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Assaggi di… Birrificio Lariano

Birrificio-LarianoNella consueta “rubrica” sui miei personali assaggi quasi sempre mi capita di analizzare le birre di giovani produttori. È quindi stato per me del tutto inusuale quando la proposta mi è arrivata da Emanuele Longo, birraio del Lariano. Sebbene questo birrificio lombardo non sia tra gli antesignani del movimento, non può essere neanche considerato uno degli ultimi arrivati, avendo aperto i battenti nel 2008. E nonostante il suo nome sia piuttosto diffuso nell’ambiente, fino a oggi avevo avuto poche occasioni di bere le sue birre, che non potevo dire di conoscere in modo approfondito. Dunque ho accolto con molto interesse la proposta di Emanuele, perché ho finalmente avuto la possibilità di colmare una mia lacuna.

La gamma del Lariano è piuttosto corposa e variegata, improntata su stili classici, ma senza disdegnare alcune tipologie meno diffuse. Recentemente ad esempio è stata lanciata la Salada (5% alc.), che è la birra da cui ho cominciato i miei assaggi. Come il nome suggerisce la ricette prevede l’aggiunta di sale marino integrale di Sicilia, oltre a un’aromatizzazione con coriandolo. Sono gli ingredienti tipici della Gose, quindi non scandalizzatevi più di tanto 🙂 . La Salada si presenta di colore giallo opaco, molto opalescente. La schiuma è davvero splendida: candida, a trama fine, aderente, abbondante e persistente. Al naso la scena è dominata dai suddetti ingredienti, con il coriandolo in primo piano e la parte salina facilmente riconoscibile. Si distinguono anche note floreali e di frutta gialla e agrumi. Le ghiandole salivari partono subito in quarta!

All’ingresso in bocca la parte salina è subito molto evidente, poi emerge il coriandolo che rimane a lungo protagonista. Il gusto tuttavia evolve parecchio: a metà corsa tornano gli agrumi e successivamente un retrogusto salino. Non è priva di difetti: il coriandolo si percepisce in modo un po’ eccessivo, si denota un’astringenza non gradevolissima e il corpo risulta esile e sfuggente, con una carbonazione fin troppo allegra. Questa birra mi è piaciuta, ma non mi ha fatto impazzire, a causa di una mancanza di armonia tra le varie componenti (coriandolo e sale giocano troppo in solitaria) e dei difetti sopra descritti. Tuttavia è apprezzabile l’idea di riproporre uno stile raro, cosa che potrà fare in maniera ancora più valido limando alcuni aspetti.

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Successivamente sono passato alla Statale 52 (6% alc.), l’APA della casa. All’aspetto è di colore arancio, piuttosto limpido e con riflessi ambrati. La schiuma è discreta, persistente ma leggermente disordinata. Al naso si percepisce una piacevole freschezza, in cui i luppoli giocano un ruolo decisivo. Si riconoscono profumi di erba tagliata, agrumi, fiori di campo, miele millefiori e frutta a polpa gialla. Ottima a livello olfattivo, con un bouquet intenso e decisamente pulito. Il luppolo è protagonista anche al palato, conquistando subito la scena dopo un breve ingresso di frutta e agrumi. La carbonazione è fine, ma appena troppo spinta (tuttavia non disturba). L’amaro arriva presto, con note di pompelmo, e continua nel finale molto persistente. Il retrogusto pecca un pelino di pulizia.

Questa Statale 52 mi è piaciuta molto, riuscendo a mio avviso a centrare uno stile con il quale molti birrai italiani (e non solo) si cimentano, ma con risultati quasi mai eccellenti. Invece l’APA del Lariano si staglia un gradino sopra la media, soprattutto perché in grado di valorizzare al meglio il luppolo, che è giusto protagonista. Per compiere un altro passo verso l’eccellenza dovrebbe limare alcuni piccoli difetti, ma già così è un prodotto validissimo.

