Lo scorso giovedì sono stato ospite dell’Ambasciata del Canada in Italia per una degustazione di alcune birre artigianali canadesi. Non è la prima volta che mi capita di essere invitato a iniziative del genere, ma è la prima volta che a farsene promotrice è stata una nazione che non rientra esattamente nel novero delle superpotenze mondiali del settore. Tuttavia il Canada rappresenta un movimento molto interessante, che probabilmente è salito alla ribalta delle cronache birrarie europee grazie al Mondial de la Bière, diventato un appuntamento abbastanza atteso anche da queste parti grazie alla crescita raggiunta dopo 23 (ventitre!) edizioni consecutive. Tuttavia a noi della locale scena brassicola arriva bene poco, quindi sono stato molto felice di partecipare all’evento e assaggiare cinque birre che non avevo mai provato prima.
Nonostante qualche sporadico report di viaggio (come quello di Andrea sulla Nuova Scozia pubblicato qui su Cronache di Birra) e sebbene negli anni ultimi qualche produttore locale si sia timidamente affacciato sul nostro mercato (Dieu du Ciel, Trou du Diable), la birra craft canadese rimane ancora un enigma di difficile soluzione. L’impressione però è che possa riservare sorprese importanti, confermate da assaggi spesso sorprendenti e che in alcuni casi diventano davvero entusiasmanti. Inoltre il movimento locale gode di caratteristiche uniche e peculiari: da una parte infatti c’è l’importante influenza degli Stati Uniti, che alimenta un deciso interesse nei confronti della birra artigianale; dall’altra però anche il contagio di altre suggestioni, che rendono il panorama brassicolo più vario di quanto si potrebbe immaginare.
Le cinque birre in degustazione rientrano nel portfolio di GourPass, un distributore spagnolo che si occupa dell’importazione dei prodotti direttamente dal Canada e che era presente all’evento. La selezione proposta da quest’ultimo è stata guidata da una filosofia abbastanza curiosa in termini di tipologie scelte: abbiamo assaggiato una birra al miele e altre spezie, una Baltic Porter, un Barley Wine, un’Imperial Stout e un’American IPA. Anche se non siete operatori del settore è facile capire che solo l’ultima rientra in uno stile facilmente vendibile, mentre per le altre il discorso cambia radicalmente, soprattutto in questo periodo di alte temperature. Probabilmente la mossa è stata suggerita da valutazioni sulla conservazione del prodotto, che chiaramente deve sopportare un viaggio lungo e non certo agevole.
La prima birra assaggiata è stata L’Affriolante del birrificio La Bilboquet di Sant-Hyacinte, in Quebec. A conferma di quanto sostenuto precedentemente, l’influenza della cultura brassicola dell’Europa francofone sembra più evidente di quella americana: è un’alta fermentazione ambrata, realizzata con miele, coriandolo e liquore Curacao. Ha un tenore alcolico non indifferente (7%) ma la parte alcolica che si avverte alla fine e che penalizza un po’ la chiusura è riconducibile all’aggiunta del Curacao. Per il resto è molto interessante, con il miele che si mantiene piuttosto elegante e una sensazione gustativa valorizzata da una piacevole freschezza. Rientra in una tipologia che può non piacere a tutti e presenta sia aspetti positivi che negativi.
Successivamente siamo passati alla Porter Baltique (10%) di Les Trois Mousquetaires, il più conosciuto tra i cinque birrifici proposti. E forse non è un caso che è stata anche la migliore birra della degustazione: una Baltic Porter a bassa fermentazione, rotonda e piena, intensa ma allo stesso tempo molto armonica. L’impronta dei malti scuri (cioccolato, cacao amaro) esce in modo deciso ma anche equilibrato e si fonde con note di frutta rossa e una pennellata di vaniglia. La carbonazione è appena superiore alle attese, per il resto è sembrata a tutti davvero ottima.
Smashbomb Atomic (6%) è invece il nome roboante dell’American IPA prodotta da Flying Monkeys di Barrie, in Ontario. Qui l’influenza del mercato americano è evidente: l’etichetta è praticamente un banner pubblicitario, lo stile di riferimento autoesplicativo e anche la comunicazione adottata strizza l’occhio a un certo modo di vendere birra. L’esplosione attesa di luppolo si realizza solo a metà: la parte resinosa emerge in primo piano, mentre per trovare la freschezza degli agrumi occorre cercare molto in profondità. Al palato mostra stessi pregi e difetti, mentre l’amaro deciso ma non raschiante avrebbe meritato ben altro supporto aromatico.
Come penultimo assaggio abbiamo provato la Ale de Hardy (10,5%), un Barley Wine prodotto da Brasseurs du Monde. Il nome non può non richiamare alla mente la celeberrima Thomas Hardy’s Ale, che recentemente è tornata in vita grazie all’italiana Brew Invest (Interbrau). Come la collega inglese, la Ale of Hardy vuole omaggiare il grande scrittore britannico, ma chiaramente gioca maliziosamente con le parole per fini commerciali. Almeno il risultato è di alto livello: l’abbiamo bevuta ancora molto giovane, ma già si poteva notare un ventaglio aromatico piacevolmente complesso e un’anima british molto fedele al modello originale. Unici nei un retrolfatto meno intenso del previsto e, ovviamente, una certa scompostezza che tenderà a scomparire con una maturazione più lunga.
Infine abbiamo concluso con la Obsidian (9,2%) del birrificio Cameron’s di Oakville, in Ontario. È un’Imperial Porter lasciata maturare per sette mesi in botti di rum caraibico, che chiaramente fa della potenza e della complessità la sua cifra stilistica. Paga questa predisposizione in termini di eleganza e, paradossalmente, di intensità olfattiva, mentre realizza una bella chiusura di bevuta grazie a una perfetta sintonia tra sfumature di cioccolato e di rum. Evidentemente ispirata dal movimento brassicolo statunitense, rimane però molto lontana dalle migliore interpretazioni americane della tipologia.
L’evento organizzato dall’Ambasciata del Canada ha dunque permesso di scoprire un’ulteriore sfaccettatura di un movimento emergente e davvero intrigante. A parte alcune punte di eccellenza, l’impressione è che il livello qualitativo abbia ancora diversi margini di miglioramento, riuscendo tuttavia a mostrare una realtà variegata e molto interessante. Insomma, il Canada è una nazione birraria da tenere d’occhio e la speranza è che in futuro potremo farlo senza dover necessariamente attraversare l’Atlantico.
Confermo quanto di buono si può pensare del Canada. Io sono stato a Toronto, Niagara Falls, Quebec City e Montreal e ho raggiunto queste convinzioni:
1) città come Toronto e Montreal rientrano a pieno titolo nelle mete più interessanti che si possano visitare: non solo per motivi turistici ma anche per l’elevata presenza di brewpub di livello eccellente e locali dotati di una grande selezione di spine e bottiglie (va comunque detto che anche andando in posti che non siano “craft oriented” è facile trovare referenze di tutto rispetto);
2) anche in posti relativamente piccoli come Niagara Falls e Quebec City – anch’essi magnifici dal punto di vista turistico – le occasioni per bere bene non mancano (tanto per dire, a NF ci sono tre brewpub, mentre in due giorni a QC ne ho girati 6 e mi sono rimasti posti in lista che non ho potuto visitare).
Se penso che a Milano i brewpub degni di questo nome sono solo il Lambrate e la Ribalta, non esito a dire che sono decisamente avanti rispetto a noi (ed infatti a Capodanno ci torno…)