segnato da anni, a causa della pesante crisi economica cominciata proprio con quell’investimento sbagliato in Europa: il polo produttivo di Berlino si rivelò un clamoroso insuccesso e nel 2019 fu ceduto a Brewdog. E qui entra in gioco il secondo protagonista della nostra analisi.
Qualche giorno prima dell’annuncio dell’accordo tra Stone e Sapporo, la BBC aveva rivelato come nel 2018 James Watt provò a vendere quote di Brewdog a Heineken. Della vicenda abbiamo scritto diffusamente la scorsa settimana, ma vale la pena essere ripresa perché anche in quel caso è stata accolta come un tradimento dei propri valori, personali e aziendali. Brewdog ha infatti costruito la sua immagine sfidando costantemente l’industria e scagliandosi con veemenza contro i birrifici che avevano scelto la via delle cessioni alle multinazionali. Nel giro di poche ore dunque abbiamo dovuto incassare il voltafaccia dei due più importanti difensori del concetto di indipendenza nel comparto artigianale: un elemento che non solo alimenta la disillusione tra gli appassionati, ma che probabilmente indica come certi discorsi non siano più validi, almeno per aziende di dimensioni ragguardevoli.
Crescere e non scendere a patti con l’industria è ancora possibile, ma oggi sembra molto meno verosimile rispetto al passato. Per quanto tu possa rivendicare il ruolo di eroe rivoluzionario senza macchia, alla fine ti ritrovi a stringere la mano al nemico. E questo sia che tu navighi in acque tormentate, come nel caso di Stone, sia che ti ritrovi ancora in fase ascendente, come in quello di Brewdog. Sembra inevitabile: a forza di crescere, prima o poi finirai per accordarti con le multinazionali del settore. A meno di non imporre limiti stringenti alla crescita stessa, come annunciato ad esempio lo scorso anno dal Birrificio Italiano.
Ultima nota di colore a proposito di intrecci. Sapete chi fu l’ospite a sorpresa presente in quella serata con Greg Koch al Bir&fud? Proprio James Watt di Brewdog…
Il futuro delle acquisizioni dell’industria
L’accordo tra Stone e Sapporo ci ha fatto rivivere sensazioni che si erano assopite negli ultimi anni, anche probabilmente a causa della pandemia. Conferma che le acquisizioni nel nostro ambiente continueranno ancora per molto, ma anche che la fase più caotica e frenetica dello shopping delle multinazionali è ormai archiviata. Difficilmente assisteremo a un’altra stagione di cessioni eccellenti nel giro di pochi mesi, come successo nel corso del passato decennio. Dopo le non poche operazioni fallimentari, oggi i colossi del settore sembrano più attenti a investire in un segmento che rimane poco prevedibile e lontano dalle dinamiche dell’industria. Quindi per il futuro attendiamoci meno acquisizioni, ma mirate nei confronti di player più grandi e decisamente strutturati. Stone Brewing era infatti al nono posto tra i maggiori birrifici craft degli Stati Uniti secondo la classifica redatta dalla Brewers Association (dati del 2021). Non è un caso che Sapporo utilizzerà gli impianti del birrificio californiano per produrre direttamente negli USA alcune sue birre per il mercato locale, una soluzione che difficilmente sarebbe stata realizzabile con un’azienda di dimensioni molto più contenute.
In tal senso vale la pena tenere d’occhio Sapporo, perché in pochi anni ha costruito una presenza non indifferente sul mercato americano. L’acquisizione di Stone Brewing segue infatti quella di Anchor, avvenuta nell’agosto del 2017. In tempi relativamente brevi, quindi, il gigante giapponese ha ottenuto il controllo di due storici marchi della rivoluzione americana della birra artigianale, ponendo le basi per un solido portfolio di prodotti di fascia alta capaci di competere con ZX Ventures (il gruppo “crafty” di AB Inbev) e con l’offerta delle altre multinazionali del settore. Dopo le manovre di Asahi è un altro importante tassello per l’ascesa del Giappone nello scacchiere brassicolo internazionale.