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Di seguito sono passato a un’altra recente novità del Lariano, battezzata New Age (4,2% alc.). Si tratta di una Golden Ale pensata per l’estate e brassata con luppoli americani. È di colore dorato con riflessi arancio, leggermente velata. La schiuma bianca non si distingue per compattezza e ordine, ma rimane costante nel tempo. I profumi, decisamente puliti, ricordano i fiori e la crosta di pane, mentre più in lontananza troviamo una freschezza di luppolo riconducibili ad agrumi ed erba tagliata. C’è anche un tocco leggermente speziato a dare ulteriore complessità. In bocca risulta molto fresca e scorrevole, anche se pecca di mancanza di carattere. La frizzantezza è corretta, mentre il finale fresco è di media persistenza, con una nota leggermente acidula che non guasta.

In definitiva la New Age mi è parsa una Golden Ale di buona fattura, che riesce a raggiungere i suoi obiettivi: risultare piacevole, dissetante e facile da bere. Sarei propenso a concludere che le manca una marcia in più per staccarsi dalla media di altre birre analoghe, tuttavia questo aspetto è completamente scomparso quando recentemente l’ho provata alla spina: dal “rubinetto” acquista una vivacità ben diversa, che la valorizza oltremodo e le regala quel carattere che sembra assente in bottiglia. Per questa ragione è stata finora una delle mie migliori birre estive del 2013.

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Non è certo una novità invece La Grigna (4,6%), la Pils del Lariano capace di buoni piazzamenti in alcuni concorsi nazionali. Si presenta di colore giallo paglierino, appena opalescente. La schiuma è abbastanza buona, con una discreta aderenza e persistenza, sebbene tenda a diventare meno ordinata col passare del tempo. Si nota un fine perlage, molto lento ed elegante. I profumi sono quelli tipici da Pils, delicati ma intensi. Su tutto troviamo miele e cereali, accompagnati da una punta appena piccante al naso. L’ingresso al palato è dolce di miele, la corsa è veloce anche per una carbonazione più evidente di quanto potevamo aspettarci dall’analisi visiva. Il finale è deciso, con un bell’amaro di luppolo fragrante e persistente. C’è anche una leggerissima nota acidula che ne amplifica la forza dissetante.

Anche La Grigna mi è piaciuta molto. La considero una Pils “diesel”, che parte senza regalare grandi emozioni, ma poi convince sempre di più. Bello il finale, piuttosto deciso, che forse stride con un naso e un ingresso più delicati. Ha anche una certa rusticità che le dona carattere, sebbene una maggiore eleganza la eleverebbe al top dello stile in Italia.

Insieme a La Grigna, anche la Falesia (7%) è uno dei capisaldi del birrificio. Si tratta di una Bock di colore castano con riflessi arancio e rubino e schiuma beige di buona consistenza e persistenza. Al naso prevalgono profumi intensi di caramello e miele di castagno, mentre più dietro di avverte una nota quasi speziata. All’olfatto è piuttosto originale, risultando più dinamica e meno maltata delle classiche Bock. Al palato si avverte subito il ritorno del caramello e del miele di castagno, che poi tendono a scomparire rapidamente. Il corpo è fin troppo leggero e il finale, benché ben bilanciato, tende a finire presto, lasciando un retrogusto non particolarmente armonico (leggera gomma bruciata).

Devo ammettere che la Falesia non mi ha convinto pienamente, soprattutto per un finale che tende a concludersi in modo “freddo” quando invece dovrebbe scaldare. In bocca appare timida e corta, proprio il contrario di ciò che dovrebbe essere una Bock. Tuttavia gli aromi sono azzeccati.

Con la Confusa (8% alc.), realizzata con mosto d’uva, sono entrato nel mondo delle birre decisamente più alcoliche, in particolare in quello dei Barley Wine. Il colore è ambrato con riflessi arancio, schiuma di discreta struttura ma non troppo abbondante, proprio come da copione. Il naso non è esplosivo ma complesso, con frutta sotto spirito e una nota speziata (mirra?). C’è uva spina, agrumi, note calde di alcool, frutta candida e una freschezza di sottofondo (zenzero). Tutta questa ricchezza inizialmente non si ritrova in bocca, a causa di un ingresso quantomai timido. Il corpo è molto snello per la gradazione, la frizzantezza troppo decisa. Il finale invece è molto intenso, caratterizzato da un fruttato in cui si alternano sentori di pesca, albicocca e soprattutto agrumi. In chiusura ci si aspetterebbe l’abbraccio caldo dell’alcool, che invece risulta non pervenuto.

