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I birrai tedeschi contro Maltovivo per l’uso del termine Kölsch in etichetta

La Campania è una regione che, al pari di altre, negli ultimi anni ha mostrato un boom di nuovi birrifici. Tuttavia nella zona ci sono alcuni produttori attivi da parecchio tempo e tra questi va sicuramente segnalato Maltovivo, fondato nel 2004 e piuttosto conosciuto nell’ambiente anche per aver legato la sua prima parte di vita a Luigi Serpe, considerato tra i birrai pionieri della birra artigianale in Italia. Una delle prime birre prodotte dall’azienda campana fu la Tschö, che diventò ben presto una delle best seller della casa e che è ancora regolarmente presente nella gamma base. La sua ricetta ricalca il modello delle Kölsch, le antiche alte fermentazione di Colonia che, insieme alle Altbier della vicina Dusseldorf, rappresentano una specialità brassicola unica in un contesto dominato dalle Lager. Nonostante la Tschö sia dunque presente sul mercato da molti anni, i tedeschi sembrano essersi accorti solo adesso della sua esistenza e la scoperta non è stata ben accetta: come riportato da Bild, nei confronti del birrificio campano è stata formulata una richiesta di ingiunzione e di risarcimento.

Come si spiega tanta ostilità da parte della Germania? Il motivo è presto detto: la denominazione Kölsch è tutelata da un marchio d’indicazione geografica protetta (IGP) registrato nel 1997 e la sua produzione disciplinata dalla Kölsch Konvention, un’associazione creata e gestita dai produttori locali. Il nome Kölsch in ambito birrario può dunque essere utilizzato per scopi commerciali solo dai birrifici di Colonia e dintorni, secondo una regola che chiaramente vale a livello europeo. Qualsiasi birrificio operante in altri paesi dell’Unione, o anche in Germania al di fuori dell’area di Colonia, semplicemente non può ricorrere a tale denominazione anche quando realizza un prodotto che ricalca la ricetta e le caratteristiche delle Kölsch. Si tratta si una delle poche tipologie birrarie tutelate da un marchio del genere.

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Sia chiaro, il limite imposto dalla Kölsch Konvention non impedisce ai birrifici del resto del mondo di creare birre che si ispirano esplicitamente alle alte fermentazioni di Colonia, tanto che sono centinaia gli esempi di simil-Kölsch prodotte a livello internazionale. Invece è vietato riportare la denominazione “secca” in etichetta come riferimento alla tipologia della birra, cosa che tuttavia alcuni produttori continuano a fare con un po’ di leggerezza, esponendosi a potenziali rischi. Ed è proprio questa la situazione per cui ora i tedeschi si stanno scagliando contro Maltovivo, reo secondo la loro visione di aver utilizzato indebitamente il termine Kölsch. Sebbene la notizia negli ultimi giorni abbia sollevato un discreto polverone, possiamo affermare che in Germania stanno prendendo un clamoroso abbaglio.

In passato Maltovivo ha effettivamente utilizzato la semplice denominazione Kölsch per la sua birra, incorrendo nei problemi che abbiamo illustrato. Quella leggerezza però è stata corretta da tempo, tanto che oggi sulle bottiglie di Tschö si può leggere “Kölsch-style”, una formula pienamente accettata dall’Unione Europea – in altre dovrebbe invece essere presente l’aggettivo “chiara”. Evidentemente quindi a qualche birraio tedesco deve essere caduto l’occhio su una vecchia etichetta di Tschö, non più presente sul mercato da anni.

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Con un ottimo tempismo di Maltovivo ha risposto ufficialmente ai concorrenti tedeschi ribadendo la propria innocenza. Queste le dichiarazioni di Antonio Orlacchio, responsabile vendite del birrificio campano, apparse sul quotidiano Il Sannio:

Mi dispiace per i cari amici della Germania se si sono “incazzati”, ma questa etichetta non viene più stampata, seguendo la normativa europea utilizziamo e possiamo farlo “Kölsch Style”. Possiamo solo dire che continueremo a produrla e a commercializzarla, forse proveremo anche in quei territori d’oltralpe per meglio fa comprendere la forza, la bravura, la passione, il coraggio, ma soprattutto il “divertirsi” di ogni italiano.

Poi l’intervista assume degli inspiegabili toni sovranisti e vira su argomenti francamente poco affini alla birra e alla tutela regionale dei marchi. Il messaggio che passa diventa quasi controproducente:

Non accettiamo lezioni di etica da chi ha compiuto il furto di circa 2500 opere d’arte italiane. Un dato confermato dal ministero delle finanze tedesche. Sono opere non ancora rientrate nel nostro paese dopo settant’anni. Facciamo una promessa. Maltovivo interromperà immediatamente la produzione della Tschö quando si compirà la completa restituzione delle nostre opere d’arte ancora in mano tedesca.

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A parte la conclusione imbarazzante, la vicenda è però degna di menzione perché ci ricorda ancora una volta che bisogna conoscere con precisione quali informazioni possono o non possono essere inserite in etichetta. Evidentemente Maltovivo si accorse a suo tempo dell’errore e corse subito ai ripari, tutelandosi nei confronti di una situazione che oggi avrebbe potuto evolvere in maniera molto diversa (la richiesta di risarcimento ammonta a 10.000 euro). Che sia di monito per tutti coloro che operano nell’ambiente.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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8 Commenti

  1. Si potrebbe sapere con esattezza da quanto tempo Maltovivo stampa etichette in linea con la normativa europea? Perchè a ‘sto punto credo che i tedeschi non abbiano assolutamente toccato con mano alcuna bottiglia che recasse la scritta “Kölsch”, devono aver visualizzato qualche vecchia foto in rete.

  2. Ho conosciuto Luigi Serpe circa 20 anni fa, non è il tipo di sfruttare le situazioni, sicuramente tutto è avvenuto in buona fede. Comunque la sua produzione sicuramente ha fatto onore all’autentica “Kölsch”
    Buona birra a tutti
    Franco Giarrusso

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