Il destino europeo delle etichette degli alcolici sembra segnato, compreso quello delle birre. Dopo la legge che l’Irlanda promulgò circa un anno fa, contenente l’obbligo di indicare sulle bevande alcoliche i rischi legati alla loro assunzione, ora arriva un’iniziativa molto simile in Belgio. Come raccontato dal Corriere della Sera, Bruxelles ha appena approvato un piano interfederale che impone rigide limitazioni agli alcolici, tanto in termini di vendita che di comunicazione. Il vincolo di riportare in etichetta avvertenze sul consumo di alcol è solo uno delle decine di interventi previsti dal progetto, ma probabilmente quello destinato ad alimentare le maggiori polemiche. Una decisione che riaccende la discussione su un tema molto controverso, rispetto al quale non è semplice trovare un punto d’accordo.
Il piano belga nasce con l’obiettivo di contrastare il consumo nocivo di bevande alcoliche e si ispira alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del Consiglio Superiore della Sanità. Il Belgio infatti appartiene ai quei paesi in cui l’abuso di alcol è molto diffuso tra la popolazione: riguarda il 14% dei cittadini, con fenomeni pericolosi come il binge drinking. Inutile sottolineare che la bevanda nazionale è la birra, di cui il Belgio custodisce tradizioni millenarie e dal valore socioculturale inestimabile. Ciononostante i belgi nel 2019 occupavano solamente la ventiseiesima posizione al mondo per consumi pro capite di birra, con 65,9 litri di media a testa.
Come accennato, quella delle indicazioni in etichetta è solo uno dei tanti provvedimenti che saranno adottati nei prossimi mesi. La strategia prevede anche il potenziamento delle operazioni di prevenzione, il miglioramento dell’accesso alle cure, la riduzione degli incidenti stradali causati dall’alcol e persino una riflessione sul prezzo delle bevande alcoliche. Inoltre è prevista una stretta della pubblicità sull’alcol, con controlli rafforzati soprattutto nei messaggi destinati (anche marginalmente) ai minori. Infine saranno adottate diverse misure per ridurre la disponibilità dell’alcol. Occorre tuttavia sottolineare che il corpo di norme appena approvato è una revisione “annacquata” dei consigli forniti dal Consiglio Superiore della Sanità.
Se nel complesso il piano belga sembra molto sensato e condivisibile, è proprio il provvedimento sulle indicazioni in etichetta a sollevare diverse perplessità. In realtà ancora non è sicuro quali frasi saranno riportate sulle bevande alcoliche, ma il Consiglio Superiore della Sanità indica espressioni come “Volete vivere a lungo e in buona salute? L’alcol aumenta il rischio di cancro. Bevete meno alcol possibile”. Una formula che, ammesso che sia riportata tal quale, potrebbe comprensibilmente far storcere il naso a molti. Se infatti è indubbio che qualsiasi bevanda alcolica, compresa la birra, contenga un elemento tossico per il nostro organismo – facciamocene una ragione, nonostante gli articoli che regolarmente compaiono esaltando questo o quell’effetto positivo dell’alcol – è anche giusto chiedersi se quella delle etichette allarmistiche sia la via giusta per risolvere il problema.
Adottare una soluzione “a effetto”, simile a quella per il fumo, è una scelta sensata? Sicuramente rischia di sviluppare un approccio tranchant al consumo delle bevande alcoliche, che invece richiederebbe valutazioni più ponderate. Se da una parte – lo ribadiamo – tali alimenti sono tossici per loro stessa definizione, dall’altra possiedono un valore intrinseco che si compone di elementi sociali, culturali e storici, nonché puramente edonistici. Aspetti positivi che non possono essere annullati o sviliti per l’incapacità delle istituzioni di trovare soluzioni alternative alle etichette allarmistiche. Peraltro è l’abuso di alcol a essere pericoloso, non il suo consumo consapevole. È la stessa introduzione del piano belga a sottolinearlo:
Spesso associato a momenti di convivialità e relax, l’alcol può avere ripercussioni dannose, sia per il consumatore, il suo ambiente circostante o ancora per la società nel suo complesso quando consumato in modo nocivo. […] Il binge drinking (ovvero 6 unità di alcol in un periodo di 2 ore), l’iper-alcolizzazione (ovvero 6 unità di alcol in una sola occasione), la dipendenza, la guida sotto l’influenza o ancora il consumo di alcol durante la gravidanza sono anch’essi da considerare come un consumo nocivo di alcol.
Secondo le istituzioni belghe esiste dunque un confine – sicuramente labile, ma comunque definito – tra ciò che è un consumo corretto delle bevande alcoliche e ciò che sfocia nell’abuso. Per capirci una unità di alcol corrisponde a 12 grammi di alcol puro, cioè a una bottiglia di birra da 33 cl con un contenuto alcolico di 4,5%. Il binge drinking, l’iper-alcolizzazione e in genere il consumo nocivo sono associati all’assunzione di 6 unità di alcol (quindi 6 bottiglie di birra) in tempi relativamente ridotti. Siamo dunque al cospetto di un consumo totalmente folle rispetto agli standard di chi beve in maniera consapevole per il piacere di farlo. Ma non sentitevi sollevati, perché in Italia il Ministero della Salute specifica quanto segue:
Oggi nei documenti di consenso, nelle Linee Guida per una sana alimentazione, non si usano più termini come “consumo moderato”, “consumo consapevole” o simili, che potrebbero indurre il consumatore in una certa indulgenza nel bere alcolici.
Non è possibile, infatti, identificare livelli di consumo che non comportino alcun rischio per la salute. Pur partendo dal concetto, ormai condiviso da tutta la comunità scientifica, che si riassume con lo slogan less is better (meno è meglio), si rende comunque necessario definire alcuni parametri che permettano una valutazione del rischio connesso all’assunzione di bevande alcoliche.
Le nuove indicazioni italiane definiscono a basso rischio un consumo di:
– 2 unità alcoliche al giorno per gli uomini
– 1 unità alcolica al giorno per le donne
– 1 unità alcolica al giorno per le persone con più di 65 anni
– zero unità di alcol sotto i 18 anni
Anche a fronte di quanto espresso dal Ministero della Salute e dalla comunità scientifica internazionale, è inevitabile chiedersi quale sia la soluzione definitiva alla questione. Se l’unica considerazione è che l’alcol fa male a qualsiasi concentrazione – e non è una conclusione opinabile – allora bisogna abbandonare qualsiasi bevanda alcolica? La soluzione definitiva è la scomparsa di birra, vino e distillati a qualsiasi livello? Esiste una dimensione di compromesso in cui le valutazioni puramente sanitarie sono compatibili con quelle sociali, culturali e di piacere personale? Oppure la valutazione sanitaria non può essere l’unica meritevole di essere considerata dalle istituzioni pubbliche? Sono tutte domande legittime, alle quali sarebbe bello trovare risposte definitive.