La Confusa mi ha lasciato in parte… confuso, nonostante non presenti difetti evidenti. Tuttavia ci sono un paio di aspetti che mi hanno incuriosito: la mancanza del calore dell’alcool in bocca e quello della caratterizzazione del mosto d’uva, se non per la parte olfattiva. È comunque un Barley Wine molto diverso dal solito, che cerca di giocare su terreni anche abbastanza insoliti. E in parte vi riesce con successo.

E infine ho concluso con la Tripé (8%), che ovviamente appartiene allo stile delle Tripel. È di colore dorato carico, molto opalescente (pure troppo). La schiuma è bianca, non perfettamente ordinata, ma abbondante, persistente e abbastanza aderente. I profumi non sono intensissimi, ma risultano molto gradevoli. Si distingue frutta gialla e soprattutto uva e frutti di bosco. C’è una leggera nota alcolica, miele, una sfumatura di crosta di pane e un tocco pepato. In bocca si conferma poco esplosiva. L’ingresso è dolce di miele e frutta gialla, poi troviamo un tocco agrumato che dura a lungo. Il finale manca di sprint e appare un po’ monocorde, quando invece dovrebbe evolvere verso il luppolo e la secchezza. La bevibilità non è aiutata dal corpo spesso, mentre la carbonazione è ben calibrata.

La Tripé è ben costruita a livello di ventaglio di profumi e aromi, garantendo complessità (almeno fino alla chiusura) e pulizia. Tuttavia risulta troppo timida rispetto alle vere Tripel e pecca di mancanza di secchezza nel finale.

In conclusione le birre del Lariano hanno dimostrato alti e bassi, posizionandosi tuttavia su una media produttiva decisamente alta. Alcune birre sono realizzate sulla base di ricette solide e ben costruite (La Grigna, New Age, Statale 52), che le rendono produzioni di primissimo piano in Italia. Altre risentono di alcuni difetti derivanti forse dal desiderio di distinguerle dai canoni classici degli stili di appartenenza. A ogni modo il Lariano mi ha confermato con questi assaggi il motivo della sua fama, che ritengo decisamente meritata.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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32 Commenti

  1. Scrivi: “Al naso […] la parte salina facilmente riconoscibile”. Ma il sale è distinguibile, olfattivamente? O intendevi dire qualcos’altro?

    • ricordo, non so dove, una volta Schigi cazziò uno per lo stesso motivo: il sale non è rilevabile all’olfatto. il tizio rispose: ma tu quando vai al mare non lo senti l’odore? stranamente Schigi non replicò. il sale cmq non ha odore (come lo stracitato zolfo peraltro), chiamiamolo marino… anche se magari è poi salgemma raffinato…

          • sì vabbé, io ti linko la spiegazione scientifica del perché il cloruro di sodio non ha odore e tu mi linki un photoblog con un titolo…

            ragass, ma la conoscete la differenza fra sale marino e cloruro di sodio VERO? siccome generalmente non uso le parole a caso, ho scritto apposta MARINO… perché nel sale marino non è presente solo cloruro di sodio, ma ad esempio sali di magnesio (danno una nota amara) ed altri sali e tutto quelle cose che fanno in modo che 1 kg di sale estratto da una cava e raffinato costi pochi spicci mentre i fiocchi di sale di cipro costano 10 euro… altrimenti sarebbero tutti pirla quelli che lo comprano…

            altri, non a caso, hanno giustamente detto MINERALE…

            ora, è una questione di termini. quando uno usa il termine sale correntemente, intende il cloruro di sodio. questo, con buona pace dei photoblog, non ha odore. quindi tecnicamente, come rilevava Giacu, è scorretto o quantomeno impreciso parlare olfattivamente di salato. è ancor più scorretto da un punto di vista di fisiologia della degustazione (vedere Mosher) poiché il salato non è un odore/aroma, ma uno dei sapori fondamentali del gusto. poi, ci siamo capiti nel discorso e ci son cose più importanti nella vita, però se uno vuol essere preciso le cose stanno così… personalmente cerco aggettivi diversi (salmastro va benissimo)

          • Ti ringrazio per la spiegazione (davvero), ma appunto cerchiamo di essere precisi.

