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L’americana Stone apre il suo birrificio europeo: ecco tutti i dettagli

L'evento di presentazione del birrificio europeo di Stone nel luogo che ospiterà lo stabilimento
L’evento di presentazione del birrificio europeo di Stone nel luogo che ospiterà lo stabilimento

In questi giorni la notizia più in evidenza nell’ambiente arriva dagli Stati Uniti, o forse sarebbe il caso di dire dalla Germania: il birrificio Stone – uno dei primi dieci produttori craft d’America – ha infatti svelato il luogo berlinese dove a fine 2015 aprirà il suo (primo?) impianto europeo. L’annuncio è stato effettuato durante un grande evento di presentazione, al quale sono stati “segretamente” invitati birrai e amici da tutta Europa. Tra loro c’era anche Enrique Jiménez Gonzàlez del Birrificio La Piazza, che ha partecipato insieme a Gianluca Poggio (Soralamà), Paolo Palli (Baladin) e Luca Giaccone (Slow Food). Grazie al contributo di Enrique (che ringrazio per la disponibilità), oggi possiamo riportare qualche dettaglio in più sulla notizia del momento, che a tendere potrebbe modificare lo status della birra artigianale nel nostro continente.

Cominciamo dalla location, la ricerca della quale è durata più di quattro anni. Lo stabilimento sorgerà all’interno di un ex deposito di gas di inizio ‘900, situato a circa 10 km a sud del centro di Berlino. È una struttura in mattoni rossi, che si estende per circa 2.500 mq e che ospiterà non solo l’impianto di produzione, ma anche un locale di mescita e un ristorante. Il nuovo birrificio produrrà le stesse birre realizzate in madre patria, ma ovviamente solo per il mercato europeo: in pratica Stone potrà così abbattere tutti i costi di trasporto e distribuzione in un continente diverso da quello di provenienza, oltre a garantire maggiore freschezza alle sue birre.

Durante il processo di individuazione della location finale, Stone ha analizzato diverse città di differenti nazioni. È durante questa fase che il fondatore Greg Koch ha conosciuto i già citati Enrique e Gianluca, oltre a Davide Zingarelli di Soralamà. I tre infatti gli proposero di costruire il birrificio ampliando lo stabilimento di Soralamà in Val di Susa e l’idea non deve essere dispiaciuta a Koch, se è vero che all’epoca venne in Italia per studiare di persona la situazione. Da quell’incontro è nata una bella amicizia, anche se poi Stone ha preferito puntare su nazioni con una più consolidata tradizione brassicola alle spalle. È per questa ragione che alla fine è stata selezionata Berlino, arrivata alla “finalissima” contro la belga Bruges.

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La capitale tedesca si appresta dunque a ospitare quello che – se non vado errato – sarà il primo birrificio craft americano ad aprire in Europa. Per la città sarà un bel salto di qualità in termini di interesse birrario, poiché – per usare un eufemismo – non è proprio la prima tappa birraria che viene in mente agli appassionati diretti in Germania. Stenterete a crederlo, ma in effetti Berlino non ha tantissimo da offrire a livello di birra artigianale, almeno rispetto alle potenzialità della città: chissà che non sia proprio la novità made in USA a stimolare una decisa inversione di tendenza.

C’è da notare che non è la prima volta che si parla della possibilità che un birrificio statunitense apra in Europa. Voci simili si rincorrono spesso e a inizio 2013 vi raccontammo persino di un progetto molto concreto: l’intenzione della Brooklyn Brewery di aprire uno stabilimento a Stoccolma insieme a Carlsberg e a D. Carnige & Co. Non so se quel progetto sia ancora in ballo, ma l’idea americana di una sorta di colonizzazione brassicola europea non è certo nuova. Per di più considerate che queste aziende hanno dimensioni almeno dieci volte maggiori dei più grandi birrifici artigianali italiani e una produzione paragonabile a quella di marchi industriali come Forst, Menabrea o Pedavena.

