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Dalla prigione al parlamento: la lotta di Tao per la libertà della birra artigianale thailandese

Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una diffusione dirompente della birra artigianale in gran parte del mondo, fenomeno che ha permesso a un numero crescente di persone di scoprire i prodotti e i valori che contraddistinguono il movimento della craft beer. Sebbene tale ascesa sia da considerare una vittoria per il settore, è importante non dimenticare che esistono contesti internazionali difficili, dove, ancora oggi, la produzione e il commercio brassicolo sono ostacolati. Un caso particolare è rappresentato dalla Thailandia, dove le istituzioni evitano in tutti i modi che lo status quo del mercato birrario interno sia anche solo intaccato dall’ascesa della birra artigianale. Una situazione che può avere ripercussioni pesanti sulla vita dei cittadini, come racconta l’incredibile storia di Taopiphop Limjittrakorn.

Taopiphop Limjittrakorn è un avvocato e birraio di Bangkok, la cui vicenda è emblematica per comprendere la forte repressione con cui lo stato thailandese impedisce la crescita del comparto artigiano. Nel 2017 Tao – come preferisce essere chiamato – venne arrestato con l’accusa di produzione illegale di birra artigianale, poiché in Thailandia, a causa di una legge promulgata nel 1950, l’attività brassicola è consentita solo in linea teorica. Nella pratica, infatti, bisogna rispettare requisiti molto stringenti relativi alla capacità produttiva e all’investimento iniziale di capitale. Ma ciò che a primo impatto potrebbe sembrare una semplice regolamentazione sul mercato degli alcolici, nasconde la chiara volontà di mantenere una situazione stabilita più di 70 anni fa.

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In Thailandia l’industria brassicola si configura essenzialmente in un duopolio governato dai colossi Boon Rawd Brewery Co. e ThaiBev, i quali da soli controllano il 92% del mercato. Boon Rawd Brewery, produttrice della birra Singha, venne costituita nel 1933: divenne il più grande birrificio thailandese ed è controllato dalla famiglia Bhirombhakdi, attualmente la quidicesima più ricca della nazione. D’altro canto ThaiBev, produttrice della birra Chang, ha come suo fondatore Charoen Sirivadhanabhakdi, terza persona più ricca della Thailandia con un patrimonio di 14 miliardi di dollari (Krungsri Research 2022) e risulta inoltre leader nel mercato dei superalcolici con una quota pari al 59,5%.

Una tale supremazia commerciale, a beneficio di due singole imprese, è stata resa possibile da politiche governative per esse decisamente favorevoli. Infatti i requisiti necessari per l’apertura di un birrificio richiedono una produzione annua di 10 milioni di litri (oppure 100 mila litri per un brewpub) e un capitale iniziale di circa 280.000 dollari. Criteri che possono essere soddisfatti solo dai gruppi che attualmente dominano il settore, divenendo insormontabili barriere per l’entrata di nuovi concorrenti. In questo modo il mercato della birra, dal valore di 8,6 milioni di dollari (dati del 2022), risulta inaccessibile alla gente comune.

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A fronte di questa situazione nel 2019 Tao fondò, insieme ad altri 26 membri, il Move Forward Party, un movimento politico che alle successive elezioni ottenne 80 seggi in parlamento. Secondo Tao i dottori rappresentano la causa principale dei danni del paese, subito dopo il comparto militare. Ma cosa c’entrano i dottori con la situazione in vigore nel mercato birrario thailandese?

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La Thailand Health Promotion Foundation venne istituita nel 2003 con l’intento, apparente, di diffondere uno stile di vita sano tra la popolazione locale. Durante la pandemia ha incrementato il suo potere e riceve ogni anno 125 milioni di dollari di fondi, derivanti dalle accise su alcool e tabacco. Secondo le sue disposizioni, la vendita di prodotti alcolici e la pubblicazione di foto ritraenti la birra sono vietate. In aggiunta il governo ha recentemente presentato una proposta di legge, che obbliga a inserire avvertenze circa i danni derivanti dal consumo alcool sulle etichette di bottiglie e lattine. Queste manovre in realtà poco influiscono nell’attività dei colossi, i quali godono di una distribuzione capillare su tutto il territorio, pubblicità sui principali mass media e sponsorizzazioni negli eventi di grande rilievo. È dunque la dimostrazione di come le politiche governative proteggano, ancora una volta, un sistema oligarchico da loro creato.