            1) il cloruro di sodio l’hai messo in mezzo tu, tanto che la Salada impiega sale marino (quindi secondo quello che dici ha odore)

            2) la spiegazione anonima che mi hai linkato cozza con la voce di Wikipedia. E sai com’è, tendo a dare più conto a Wikipedia che a una spiegazione anonima

            3) Io non ho parlato di “odore salato”, ma ho scritto che la parte salina all’olfatto è facilmente distinguibile. E visto che siamo nel contesto della precisione, i due concetti sono parecchio diversi

          • guarda che pure io l’ho imparato, mica sono nato sapendolo… mi fece proprio riflettere l’episodio che ho citato di Schigi…

            1. io dico una cosa generale. parlare di “salato” da un punto di vista olfattivo è sbagliato, tecnicamente parlando. il salato, che è una componente del gusto, non è rilevabile olfattivamente. io credo che altri aggettivi andrebbero meglio. per dire, il salato che tu descrivi probabilmente è molto meglio descritto dalle alghe che dal sale stesso. e se per ipotesi sciacquassi fino a desalinizzare tali alghe, sentiresti al naso un salato/salmastro che non troveresti poi in bocca

            2. e se io adesso andassi su Wikipedia e mettessi in rosso la parola “odore” scrivedo manca la fonte, che mi diresti? su Wikipedia, come ben saprai, ci sono tante cazzate anche. anche io non mi fido in genere di una fonte anonima, ma se questa mi spiega da un punto di vista chimico (cose che manco capisco) il perché il cloruro di sodio non può avere odore, tendo a fidarmi di più di una frase lapidaria senza fonte di Wikipedia. se vuoi ti cerco qualche altro link dove si spiega che il cloruro di sodio è inodore, dimmi tu se è necessario…

            2bis. ops, ho fatto una ricerchina, fatti una risata che adesso ti cappotto

            https://en.wikipedia.org/wiki/Sodium_chloride

            il mitico Wikipedia, quello in inglese, dice: “Odor: Odorless”

            tendi a dare più conto al Wikipedia italiano o a quello inglese?

            3. non si sta facendo il processo ad Andrea Turco. si sta chiarendo una cosa, lo so cosa volevi dire e te l’ho già scritto

          • 1) Mah il discorso delle alghe mi convince poco come quello di “mare”. Comunque credo che abbiamo capito cosa si intende.

            2) Credo più a quello inglese che a quello italiano, così come credo più a quello italiano che a una fonte anonima.

            3) Beh sai com’è, con te non si sa mai, meglio essere precisi 🙂 . Io comunque continuo a pensare che parlare di “parte salina percepibile all’olfatto” non sia semanticamente sbagliato.

          • @SR per rimanere in semi-topic: è vero che la separazione della lingua in zone di percezione (salato, dolce, etc etc) si è rivelata incorretta?

          • @Turco

            visto che la mia era una fonte anonima, poi mi dici quale è la fonte di Wiki. a meno che tu non consideri Wiki stessa una fonte. e allora dovresti spiegarmi perché in Wiki esiste la possibilità di correggere le informazioni indicando che sono dubbie perché prive di fonte… come ci sarebbe da capire per quale motivo la versione inglese debba essere più affidabile… dipende sempre chi ha contribuito, le scorrettezze non sono sempre un’esclusiva italiana… resta il fatto che la mia fonte anonima guarda caso spiegava per filo e per segno il perché e il percome, e guarda un po’ aveva ragione… il Wiki italiano lapidario sbagliava, però sai, è Wiki… manco fosse la Treccani…

            @Indastria

            yes, o meglio, è sempre stata scorretta. non che ci voglia molto, io ho sempre avuto seri dubbi, voglio dire, ma quando mai se bevi una birra senti l’amaro solo in fondo alla lingua e l’acido solo ai lati? un po’ di sana osservazione avrebbe dovuto far sospettare… poi leggendo il Mosher ti ritrovi quello che hai sempre pensato, cioè che ogni parte del cavo orale sente tutto e c’è solo una leggera prevalenza di certe sensazioni in determinate zone

            poi, secondo me, la separazione in zone della lingua ha ancora un valore. è una tecnica per ordinare le sensazioni gustative, aiutare la concentrazione e la separazione delle idee. ma ha a che fare più con la testa che con la bocca