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D’altra parte il progetto di Stone non è certo una bazzecola, poiché prevede addirittura un investimento di circa 25 milioni di dollari. La particolarità è che una (piccola) parte dei fondi saranno racimolati tramite un sistema di crowdfunding: sulla piattaforma Indiegogo c’è la possibilità di partecipare con un proprio contributo, in cambio di cene di degustazione, esclusive collaboration brew (anche con Baladin) e altri benefici. Al momento sono stati raccolti quasi 130.000 dollari, ma l’obiettivo è di raggiungere il milione (gulp!) entro la metà di agosto. A molti questo tipo di finanziamento non è piaciuto, ma personalmente non lo vedo molto più scandaloso di altre pratiche.

La Craft Beer Revolution di Stone – e non solo la loro – punterà quindi a diventare planetaria. Se quella del birrificio di Koch sarà solo il primo di altri casi a seguire, è possibile che il mercato della birra artigianale in Europa si modifichi profondamente. Cambieranno i prezzi e la reperibilità di birra di qualità? Che ne sarà di stili tradizionali come quelli consumati regolarmente in Germania? Qualsiasi sia la risposta, ne vedremo gli effetti solo nel lungo termine. Sempre che tutto funzioni secondo le aspettative: in passato l’idea di esportare una rivoluzione non ha avuto grande successo 😛 . Sarà diverso per la birra artigianale?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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13 Commenti

  1. Azzarderei che la scelta di Berlino sia data da ragioni di visibilità, Bruges è un buco e immagino che non sia neanche facile trovare uno spazio adatto nel centro cittadino, mentre le zone industriali periferiche sono suggestive quanto quelle della Brianza, forse meno.
    A Berlino hai una capitale europea nel cuore dell’Europa, facile da raggiungere, con un sacco di alberghi e tutti gli annessi e connessi.

  2. Ben venga avere bottiglie di IPA americane che non siano state massacrate da viaggi trans-oceanici. Segnalo peraltro che anche Green Flash brassa in Belgio, sebbene secondo logiche diverse
    http://beerpulse.com/2014/07/green-flash-st-feuillien-reach-deal-to-have-west-coast-ipa-brewed-sold-in-europe-3359

    Capitolo CF: mi sembra una pagliacciata. Con il fatturato che hanno quelli di Stone alzano un milione con la stessa velocità con cui io bevo una weizen durante una giornata d’agosto. MIl sapore è più quello di una iniziativa commerciale del tipo: “anziché proporre 50 € come prezzo di vendita di una bottiglia/costo di una cena che ci insultano, facciamo un CF e diamoli come riconoscimento”. Detto questo, però, nemmeno io vedo scandali particolari: se uno sta al gioco i soldi è libero di spenderli come vuole.

  3. Domanda un po’ ingenua: le birre che verranno brassate a Berlino quanto saranno simili a quelle prodotte negli Stani Uniti?

  4. Il fatto che la stessa birra si possa riprodurre indifferentemente in Usa come in Germania, in Italia come in Belgio, fa sembrare che la birra non sia altro che una formula chimica, mentro un Sassicaia non lo puoi rifare in California o in Francia. Mi sembra che tutto questo ad occhi meno esperti possa andare in contrasto con il concetto di artigianalita’.

    • infatti il vino di qualità non viene fatto da un artigiano ma da un agricoltore (quello di bassa qualità da un enologo) ed è per questo che è fortemente legato al territorio.
      la birra proprio per il fatto che è opera di un artigiano mette assieme materie prime reperibili ovunque e creare un prodotto artigianale. un mobiliere artigiano allo stesso modo mica può lavorare solo con il legno della sua regione…

  5. Speriamo solo che non vada a discapito dei piccoli produttori europei .. Mi spiego meglio.. Un birrificio americano a Berlino ed uno a Stoccolma sono una ” goccia ” nell’oceano di birra europea , ed anzi come già è stato detto può esser considerata una piacevole aggiunta .. Però , se da qui a breve ci troviamo “colonizzati ” dagli americani ( che micro brewery non sono più da un po’ ) allora potrebbero andare a soffrirne i piccoli birrifici che non hanno a disposizione i mezzi economico di Stone e simili ..

  6. Strano che non abbiano scelto la Val di Susa e la collaborazione con Soralamà… 😉 sfuma quindi il famoso supermegaimpianto “madre di tutte le sale cottura” da 20.000 litri?

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