Queste costrizioni se da un lato mirano a limitare, riuscendovi, il proliferare della birra artigianale, dall’altro hanno reso i numerosi appassionati e addetti ai lavori consapevoli dell’ingiustizia subita. La voglia di servire birra di qualità alla propria gente portò i birrai thailandesi a rivolgersi ai birrifici esteri, potendo dichiarare i prodotti come beni di importazione. Perciò è sempre più comune trovare sul mercato birre artigianali con marchi thailandesi, ma realizzate in Cambogia, Vietnam, Cina, Singapore, Australia e Nuova Zelanda. Secondo Tao una pratica di tale natura, nonostante sia romantica ed esemplare degli sforzi sostenuti, non è sostenibile: le birre di importazione subiscono infatti una tassazione dal 5 al 60%, che raggiunge il 300% a causa l’accisa sugli alcolici e dell’imposta sul valore aggiunto. Perciò i prezzi per il consumatore finale risultano di gran lunga superiori rispetto a quelli dei competitor prima citati, allontanando il cittadino medio thailandese dalla possibilità di compiere l’acquisto.

Nel caso di Tao, come lui stesso racconta, fu un viaggio negli Stati Uniti, durante il percorso universitario in giurisprudenza, a scatenare un profondo interesse verso la birra artigianale. Fu così che, una volta conclusi gli studi, iniziò a lavorare nel Mikkeller Bar di Bangkok, finché un incontro, tanto fortuito quanto decisivo con James Watt (fondatore e proprietario di Brewdog), gli fornì lo slancio necessario per mettere in atto il progetto di aprire un proprio birrificio, da troppo tempo rimandato a causa della legislazione thailandese.

Tao cominciò a produrre le prime cotte nel garage di casa, consapevole e fiero dell’illegalità di tutto ciò, vendendole poi ai consumatori locali. In breve tempo la polizia ne venne a conoscenza, tanto da arrestarlo e trattenerlo per una notte in caserma. Il birraio aveva previsto una simile evoluzione, ma ciò che lo lasciò incredulo fu la richiesta, da parte delle autorità, di una multa quattro volte superiore a quella normalmente prevista.

È lo stesso Tao a sottolineare come le ingiustizie subite in quell’occasione, a causa di un sistema corrotto, furono il fattore scatenante della sua ascesa politica. La birra non è che il pretesto per una battaglia sociale al fine di realizzare un cambiamento progressista e paritario. L’obiettivo è garantire il pieno accesso, da parte della popolazione thailandese, a diritti individuali e sociali spesso non riconosciuti.

Sempre riportando le sue parole ”una rivoluzione di questa portata non si può realizzare senza un forte sostegno da parte della popolazione”. Sostegno dimostrato nelle 18.000 firme raccolte – a fronte delle 10.000 necessarie – per presentare in parlamento una proposta di legge attraverso cui modificare pesantemente il Liquor Bill Act, attualmente in fase di discussione.

La richiesta del People’s Party, il partito nato dalle ceneri del Move Forward Party, è stata promossa da Tao in prima persona e fa leva su tre punti principali:

  1. Eliminazione totale delle restrizioni riguardo alla capacità produttiva e all’investimento minimo per l’apertura di un birrificio artigianale.
  2. Eliminazione dei limiti orari in cui è concessa la vendita, attualmente autorizzata dalle 11 alle 14 e dalle 17 alle 24.
  3. Eliminazione del divieto di pubblicare foto o video riguardanti il prodotto birra, stabilito perché considerato un incentivo al consumo di alcolici.

Il disegno di legge è stato respinto solo qualche giorno fa, con 237 voti contrari e 137 favorevoli. Come riportato dal Bangkok Post, un parlamentare della maggioranza ha sottolineato come la proposta avrebbe consentito potenzialmente a chiunque di produrre bevande alcoliche, con “severe” conseguenze a livello sociale.

Al di là del sfortunato esito della proposta di legge di Tao, a noi non resta che sostenere e condividere tali iniziative, che cercano di riportare la birra alla propria concezione più profonda: un prodotto realizzato da artigiani per un consumo popolare all’interno delle rispettive comunità. Non governata da un centro di potere che, da troppi decenni, vede come protagonisti i magnati delle famiglie Bhirombhakdi e Sirivadhanabhakdi, una lobby di medici rappresentata dalla Thailand Health Promotion Foundation e le tendenze conservatrici del parlamento.

Filippo Liviero
Filippo Liviero
Laureato in Economia e gestione delle imprese all’Università La Sapienza di Roma, bartender presso Fermentoren a Copenaghen e studente presso l’Institute of Brewing and Distilling di Londra. Unisce a una costante voglia di viaggiare la sua passione verso la birra artigianale, ritenendola un’efficace mezzo per incontrare nuove persone, idee e culture. Se lo trovate dall’altro lato del bancone starà sicuramente ordinando una Bitter a pompa.

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