          • Sarei propenso a dirti che dubitare dell’attendibilità di Wikipedia significa sparare sentenze senza conoscere lo strumento, però poi dovrei sorbirmi una polemica anche su Wikipedia, quindi evito

          • tu conoscerai lo strumento mentre io sparo sentenze, però ti ho appena portato un esempio in cui Wiki riporta informazioni errate. come la mettiamo?

            per me Giacu, Schigi e pure io valgono più di Wiki su un tema specifico come la degustazione, e invece di arroccarmi avrai preso in considerazione una googlata fatta bene e, resomi conto della cosa, l’avrei messa in sacoccia, una cosa nuova imparata

            invece sembra che nella vita dire “hai ragione, mi sono sbagliato, non lo sapevo” sia un’onta. mah… quindi meglio spostare il mirino sull’attendibilità delle fonti e su uno strumento a cui peraltro attingo a piene mani pure io, senza ritenerlo inconfutabile. per me non c’è problema ad ammettere che tu ne saprai a mazzi più di me su Wiki. pure quando dice cose scorrette

          • La mettiamo che anche su Wikipedia ci possono essere scritte cose errate, ma il suo funzionamento dovrebbe fartelo considerare una fonte importante, migliore di tante altre non verificabili che girano in rete.

            Poi mi pare che sul cloruro di sodio e sull’attendibilità di Wikipedia US vs italiana ti ho dato ragione. Così come non ho capito il motivo perché sei partito in tutta questa polemica.

  2. Emanuele è il mio birraio preferito, non dico sia il migliore, ma il mio preferito sì.
    Lo conobbi all IBF alle Officine Farneto (ops… 🙂 ) e lì assaggiai sotto suggerimento del Mastro (Titta, ndr) la Breva, la sua Weiss e mi innamorai del birrificio Lariano.
    Comunque anche io dissi e scrissi un paio di mesi fa che la New Age è la mia birra dell Estate 2013.
    Purtroppo sono di parte, anche se infustasse un rutto direi che è buono…

  3. Dunque, lascio perdere la polemica sul sale e dico la mia proprio sulla birra.
    Bevuta alla spina: salmastra e fresca, ma sinceramente niente di che. Corpo davvero esile, lo confermo; difforme invece l’opinione sulla carbonazione. Quella che ho bevuto io era bella liscia e quasi piatta. In ogni caso: come esempio di Gose direi così così, non mi ha convinto più di tanto.

    Del Lariano, poi, ho un ottimo ricordo della Tripè. Io non l’ho trovata così timida rispetto alle canoniche esponenti dello stile, anzi. La secchezza finale manca, vero, tuttavia è proprio la birra in sé es essere più morbida, per cui non lo riterrei un punto a sfavore.

    Infine la Confusa. A me più che confuso, ha lasciato del tutto spiazzato. “Barley wine molto diverso dal solito”. Posso dire che penso sia completamente fuori stile? 😉

  4. A proposito di attendibilità delle fonti.

    Mi è capitata per le mani la Lonely Planet della Baviera.
    A pagina 50 c’è il capitolo sulle birre; copio qualche perla:
    “Doppelbock – birra forte (doppel significa ‘doppio’, e spesso anche di più) di colore chiaro, ambrato o scuro e dal gusto agrodolce”
    “Dampfbier – birra al vapore … è molto fermentata (il che significa che i suoi fermenti producono una schiuma sulla superficie e quindi hanno maggior contenuto di alcol…”
    “Rauchbier – birra scura dal gusto fresco, speziato o ‘affumicato'”
    “Weissbier – birra fatta con frumento al posto del malto…”

    Ma chi gliele scrive?!?

    • le panzane purtroppo ci stanno, le puoi trovare ovunque, specialmente se sconfini dal tuo campo o tenti la tuttologia
      il punto, a mio avviso, è un altro: metterci la faccia

      nella carta stampata ce la si mette(in questo caso L.Planet o l’autore nei credits) ma nel web quanti lo fanno(Wiki inclusa)?

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